giovedì 13 agosto 2015 - Phastidio

Peculiarità italiane: il datore di lavoro scoraggiato

Lo scorso 10 agosto su Repubblica compare un’intervista a Filippo Taddei, responsabile Economia del Pd. In essa, tra le altre cose, Taddei spiega per quale motivo, in quella che sarebbe o dovrebbe essere una ripresa del mercato italiano del lavoro, si nota una bizzarra anomalia, di quelle che impediscono di mettere il segno di spunta alla lista di circostanze che identificano una ripresa degna di questo nome: l’assoluta stagnazione del tasso di posti vacanti. Come la vede Taddei, quindi?

In questo modo:

Come spiega il tasso di posti vacanti stagnante?
«Non è un segno di domanda fiacca. Ma della difficoltà del datore di trovare la persona giusta»

Ma anche no. Intanto, metodologicamente, il tasso di posti vacanti è ovviamente un indicatore lato domanda (cioè di aziende che cercano lavoratori), ma qui diremmo che siamo ai rudimenti. Poi, proviamo ad usare la nuda logica, e rifacciamoci all’esperienza di chi utilizza serie storiche più sofisticate ed analitiche delle nostre, gli Stati Uniti. Come detto, là si usa l’indagine JOLTS (Job Openings and Labour Turnover), elaborata dal Bureau of Labour Statistics del Dipartimento del Lavoro. Questa indagine mostra il numero di aperture di ricerca di lavoro da parte delle imprese ed il turnover del mercato del lavoro, in termini di assunzioni e “separazioni”. Queste ultime possono essere volontarie (quits), cioè frutto di migliorate prospettive che inducono a dimissioni, oppure licenziamenti.

A cosa serve l’indagine JOLTS? Ad alcune cose. In primo luogo, ad avere il polso del mercato del lavoro, visto che il numero di aperture di ricerca di posizioni lavorative è correlato al ciclo economico (chi l’avrebbe mai detto?). Ma serve anche a capire se e quanta parte della disoccupazione è ciclica o strutturale, cioè legata al cosiddetto skills mismatch, la situazione in cui le aziende si trovano di fronte lavoratori le cui competenze non sono utilizzabili perché nel frattempo divenute obsolete o inadatte alla richiesta proveniente dall’economia. Cerco venditori ma trovo solo muratori, ad esempio.

Nella definizione ufficiale del BLS:

Il numero di posti di lavoro non coperti -usato per calcolare il tasso di apertura di ricerche di impieghi- è un’importante misura della domanda di lavoro non soddisfatta. Con quella statistica, è possibile dipingere un quadro più completo del mercato del lavoro statunitense che guardando unicamente al tasso di disoccupazione, una misura dell’eccesso di offerta di lavoro.

Chiaro, così? Non ancora? Facciamo un esempio: se il job openings rate (cioè il tasso di posti vacanti) aumenta e resta elevato, e ad esso si associa una disoccupazione alta e crescente, ciò con alta probabilità significa che esiste skills mismatch. In altri termini, che le imprese non trovano quello che cercano. E perché non trovano? Ciò accade sia perché esiste disoccupazione strutturale, cioè soggetti inimpiegabili, per skills deteriorate, oppure perché nell’economia stanno crescendo molte nuove figure professionali e molte imprese innovative, un evidente segno di vitalità.

Quello che però dovrebbe essere chiaro, a voi e a Taddei, e che per aversi questo effetto di mismatch, serve che il tasso di posti vacanti aumenti, cioè che le imprese tentino di reperire lavoratori, cioè che aprano ricerche. Se invece questo tasso resta statico ciò non significa, come invece sostiene Taddei, che i datori di lavori faticano a trovare la persona giusta, cioè che vi sia skills mismatch. Perché prima aumenta il tasso di posti vacanti, e dopo si vede (comparativamente con il tasso di disoccupazione e gli andamenti retributivi per aggregati professionali), se le aziende faticano a reperire i lavoratori che cercano. A meno che in Italia non si stia verificando un fenomeno del tutto peculiare ed inquietante: la comparsa del datore di lavoro scoraggiato, che manco si mette ad aprire una ricerca di posizioni (questa è ironica, mi raccomando). Notevole, vero? O forse che dal 2011 la base aziendale italiana è migrata in massa verso le biotecnologie e quindi non troviamo figure professionali adatte? Ah, saperlo. Ah no, la risposta la sappiamo. La chiamano ripresa.

Il problema resta quello: quando si vuole deformare la realtà per inseguire una propria narrativa, si (s)cade nella fiction. Magari riuscire ad esportare queste competenze letterario-affabulatrici potrebbe comunque aiutare la nostra economia.




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