sabato 7 settembre 2013 - Osvaldo Duilio Rossi

Perdonanza celestiniana e conciliazione

Si è appena conclusa all’Aquila la Perdonanza celestiniana, un rito cattolico che testimonia l’importanza delle funzioni conciliative all’interno delle comunità.

Molte culture sono consapevoli di quanto gli individui tendano a entrare in conflitto tra loro e perciò hanno sviluppato sistemi di pacificazione collettivi, come lo Yom Kippur ebraico, con cui si cancellavano tutte le liti interpersonali (cfr. XOs 2011), o la Perdonanza celestiniana.

Le persone entrano naturalmente in conflitto e alimentano le liti altrettanto istintivamente, ma la società ha bisogno di funzioni sociali catartiche e potenti, in grado di cancellare o “resettare” le discordie, onde permettere l’efficiente svolgimento delle attività collettive. Gli arbitri e i tribunali cercano di risolvere il problema applicando la forza del diritto, ma possono addirittura acuire le faide, quando qualcuno ritiene ingiuste le loro decisioni.

I mediatori stragiudiziali e culturali contribuiscono a dirimere le liti spostando i discorsi conflittuali sul piano del buonsenso e dell’emotività, aiutando le persone a capire gli interessi in gioco e la portata dei danni collaterali. Le istituzioni religiose – storiche mediatrici tra gli uomini e le divinità – affrontano invece il problema basandosi sulla fede condivisa dalla comunità, estendendo la portata della pacificazione alle masse.

La Perdonanza nasce nel 1294, quando il papa Celestino V emanò la bolla pontificia Inter sanctorum solemnia, detta anche Bolla del perdono, con cui concedeva l’indulgenza plenaria a chiunque attraversasse la Porta Santa della basilica aquilana di Santa Maria Collemaggio tra i vespri del 28 e del 29 agosto. Uniche condizioni per accedere alla grazia sono tutt'oggi la confessione e il sincero pentimento dei propri peccati.

La confessione e il pentimento sono atti tipici dei riti di pacificazione. Anche la mediazione li utilizza. Possiamo infatti considerare le sessioni riservate tra il mediatore e una singola parte (c.d. caucus) come un momento di raccoglimento e di analisi interiore molto simile alla confessione liturgica. Il pentimento invece si concretizza nella mediazione con un’eventuale richiesta di scuse oppure, più frequentemente, con il salto di qualità che le parti in lite riescono a far fare alle negoziazioni, quando propongono di fare qualcosa in prima persona per aiutare l’altra parte, invece di limitarsi a pretendere da essa le solite richieste. Le informazioni confessate rimangono strettamente riservate in entrambi i casi: tanto il ministro del culto quanto il mediatore rispettano l'obbligo del segreto. Può esserci infatti una pacificazione solo quando l'intermediario tra le parti mantiene segreto ciò che deve rimanere nel passato, permettendo così alle persone di scaricare il peso della colpa per riuscire a proseguire l'esistenza e la collaborazione futura in maniera costruttiva.

A differenza del giudizio, la mediazione richiede un impegno diretto delle parti coinvolte nella lite, così come il diretto interessato deve passare in prima persona sotto la porta della basilica dell'Aquila. Gli avvocati vanno in tribunale al posto dei loro clienti, ma la mediazione si svolge solo se partecipano i reali portatori di interessi. Potrebbe sembrare perciò che la mediazione non sia adatta a chiunque perché richiede un impegno sostanziale, come anche l'indulgenza non è per tutti... ma tutti possono averne bisogno; forse la nostra cultura più di tutti.

 

Foto: Momo/Flickr




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