martedì 13 luglio 2021 - UAAR - A ragion veduta

Perché una religione scompare

Possiamo considerare le religioni «too big to fail», «troppo grandi per fallire»? Dipende soltanto da quanto grande è la religione stessa. Perché, in realtà, le religioni scompaiono spesso – anche se non certo volentieri.

Lo scorso anno è stato pubblicato un volume accademico dedicato a questo tema. Le comunità religiose oggetto della ricerca ricadevano nella categoria dei «nuovi movimenti religiosi», ma in anni recenti sono invecchiate e defunte precocemente. Uno dei curatori, Michael Stausberg, ha poi seguito per il numero di marzo della prestigiosa rivista Numen, specializzata nella storia delle religioni, la pubblicazione di altri articoli sullo stesso argomento, riguardanti invece un passato più lontano. Stausberg è uno dei massimi conoscitori mondiali del mazdeismo (più noto come zoroastrismo), una religione che tanto tempo fa è stata veramente «grande»: sia perché ha dominato per oltre un millennio la Persia, sia perché – rappresentando il primo caso storico di monoteismo – ha fortemente influenzato anche tutti gli altri che sono stati creati successivamente.

L’excursus curato personalmente da Stausberg mostra come la trattazione del tema della “morte delle religioni” sia decisamente molto rara, nonostante il fenomeno sia quantitativamente rilevante. A differenza dei nuovi movimenti religiosi, raramente la causa della morte è stata “naturale”. Quasi sempre è stata invece la conseguenza di un intervento diretto del potere politico (frequentemente in seguito alla conversione di un regnante) andato di pari passo con l’attivismo di una religione originariamente esterna. Quando è andata bene, i leader di tali religioni si sono limitati alla propaganda (vantando le proprie superiori condizioni materiali, o dichiarando che il proprio dio li ha resi immuni dalle malattie che essi stessi avevano portato) e/o hanno incorporato elementi dei culti precedenti, che peraltro raramente concepivano il sacro come un fenomeno distinto dall’ideologia comunitaria. Spesso, però, le fedi esterne non hanno esitato a ricorrere alle maniere forti. Al punto che l’autore reputa necessario introdurre un neologismo: «religiocidio».

È un termine che trova un fondamento nella Convenzione internazionale per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio del 1948. Gli “atti” che identificano un genocidio (uccisioni, lesioni gravi, discriminazioni concrete, imposizione di condizioni di vita degradanti, sottrazioni di bambini) sono infatti riscontrabili anche nelle attività intenzionalmente poste in essere per debellare la concorrenza spirituale. Come per esempio quelle, ricordate nell’articolo di Laura Feldt, praticate dal giudaismo e tramandate dalla stessa Bibbia ebraica.

Rispondere alla domanda del titolo è quindi relativamente semplice: come negli incroci delle metropoli caotiche, in materia religiosa vige la legge del più grosso, che finisce per passare sempre per primo. Una religione nasce per la volontà di condividere insieme un’ipotesi di sovrannaturale. La prima sfida che deve superare è l’inevitabile scomparsa del leader carismatico che l’ha fondata. La seconda è invece perenne: la necessità di adeguarsi a un mercato religioso sempre ricco di nuove e originali proposte. Ma è difficile riuscirci a lungo: quante imprese economiche hanno più di duemila anni di storia alle spalle? Nessuna. Sei religioni ci riescono: induismo, buddhismo, ebraismo, taoismo, giainismo e mazdeismo. Le ultime due rischiano però di fare in breve tempo la stessa fine di tutte le altre religioni nate prima dell’era volgare, che è poi la stessa fine del 99% delle specie animali mai apparse sul pianeta: estinguersi.

Del resto, sono considerate a rischio anche confessioni potenti fino a pochi decenni fa, come gli episcopaliani Usa: quando vengono meno la spinta demografica e la pervasività nella vita degli individui, soltanto la collaborazione del potere politico può assicurare un futuro decoroso. Nei paesi laici, tuttavia, sta venendo meno anche quella. Le conversioni spontanee di massa sono esistite esclusivamente nella testa dei propagandisti di regime, e oggi spirano venti di secolarizzazione che (specialmente laddove il mercato religioso è davvero libero) portano semmai ad apostasie spontanee di massa – che costituiscono quindi gli unici fenomeni “religiosi” spontanei di massa che la storia conosca. In fondo, anche l’ateismo esisteva già, oltre due millenni fa. I disperati tentativi di imporre crocifissi, presepi, catechismi, messe e benedizioni a scuola, al lavoro, fino alla cerimonia di inaugurazione di una rotonda in un luogo pressoché disabitato, rientrano quindi nell’unica strategia religiosa che sembra funzionare con la specie umana.

Il futuro non è scritto, lo sappiamo benissimo. Ma la storia dell’affermazione di ogni fede, evidenze alla mano, rappresenta l’ennesimo argomento contrario alla loro veridicità.

Raffaele Carcano

 




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