lunedì 24 aprile 2023 - Phastidio

PNRR: la fobia per la concorrenza causa il flop

Una pubblica amministrazione zavorrata da sempre da uso improprio e l'elevazione a norma di misure emergenziali: "Italia domani" rischia di essere quella di ieri ma con molto più debito

di Luigi Oliveri

Egregio Titolare,

c’è un filo rosso che unisce PNRR e relative (non certo imprevedibili) difficoltà di attuazione, appalti e rafforzamento delle competenze e dei ranghi della pubblica amministrazione, chiamata a tale attuazione. Tale elemento unificante è la forte allergia alla concorrenza.

Le recenti riforme al sistema del reclutamento e i nuovi Ccnl dei dipendenti pubblici e il nuovo codice dei contratti (la cui entrata in vigore è posticipata a luglio) lo comprovano facilmente.

UNA PA SMANTELLATA

Partiamo, prima, dai presupposti. La tremenda ondata della pandemia tra il 2020 e il 2021 particolarmente ha evidenziato in tutta la sua allarmante crudezza le conseguenze di uno smantellamento voluto e perseguito da tutte le forze politiche alternatesi nelle maggioranze del Parlamento negli ultimi 30 anni.

Basti ricordare pochi esempi: strutture sanitarie al collasso (anche per le scriteriate politiche dei numeri chiusi alle facoltà universitarie e alle specializzazioni); servizi sociali desertificati; scuole e uffici senza personale ausiliario.

Il PNRR è stato frutto di un complicatissimo negoziato con la Ue, avente lo scopo preciso di acquisire finanziamenti, per oltre la metà a debito, da finalizzare a politiche economiche di rilancio e crescita, il cui presupposto fosse l’applicazione di riforme, in particolare alcune riferite, da una parte, al rafforzamento della pubblica amministrazione e, dall’altra, alla razionalizzazione delle troppo complesse regole operative.

Gli enormi problemi che si stanno riscontrando nell’attuazione del PNRR dimostrano, se ve ne fosse stato bisogno, che purtroppo non basta enunciare le riforme, né approvare le leggi poste a regolarle: occorre tempo per attuale; per altro, se le riforme sono sin dall’origine inefficaci e fuori mira, anche il tempo necessario alla loro applicazione si rivela vano e inidoneo ad evitare l’immancabile flop.

Andiamo alla PA. Con la pandemia abbiamo “scoperto” che la pubblica amministrazione è fortemente sottodimensionata: non solo perché nel lasso di tempo tra il 2003 e il 2020 ha perso definitivamente circa 500.000 unità di personale, ma anche perché in ogni caso l’Italia partiva da una media di dipendenti per abitanti inferiore a quella Ocse e comunque il numero assoluto era più basso di Paesi competitori come Germania, Francia e Gran Bretagna. Il numero dei dipendenti pubblici è sempre stato, nei suoi picchi di questo periodo, mai superiore a 3,6 milioni (oggi è attestato a poco più di 3 considerando anche il precariato), a fronte di oltre 4 milioni in Germania e oltre 4 in Francia e Gran Bretagna.

Si è predicato di “affamare la bestia” ma, a forza di sottrarle il fieno, la bestia è morta. Quasi 4 lustri di blocchi o tetti fortissimi alle assunzioni e blocchi alla contrattazione hanno sortito la conseguenza di fare andare in obsolescenza le competenze, giungere ad un’età media di oltre 50 anni, rendere impraticabili serie prospettive di carriera.

NUOVE COMPETENZE CHE LATITANO

Per attuare il PNRR servirebbero energie giovani, competenze nuove, apertura alle nuove tecnologie e al digitale, conoscenza delle regole invero complesse della progettazione e rendicontazione delle risorse europee, dovizia di tecnici capaci di garantire la realizzazione dei progetti. Ma, tutto questo mancava alla fine del 2020 e agli inizi del 2021, quando si è dato corso alle riforme normative per migliorare il reclutamento nella PA e a distanza di 2 anni manca ancora.

Le ragioni? Oltre ad aver reso i concorsi qualcosa di poco più di una prova scritta a crocette di un’oretta ed un colloquio orale davvero poco probanti, nonostante tutti gli slogan sulla necessità di acquisire nuove competenze e ringiovanire la PA:

  1. parte molto rilevante delle opportunità di lavoro offerte dai concorsi legati strettamente al PNRR sono a tempo determinato; è vero, con possibilità di successive stabilizzazioni, ma attualmente non oltre la soglia del 40% del totale;
  2. l’apparato normativo da maneggiare è molto complesso e i dipendenti pubblici oltre ad essere soggetti alle normali responsabilità disciplinari, civili e penali di chiunque, debbono guardarsi da pesanti e specifiche responsabilità professionali e contabili;
  3. il trattamento economico, nonostante i rinnovi contrattuali, è pari o inferiore a quello che ormai si riscontra nel mercato privato: non il massimo per attrarre in un mondo molto complesso e dalle tante responsabilità;
  4. non c’è la capacità di connettere il reclutamento al domicilio o alla residenza: molti vincitori, mandati a centinaia di chilometri di distanza da dove vivono, rinunciano;
  5. le pubbliche amministrazioni non sono capaci di descrivere bene i profili e le mansioni e i ruoli da ricoprire; molti nemmeno partecipano o rinunciano, perché convinti di un appiattimento o di una genericità eccessiva delle professionalità;
  6. i trattamenti economici tra le varie amministrazioni sono fortemente asimmetrici (quelli del comparto enti locali i più penalizzanti): chi partecipa ai reclutamenti pubblici partecipa a più concorsi, spesso ne vince in serie e ovviamente sceglie il lavoro più remunerativo e conveniente a discapito degli altri.

