giovedì 22 novembre 2018 - Phastidio

Pensione e Quota 100 nel Paese più anziano del pianeta

Mentre il povero Giovanni Tria ieri è stato a Bruxelles a ricevere la sua ricca porzione di ceffoni, in Italia la questione di Quota 100 sulla reintroduzione delle pensioni di anzianità nel paese più anziano del pianeta torna a pestare con forza la grancassa della realtà. Con risultati psichedelici.

Riassumo i termini della questione: il governo ha messo a bilancio per il triennio 2019-2021, risorse per uscite da quota 100 che oscillano tra i 6,7 ed i 7 miliardi annui. Il presidente Inps, Tito Boeri, ma anche l’Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB) hanno fatto due conti e segnalato che questi importi saranno del tutto insufficienti a gestire le uscite previste.

I gialloverdi si sono inalberati accusando Boeri di “fare politica” (yawn), e rassicurano che i due fondi messi a bilancio per pensioni e reddito di cittadinanza potranno essere utilizzati come vasi comunicanti, in caso di squilibri di tiraggio delle due misure. Questa “rassicurazione” indica tutto l’analfabetismo di sola andata dei nostri scappati di casa. Perché questi sono impegni di spesa pluriennali, e fare giochetti compensativi sul solo 2019 non risolve una beneamata ceppa, come direbbe il giovanotto di Pomigliano incaricato dal destino cinico ed europeo di portare il paese ad immergersi nel guano sino alla gola, prima di togliere il disturbo (perché accadrà, tranquilli).

Senza contare che queste manovre “vanno di fretta”, nel senso che ambiscono a produrre un impatto espansivo pressoché immediato, visto che la congiuntura sta peggiorando. Invece, dopo aver appreso che il deficit-Pil al 2,4% è un “limite invalicabile” (e quindi pro-ciclico sul rallentamento), ora siamo al momento in cui si deve tradurre quel principio in misure operative.

Di questi limiti parlano sul Sole Davide Colombo e Marco Rogari, spiegando che si potrebbe anche arrivare ad un meccanismo “a rubinetto” per decidere chi va in pensione. Una sorta di lotteria, o di click day:

«Inps, una volta certificati i requisiti di chi farà domanda di “quota 100” o del reddito di cittadinanza, dovrà a sua volta effettuare una verifica di budget per capire se le coperture tengono e le liquidazioni possono effettivamente partire. […] II meccanismo di monitoraggio potrebbe essere quello delle graduatorie, del resto già sperimentato per altre recenti misure di welfare sperimentali come l’Ape sociale, avviata un paio di anni fa e destinata a quanto sembra ad essere prorogata fino a fine 2019»

Quindi, vediamo: monitoraggio trimestrale della spesa per “rassicurare” la Ue ed i mercati che non si sforerà. Ma se si dovesse sforare, che facciamo coi “diritti soggettivi” tra cui quello di avere una pensione se si risponde ai requisiti di Quota 100, nel paese che morirà di “diritti acquisiti”? Non serve essere scienziati per comprendere che siamo di fronte ad una buffonata a strato multiplo.

Ma non avevate una dannata fretta di attivare la vostra fantasmagorica “staffetta generazionale”? E ora che fate, i blocchi e le finestre multiple perché dovete fare il vostro monitoraggio trimestrale?

A conferma che la situazione è del tutto fluida, oltre che maleodorante, scopriamo pure che i fondi stanziati per Quota 100 sarebbero in realtà solo la “cornice”, e che le decisioni devono ancora essere prese. Almeno, questo emerge da un’intervista al Corriere di Alberto Brambilla, consigliere della Lega sui temi previdenziali e indicato da molti come prossima guida dell’Inps quando, a febbraio, Boeri tornerà a fare il professore della Bocconi (forse).

