mercoledì 19 settembre 2018 - Emilia Urso Anfuso

Per un pugno di selfie

Cosa facevamo e come vivevamo, prima dell’avvento - nella nostra quotidianità – del web e degli Smartphone? Conducevamo una vita maggiormente tesa ai rapporti interpersonali, eravamo abituati ad attendere, sia che si trattasse di una semplice telefonata piuttosto che dello sviluppo dei rullini fotografici impressi con le immagini delle vacanze. Eravamo un’umanità più umana e meno tecnologica, correvamo meno, anche mentalmente.

Poi, ecco arrivare la diffusione di internet, dell’elettronica applicata a ogni cosa, dei cellulari sempre più tecnologici che, in ultimo, usiamo persino per telefonare.

Tra le opzioni maggiormente utilizzate sui nostri Smartphone – che di intelligente tutto sommato hanno poco a ben guardare – troviamo la fotocamera, utilizzata ormai per immortalare qualsiasi tipo di momento o azione, spesso con risultati deplorevoli. Complici anche i social, oggi buona parte di umanità spreca il proprio tempo vitale nello sforzo di apparire sempre e comunque, di mostrarsi a un pubblico di esimi sconosciuti, quasi a voler confermare a se stessi di esistere, e di conseguenza, di valere qualcosa all’interno di una comunità, seppur virtuale.

Fino a una manciata di anni fa, le fotografie erano qualcosa di privato o quasi. Al massimo, si proponeva la loro visione a un gruppo di amici e parenti, invitati appositamente a cena, per mostrare loro i luoghi, e gli attimi salienti, dei nostri percorsi vacanzieri. Poi stop. Si riponevano le fotografie – o le diapositive per i più tecnologici – nell’album dei ricordi, sapendo di poter ripercorrere in qualsiasi momento quegli sprazzi, quelle sensazioni, quelle visioni bloccate su un pezzetto di carta reattiva.

Oggi no. La fotografia civile ha soppiantato non solo la tradizionale fotografia, ma anche ciò che un tempo chiamavamo “diario personale”. Gli odierni diari personali, non hanno nulla di personale, dal momento che vengono costantemente messi in piazza attraverso il racconto per scatti fotografici di ogni attimo dell’esistenza.

A volte lo sviluppo della tecnologia non è buona cosa, se il risultato – come in questo caso – è doversi sorbire immagini di esimi sconosciuti che riprendono se stessi attraverso gli autoscatti (quello che denominiamo ormai quasi tutti col termine inglese Selfie) in ogni situazione immaginabile e meno. Gli autoscatti peggiori? Quelli realizzati nei bagni di casa o degli hotel, con tanto di WC in bella mostra.

Ma ci sono anche autoscatti pericolosi, come quelli realizzati da temerari utilizzatori delle nuove tecnologie e dei nuovi trend basati esclusivamente sulle immagini, che hanno a volte – come conseguenza – la morte dell’egocentrico di turno, a causa del fatto che, pur di poter mostrare al mondo virtuale lo scatto più incredibile, si spinge oltre il consentito senza alcun patema di precipitare non solo nel ridicolo quanto nel vuoto, fino a perdere la vita.

E’ accaduto nuovamente, e stavolta la vittima è un ragazzino di 15 anni, che con un gruppo di amici aveva deciso di salire sul tetto del centro commerciale Sarca di Sesto San Giovanni. Il giovane, a un certo punto, pur di scattare una foto strabiliante, è caduto dentro un grosso tubo di una condotta dell’aria, perdendo poi la vita poche ore dopo il ricovero in ospedale.

Ma non è un caso isolato: l’Università statunitense Carnegie Mellon, che si trova in Pennsylvania, ha condotto uno studio attraverso il quale si evince un dato terribile: ogni anno, nel mondo, muoiono circa 170 persone a causa di selfie scattati in situazione di pericolo, come ad esempio l’idea imbecille di auto immortalarsi appesi a un cornicione, o sulle rotaie del treno, col rischio di venire tranciati…

Solo in Italia, peraltro, sono aumentati del 63% i decessi per incidenti mortali sulle rotaie. Un dato che deve far riflettere sulla questione del valore della vita, abbattuto dal valore dell’immagine.

Insomma: saremo anche “L’esercito del selfie”, come canta Arisa, ma siamo certi che tutto questo sia “sviluppo della società nell’era moderna”? Un tempo, almeno, si moriva per cause più nobili, o per limiti di età o malattie incurabili. Andare a morire per un autoscatto, ha tutto il sapore, e i segnali, dell’involuzione della razza umana. Altro che sviluppo.

Piantiamola di voler apparire al mondo ad ogni costo. Diamo maggior valore all’esistenza, che al popolo di sapere cosa fai a colazione, o al cesso, o dal dentista, dovrebbe importare davvero poco. Questa tendenza, spinta all’eccesso dai cosiddetti “Influencer” abituati a raccontare la propria esistenza attraverso la pubblicazione sfrenata di fotografie che li ritraggono in ogni attimo del giorno e della notte, ha realizzato una nuova patologia: quella del narcisismo estremo.

Peccato però, che un influencer di successo arriva a guadagnare milioni di euro – Chiara Ferragni docet – mentre alla gente comune, può portare persino tragedie. O l’onta del ridicolo. Da evitare, datemi retta.




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