Non bastasse ciò, mentre il legislatore ha apprestato riforme dei concorsi comunque inefficaci e non assicurato sufficienti risorse a rinnovi contrattuali capaci di rendere competitivi i trattamenti economici, ha anche rilanciato le “progressioni verticali”, cioè procedure selettive riservate esclusivamente a dipendenti interni.

La legge (articolo 52, comma 1-bis, del d.lgs 165/2001) stabilisce che questi concorsi “interni” possano essere utilizzati per coprire non più del 50% delle posizioni vacanti indicate nelle programmazioni dei fabbisogni. Strano: da un lato si levano alti lai per una PA composta da dipendenti anziani e con competenze obsolete e inadeguate; dall’altro, si consente di sottrarre al mercato ove provare a reperire giovani competenti la metà dei fabbisogni.

Ma non basta: con una forzatura evidente alle norme, i vari contratti collettivi nazionali dell’ultima tornata dei rinnovi hanno a loro volta introdotto progressioni verticali “transitorie” ulteriori e diverse, che secondo una lettura più che discutibile dell’Aran andrebbero oltre addirittura quella soglia del 50% indicata prima. Non solo: queste progressioni consentirebbero la promozione interna anche a personale privo del titolo di studio che sarebbe invece necessario se partecipassero a veri e propri concorsi pubblici.

Una PA chiusa in se stessa, che rifugge dal cercare pubblicamente nel “mercato” le professionalità ed i giovani di cui ha bisogno, intenta a sottrarre alla ricerca di professionalità nuove fette enormi dei propri fabbisogni rivolgendosi, per altro, a quello stesso personale anziano e poco qualificato (tanto da non possedere nemmeno il titolo di studio adeguato), non può certo presentarsi come “attrattiva” nei confronti dei giovani.

APPALTI, EMERGENZA CODIFICATA

L’idiosincrasia per il mercato, per regole di competizione utili a selezionare i migliori e i più capaci, si rileva anche con più evidenza nel settore degli appalti.

Le urla che si stanno levando contro il nuovo codice, causate in particolare dall’eccessiva apertura ad affidamenti diretti, dunque senza gara, appaiono davvero incomprensibili o in qualche misura pretestuose.

Il nuovo codice (che, poi, in molte parti proprio così “nuovo” non è, visto che riesuma vecchi fossili come il contraente generale e l’appalto integrato e riproduce, sostanzialmente, tutti i contenuti di quello “vecchio”, anche se con una scrittura più chiara) rispetto agli affidamenti sotto soglia, sì quelli che permettono di individuare gli appaltatori senza gara o con garette tra 5 operatori nel 98% dei casi, non fa altro che mettere a regime quanto già deciso:

  1. dalle disposizioni “emergenziali”, contenute nel d.l. 76/2020 e nel d.l. 77/2021;
  2. nella legge delega che ha previsto l’emanazione del nuovo codice, cioè la legge 78/2022.

Sebbene l’attuale Ministro delle infrastrutture orgogliosamente intesti a se stesso il codice, come si nota le norme che lo denotano per la forte sottrazione alle logiche della concorrenza, del mercato, della competizione e anche del controllo non solo amministrativo, ma anche sociale e appunto scaturente dalla concorrenza tra aziende, sono state progressivamente disposte da tutte le forze politiche: prima la maggioranza giallo-verde, poi la larghissima maggioranza del governo Draghi e adesso la nuova maggioranza, guidata dal partito della Premier, l’unico che era rimasto costantemente fuori dalle due precedenti. Partito che però era stato presente in più datati interventi sulla materia degli appalti, oggetto proprio come la pubblica amministrazione, di decine e decine di riforme, mai particolarmente fortunate ed efficaci.

L’ORRORE PER LA CONCORRENZA

Il filone diremmo culturale è, dunque, ben chiaro: l’orrore per la concorrenza e l’idea che le semplificazioni consistano non nell’eliminare il superfluo creando piattaforme digitali e database comuni di scambio di documenti validi per comunicazioni e notifiche, nonché tracciamento dei fascicoli (anche ai fini della trasparenza), ma nel cancellare qualsiasi regola. Cancellazione, per altro, che negli appalti riguarderebbe solo la fase di gara, quella che secondo le stime comuni impegna solo il 12% circa del tempo complessivo di realizzazione di un’opera pubblica.

Immaginare, dunque, che anche queste riforme portino poco lontano non è esercizio di pessimismo: è la solita realtà che prima o poi viene a chiedere il conto. Magari sotto il nome di PNRR.


Quando si sono trascorsi decenni a concepire e usare la pubblica amministrazione come un ammortizzatore sociale anziché come strumento di crescita a supporto del settore privato, macellandola quando la crisi fiscale ha iniziato a mordere, e quando una classe politica, inclusa la sua propaggine sindacale, è culturalmente ossessionata da concorrenza e competizione, considerate come una dinamica demoniaca “neoliberista” da neutralizzare ogni volta che è possibile, quello che si ottiene è ciò che ci si para di fronte: la paralisi e il panico. E la classica reazione pavloviana della cristallizzazione di misure emergenziali, come le non-gare del “nuovo” codice degli appalti. Potremo anche “farcela”, a metterci al collo quell’agognato debito assurdamente vissuto come un jackpot, ma sarà solo l’ennesima scorciatoia italiana verso il declino. “Italia domani” rischia di essere terribilmente simile a quella di ieri, solo con molto più debito. (MS)

 




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