venerdì 7 settembre 2012 - angelo umana

"Paradies: Glaube". A Venezia il film scandalo denunciato dalle associazioni cattoliche

“Paradies: Glaube” fa parte di una trilogia di Ulrich Seidl e il titolo può anche suggerire che il paradiso sia questione di fede (Glaube). Così tanta sembra averne Maria, infermiera radiologa di mezza età che vive sola in Austria , da dedicare le sue ferie a portare nelle case la statua di una madonna attorno a cui inginocchiarsi e pregare.

 I destinatari di queste visite però sembrano aver bisogno di ben altro e molto terreno, che le preghiere a una madonna non possono esaudire: una coppia di “nativi” austriaci, lui vedovo lei separata, con discorsi molto pratici contesta le convinzioni di una credente aggressiva come Maria, una prostituta russa che trova molto più concreto e soddisfacente bere birra a bottiglie (la disputa corpo a corpo con Maria che vorrebbe preservarla dal peccato e dalla dissolutezza è una scena da cinema di grande pregio), la famiglia immigrata a cui la “missionaria” promette che la madonna li aiuterà a stare meglio in Austria e, godibilissimo e un po’ svitato ma di una logica stringente, il single maturo che la riceve in mutande in mezzo a un indicibile disordine, da non trovare un posto per la statua da pregare. Una società disgregata e disordinata che nessuna preghiera sembra poter redimere.

Da questo sfascio e ricerca di piaceri terreni – si imbatte perfino in gente che pratica sesso di gruppo in un parco – Maria offre poi al crocefisso che ha in casa “il mio sacrificio per i nostri peccati”. La preghiera alla croce ha molto di carnale, fa pensare a bisogni non soddisfatti della donna, preda di una castità che si è imposta, sono proprio dichiarazioni di amore per il corpo del Cristo, seguite dal suo denudarsi e percuotersi con un frustino. E’ perfino ossessivo il ritmo della preghiera nella marcia sulle ginocchia che compie in penitenza lungo tutto il perimetro della sua abitazione, piena di crocefissi e immagini sacre, e non poteva mancare la foto di Benedetto XVI in cucina. La sua è una missione o una smania di convertire senza speranza, ma di cui è convintissima: nelle riunioni mistiche con altri membri di un’associazione cattolica, nella sua cantina, promettono a Dio la lotta perché l’Austria diventi cattolica.

La scala tra primo e secondo piano della casa è dotata inspiegabilmente del meccanismo che permette lo spostamento di una sedia a rotelle: scopriamo presto che è per Nabil, il marito paraplegico che ricompare nella casa, dopo due anni di assenza, a suo dire per ricostruire il loro rapporto, in realtà per riaffermare i suoi diritti che i doveri della donna dovrebbero soddisfare, la pulizia, l’assistenza, la preparazione del cibo e la pretesa delusa di soddisfare anche i bisogni sessuali. Ma Maria è sposa di Dio, è preda invasata della devozione; per resistergli arriva a placare i suoi bisogni carnali per mezzo del crocefisso davanti a cui si percuoteva. Così il film diventa occasione di raccontare due integralismi in conflitto, quello musulmano e quello cattolico, con le loro storture ed esasperazioni. Le prove impegnative a cui sente che Dio la sottopone – il resistere alle pretese del marito che attenta alla sua castità, che le distrugge le croci e sostituisce l’immagine del cuore di Gesù con una della Mecca – la fanno ribellare fino a colpire il crocefisso, ma tutto lascia pensare che non sarà “liberata”.

Film anche con momenti da incubo. Il temporale violento che incombe sulla pensilina della stazione dove si protegge la povera Maria (ottima interpretazione di Maria Hofstaetter) fa pensare alle minacce che incombono sull’integrità e credibilità della Chiesa cattolica. E’ stato denunciato alla Procura di Venezia – il film è stato presentato alla 69a Mostra del Cinema - da un gruppo cattolico per blasfemia (manco a dirlo). Da vedere e rifletterne.




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