Intervistato da Lorenzo Salvia, Brambilla ha alcune idee su come restare entro i famosi 6,7 miliardi di euro. Ad esempio:

«Premesso che quota 100 è un’opzione volontaria si potrebbe pensare, e c’è nel programma, che tutti quelli che sceglieranno questa strada avranno il ricalcolo contributivo della pensione maturata dopo l’entrata in vigore della riforma Dini, cioè dopo il primo gennaio del 1996. È anche una questione di equità perché quelli che matureranno i requisiti dal 2023 avranno già il calcolo contributivo»

Che non è l’opzione donna ma poco ci manca. Secondo Brambilla, in questo modo uscirebbero “solo” 200 mila persone in luogo delle 430 mila attese e si resterebbe entro i paletti dei 6,7 miliardi. Se non bastasse, Brambilla torna alla carica con un suo vecchio cavallo di battaglia:

«[…] quota 100 andrebbe di pari passo con l’attivazione dei fondi di solidarietà e fondi esubero, come accade oggi per banche e assicurazioni, che non costerebbero nulla allo Stato perché sono alimentati dai datori di lavoro. E che utilizzerebbero gli stessi criteri utilizzati oggi per l’Ape social per stabilire l’accesso al beneficio ma con molti vantaggi in più»

Quindi, pare di capire, i famosi 6,7 miliardi annui sono solo un numero attorno al quale serve adattare tutta una serie di misure di contenimento, che alla fine riducono (forse) il danno. Ma se le cose stanno in questi termini, non era meglio restare all’Ape sociale ed alla introduzione dei fondi settoriali per lo “scivolo”? Serviva davvero mettere in piedi questo immondo casino, che ci costerà una procedura di infrazione sul debito ed una crisi sui mercati finanziari che è già in corso, oltre ad una stretta creditizia autoinflitta che causerà una recessione tutta Made in Italy? Senza contare l’ulteriore elemento di incertezza per le imprese, che si troveranno a dover capire se, chi e quando tra i propri dipendenti andrà in pensione. Questo governastro pare avere una vocazione naturale, per fare esplodere l’incertezza.

Ve l’ho detto più volte, ora penso che ridurrò la frequenza di commenti su questi temi e su questo ridicolo paese. Però una cosa va detta: chi non si è ancora reso conto dei danni che questi irresponsabili infliggeranno al paese, nei prossimi mesi ed anni, appartiene a due sole categorie: quella degli stupidi e quella dei complici.

Addendum – Segnaliamo, dalla rassegna stampa, l’imprescindibile intervista di Luca Clarinetto Telese al leghista Claudio Durigon, che ci spiega che la manovra pensionistica è al sicuro, lontano dagli occhi di Boeri, ma che staranno comunque entro il budget (e complimenti per il rispetto verso le Camere, in audizione), e l’appassionata perorazione della manovra pensionistica per opera di Salvatore Cannavò, sul Fatto. Quest’ultimo mette l’accento sulle correzioni attuariali delle uscite anticipate, con questo calcolo:

«Un esempio concreto? Una pensione a 65 anni con le attuali norme, con un misto di retributivo e contributivo e con la quota C prevista dalla Fornero, dopo 43 anni di contributi determina una pensione annua lorda di 32.190 euro. Con tre anni di anticipo, a 62 anni invece che 65, ne garantisce 29.930,173 euro lordi al mese in meno, lo 0,53%»

Notevole come Cannavò rapporti la riduzione mensile all’assegno annuo, ottenendo quindi “solo” lo 0,53% di taglio. Se avesse scritto che il taglio era di oltre il 7%, avrebbe potuto colpire negativamente i pensionandi più impressionabili. Ma soprattutto, Cannavò fa una scoperta dirompente e dirimente:

 

«andando in pensione prima si ha un risultato positivo: percepire la pensione per un periodo più lungo»

Appunto:

 

Molto interessanti le considerazioni attuariali di alcuni: "si prende una pensione più bassa ma per più tempo". Perfetto, ora dobbiamo solo arrivare a fine mese, ogni mese.

 
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Parafrasando il saluto di Mr. Spock di Star Trek: “vita lunga e grama”. Ma quando c’è il tifo politico (o almeno un po’ di salmonella), le licenze poetico-attuariali vengono più facili.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




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