lunedì 8 gennaio - Giovanni Greto

Paolo Pellegrin, L’orizzonte degli eventi

Ha chiuso domenica 7 gennaio la mostra, drammatica, di uno tra i più importanti fotografi italiani viventi

La nuova sede de Le stanze della fotografia all’isola di San Giorgio – un’iniziativa congiunta di Marsilio Arte e Fondazione Giorgio Cini, destinata a proseguire il percorso iniziato nel 2012 alla Casa dei Tre Oci di Venezia è occupata fino a domenica 7 gennaio dalla mostra L’orizzonte degli eventi.

Nel guardare gli oltre 300 scatti, quasi totalmente in un magnifico bianco e nero, non si può rimanere insensibili. E nella maggior parte della visione si rimane scossi per la cruda drammaticità e/o tragicità delle immagini.

Come spiega Denis Curti, intervistato assieme ad Annalisa D’Angelo, ambedue responsabili della curatela della mostra, in un video esplicativo del lavoro di Paolo Pellegrin (Roma, 1964), l’orizzonte degli eventi è l’occasione di fare un viaggio nel suo suo archivio. In oltre 40 anni di carriera, Paolo ha guardato e girato più volte il mondo, a volte in mezzo a dei conflitti pesanti, violenti, altre alla ricerca di un’intimità più delicata, di una dimensione di riflessione, legata alla fragilità della natura e agli effetti dei cambiamenti climatici.

In sostanza, ci troviamo di fronte ad un’antologia di immagini e delle conseguenti sensazioni che suscitano.

Tra i conflitti documentati, uno dei primi è quello israelo-palestinese.

Le foto ritraggono : le panoramiche dei paesi urbani distrutti ; i ritratti delle vittime dell’operazione Piombo fuso, una brutale offensiva di tre settimane contro Hamas, lanciata negli ultimi giorni del 2008 ; la veduta aerea del muro di separazione ; l’evento storico dei funerali di Arafat.

Sono immagini che non ci lasciano indifferenti, come madre di un bambino ucciso durante l’incursione delle forze di difesa israeliane a Jenin. West Bank, Territori Palestinesi Occupati, 2002.

Come scrive nel saggio interno al catalogo Annalisa D’Angelo “non rappresenta solo quella madre, ma il dolore universle della morte”.

E sono piene di tristezza le numerose immagini delle persone rimaste debilitate, in conseguenza della guerra.

E ancora il reportage, scattato in Prima linea di guerra, dei Peshmerga, le forze armate della regione del Kurdistan iracheno, in difesa dell’Iraq dall’attacco delle forze dell’ISIS.

Tuttavia, nonostante queste foto siano molto, molto forti, Paolo – continua Curti – non è mai stato il fotografo da scoop. E’ un fotografo che tendenzialmente vuole andare a vedere che cosa è successo dopo quell’evento, dove tutto quanto è cominciato. Tutto questo ha a che fare con il rispetto degli altri. Le sue fotografie non sono mai rubate, sono sempre foto condivise. Molto spesso le persone guardano in macchina, stanno dialogando con Paolo. E il fatto che lui ritorna più volte nei luoghi di un conflitto – in Ucraina cinque volte in un anno e mezzo – è la testimonianza di un sentimento, di un affetto che lui ha per le storie e per le persone e per questo desiderio di condividere un processo del futuro.

E proprio le foto inerenti al conflitto russo-ucraino esprimono il dolore inenarrabile di un popolo provato, eppure mai domo e speranzoso di un domani migliore.

Tra le sciagure della natura, alcune foto di strade infangate in Indonesia dopo lo tsunami del 2004 ;

la foto panoramica dello tsunami giapponese dell’11 marzo 2011. Ma del Giappone ci sono anche foto di : un attore che recita la parte di un Samurai ; una donna nuda in posa e, bellissima, uccelli in volo, forse un omaggio alla cultura della Calligrafia.

C’è anche il tema del confinamento, nel 2021, dovuto alla pandemia e le sue conseguenze.

Il risultato – scrive nel catalogo Annalisa D’Angelo – sono fotografie di persone senza volto, figure offuscate che camminano da sole senza riconoscere chi hanno accanto e Pellegrin, intervistato dal giornalista e studioso di storia della fotografia, Michele Smargiassi, afferma : Il volto per me è stato sempre il territorio della politica, la superficie di contatto tra l’individuo e la società. Ma, con la pandemia, quel legame si è offuscato.

E proprio la pandemia, scoppiata nel 2020 mentre il fotografo, in marzo, si trovava in Australia per documentare una serie di devastanti incendi catastrofici, che afflissero per settimane la nazione, nel timore di rimanere confinato a causa dell’imminente Lockdown, induce Pellegrin a ritornare in Europa, alla sua casa a Chateau d’oex in Svizzera. Fotograferà la quotidianità serena della vita familiare : la figlia Emma, felice di stare in una fattoria a contatto con gli animali ; la moglie Kathryn, che ritrova il piacere della lentezza.

Molti altri reportage sarebbero da elencare e commentare, ma allungherebbero a dismisura questa breve comunicazione : quello sulla violenza e il razzismo negli USA a Miami e Rochester, due luoghi in cui il rapporto instabile tra polizia e residenti afroamericani non è migliorato dall’epoca delle lotte per i diritti civili ; quello sul fenomeno della sorveglianza, che mette sempre più in discussione il diritto alla Privacy ; quello sui rifugiati a Lesbo, una foto su tutte, Stanchezza e lunghe ore di attesa nel caldo cocente provocano il collasso e lo svenimento dei rifugiati sull’isola di Lesbo, Grecia, 2016 ; quello sull’Antartide per documentare gli effetti del cambiamento climatico.

Il consiglio è di affrettarsi a visitarla perché, come scrive Denis Curti nel catalogo, ogni immagine possiede la capacità di raccoglere sentimenti e di restituirli in forma armonica e poetica.

Ad una domanda di Michele Smargiassi, se il mestiere del fotografo possa cambiare il mondo, Pellegrin risponde : Io non credo di potere o dover cambiare la testa a nessuno. Chiedere alle fotografie di cambiare il mondo forse è presuntuoso. Ma pretendere che le fotografie esistano è indispensabile. Un mondo senza fotografie mi farebbe paura. Voglio far parte di un mondo dove le fotografie entrano nello spazio pubblico, innescano un dialogo sociale.

Quanto al titolo della mostra, “L’orizzonte degli eventi – scrive nel catalogo Annalisa D’Angelo - , in fisica è la zona teorica che circonda un buco nero, un confine oltre il quale anche la luce perde la sua capacità di fuga ; attraversato questo confine, un corpo non può più andarsene e scompare dalla nostra vista. L’ espressione orizzonte degli eventi si riferisce quindi all’impossibilità di assistere a un qualsiasi avvenimento che si svolge oltre quel confine “.

A chi non potesse recarsi all’isola di San Giorgio non resta che acquistare l’elegante catalogo e iniziare una serie di riflessioni : perché le guerre continuano e non si fermano mai? (oltre a Russia-Ucraina è ritornata anche Israele – Palestina) ; la bellezza della natura sarà tra poco tempo solo un ricordo ? ; gli uccelli nel cielo continueranno a volare ?

 




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