lunedì 24 settembre 2012 - paolodegregorio

Per salvare la politica, aboliamo province, regioni e privilegi

Di fronte allo spettacolo, aldilà di ogni decenza, offerto ai cittadini italiani dalle istituzioni regionali, in particolare da quelle della Lombardia e del Lazio, sarebbe utile e forse indispensabile cominciare a trovare soluzioni radicali, che riportino la politica a fare gli interessi dei cittadini.

Province e regioni hanno innalzato enormemente i costi della politica, attribuendosi privilegi e stipendi paragonabili a quelli di deputati e senatori, decisioni ascrivibili a tutti i gruppi politici.

Il ruolo di queste istituzioni poi, invece di avere un effetto positivo per l’amministrazione della cosa pubblica e dell’economia, ha ottenuto il risultato di rallentare ogni decisione, perché i soggetti che devono prenderle si trovano spesso in confronto politico tra loro e le opere da fare possono costituire un successo politico per una parte o per l’altra. Spesso tutto si blocca in un sistema di veti incrociati o si trasforma in patti di spartizione e di consociativismo occulto ed illegale.

E’ evidente che gli attuali partiti, con poche o nulle eccezioni, sguazzano allegramente in queste istituzioni, soprattutto da quando non sono più organizzazioni di massa presenti sul territorio (come la vecchia DC e il PCI), ma strutture di potere e di sottogoverno, che si reggono ancora grazie ad un sistema mediatico assoluto e spartitorio, dove i più impresentabili politicanti, corrotti e inquisiti, si spacciano per verginelle immacolate urlando nei vari talk-show la propria innocenza, e uscendone quasi sempre assolti e sbiancati.

Non vi è dubbio che una redistribuzione dei poteri regionali e provinciali ai comuni avrebbe senz’altro l’effetto di far diminuire di due terzi il costo della politica e di diminuire di molto i tempi delle decisioni.

Purtroppo solo un governo veramente tecnico potrebbe prendere una tale decisione di salute pubblica, ma non credo che ci possiamo aspettare molto da chi si è calato le braghe di fronte a qualche migliaio di tassinari per la strada.

Se veramente si volesse riformare la politica basterebbe adottare poche regole, ma risolute e non emendabili:

- La prima è che la politica non deve avere costi, perché è scientificamente e storicamente provato che chi ha più denaro vince, in America come in Italia. Se si approvasse una legge che limita gli strumenti a disposizione dei politici per essere eletti a propaganda porta a porta con il proprio programma scritto e ai comizi in luoghi pubblici attrezzati dal Comune, e vieta “cene elettorali”, spot televisivi, manifesti, ecco che il peso del denaro per vincere le elezioni sarebbe molto ridimensionato. Se poi si pretendesse anche che si è eleggibili solo sul territorio dove si risiede da almeno 5 anni, e magari anche che si sia incensurati, ecco che un altro passetto avanti si farebbe e a costo zero.

- Per impedire che la politica diventi un mestiere a vita, l’altra regola d’oro sarebbe quella di non far superare a nessuno le due legislature sia da sindaco che da parlamentare, abolire ogni vitalizio, abolire auto blu e scorte, ridimensionare a 5.000 euro lo stipendio, in modo da non fare arrivare in politica gente che si vuole sistemare a vita nelle istituzioni

- L'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti e all’editoria, che oggi fa da stampella a questa politica schifosa e agonizzante, la trasformazione della RAI in “public company” con il direttore generale con tutti i poteri eletto dai cittadini che pagano il canone, sono altre regolette indispensabili a togliere alla politica lo strapotere che ha oggi.

Il bubbone della mala politica va inciso, col bisturi, e con la volontà di cambiare un sistema che si è dimostrato letale per l’etica pubblica e anche per l’economia, e ci ha condannato al declino e al fallimento. 




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