martedì 15 settembre 2020 - Phastidio

Patto di stabilità: la Nuova Era che non lo era?

Dopo il Covid 19, dal punto di vista economico, nulla sarà come prima? È pensabile che il patto di stabilità possa rimanere sospeso fino a quando "il PIL non torna a livelli pre covid"? (cit. Ministro Gualtieri) E a quale PIL fa riferimento? A quello europeo o al PIL italiano?

Questa settimana Michele ed io cerchiamo di rispondere ad una domanda: davvero stiamo per entrare in una Nuova Era, in cui nulla o assai poco sarà come prima, sul piano dell’organizzazione sociale ed economica, dopo la pandemia? Davvero le nuove tecnologie irromperanno nelle nostre vite in un arco temporale molto ristretto?

La risposta è che cambierà molto, e lo status quo ante non tornerà, almeno non tanto presto. Pensiamo all’aumento dello stock di debito causato dai lockdown. Quando si ripartirà, i governi del mondo avranno davanti il tema di come sgonfiare quel debito. Se ciò avvenisse con una fiammata inflazionistica, servirà capire come proteggere le fasce di popolazione più deboli, che dall’inflazione vengono notoriamente devastate.

Se ciò dovesse avvenire con la crescita, e con la repressione finanziaria delle banche centrali che cercheranno di tenere compresso il costo del debito, almeno sin quando la cosa sarà gestibile, ogni paese o regione dovrebbe comunque pensare a come crescere.

Quando si tornerà alla normalità, servirà comunque ampliare la rete di protezione sociale per tutti quelli che nel frattempo saranno stati sconfitti dalla pandemia, a livello economico. Lavoratori marginali e privi di competenze, difficilmente reimpiegabili. L’Italia rischia di trovarsi con una elevata quota di tali soggetti.

Il nostro paese, in epoca contemporanea, è sempre stato caratterizzato da rigidità e tendenza alla conservazione dell’esistente, che ne ha bloccato la modernizzazione. Negli anni Settanta, dopo i due shock petroliferi, l’Italia ha trascinato i piedi aggrappandosi alla conservazione dell’esistente, anche grazie ad un minor grado di apertura dei mercati dei capitali. Almeno, sin quando non sono sopravvenute le inevitabili crisi di bilancia dei pagamenti.

A quell’epoca, la gestione di persone non altrimenti impiegabili venne gestita con massicci prepensionamenti che oggi appaiono insostenibili, anche se c’è chi cerca disperatamente di riportare indietro le lancette degli orologi con espedienti dialettici come la “staffetta generazionale”. Il dramma è che, per vari motivi, l’arretratezza nell’innovazione causa obsolescenza di interi settori produttivi, e con essi di chi vi lavora, in un loop infernale.

Attendiamo quindi il piano di ripresa e resilienza italiano, già raffrontato a quello francese con immancabili polemiche da cortile ma non nascondiamoci che la debolezza estrema della nostra società civile, in senso lato, non depone a favore di una rigenerazione.

E comunque no, la cosiddetta austerità (qualunque cosa significhi) non tornerà domani e neppure dopodomani. Ma se nel frattempo non saremo riusciti a cambiare profondamente, le uniche next generation che avremo saranno quelle dei poveri disgraziati che dovranno ripagare i debiti. O dichiarare bancarotta. Buona visione.

Foto: Wikipedia




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