venerdì 14 aprile 2023 - Phastidio

PNRR, cronaca di un disastro annunciato

La spesa è in forte ritardo, mancano competenze e personale, il governo farfuglia soluzioni immaginarie mai definite. In compenso, è tornata la gag del Ponte sullo Stretto

 

Martedì prossimo, la Corte dei conti presenterà la relazione semestrale al parlamento sullo stato di avanzamento del PNRR, cioè gli esborsi effettivamente sostenuti. Oggi il Sole, che ha preso visione delle quasi 400 pagine della relazione, illustra i numeri di un pachiderma piantato in mezzo alla strada. Lentezze procedurali, strutturazione dei processi di spesa, drammatico ma non imprevedibile deficit di competenze nella pubblica amministrazione, soprattutto al Sud. Tutti elementi che frenano gli esborsi e la loro auspicata capacità espansiva, e si accingono a riprodurre su scala ben maggiore gli andamenti tradizionalmente desolanti dei nostri programmi di spesa collocati entro la cornice del bilancio ordinario europeo settennale.

SPESE COL CONTAGOCCE PERCHÉ CONTROLLATE

Nell’articolo del Sole, a firma di Manuela Perrone e Gianni Trovati, si legge che la spesa effettivamente realizzata allo scorso 31 dicembre è di 22,044 miliardi di euro, ed è salita al 13 marzo scorso a 23 miliardi, legati a 107 (105 investimenti e 2 riforme) delle 285 misure elencate dal PNRR. Il tasso di realizzazione è sin qui al 12% del totale delle risorse messe a disposizione entro il 2026. Rispetto alla tabella di marcia, siamo a circa la metà degli esborsi.

Ma le cose si fanno ancora più cupe se andiamo a depurare tali spese dalle componenti automatiche legate a crediti d’imposta che vengono “tirati” dal settore privato, quindi senza intervento di programmazione e realizzazione delle pubbliche amministrazioni. Ad esempio, i crediti d’imposta legati a Industria 4.0 e al Superbonus edilizio 110%, per la parte spostata nel PNRR.

Se depuriamo il dato di spesa già sostenuta da tali componenti automatiche del settore privato, arriviamo a un esborso indotto dalla pubblica amministrazione di poco più di 10 miliardi su un totale di 168, un terribile 6%. A livello di singole Missioni,

Nella Missione 6, dedicata alla Salute, la spesa è praticamente assente (79 milioni su 15.626, quindi lo 0,5%), nella Missione 5 su Inclusione e coesione si arriva a 239 milioni (1’1,2% dei 19,851 miliardi di budget) mentre su Istruzione e ricerca (Missione 4) si arranca fino al 4,1% (1,273 miliardi spesi su 30,876).

Dove le cose vanno meglio è nella Missione “mobilità sostenibile”, ma solo perché sono stati svuotati i cassetti dei progetti ferroviari, che erano pronti per l’avvio e la cantierizzazione da tempi precedenti il Recovery Fund. Non stupisce quindi che la spesa del PNRR abbia finora viaggiato sulle grandi stazioni appaltanti pubbliche, che hanno sin qui assorbito il 39% delle risorse.

La spesa dovrebbe accelerare quest’anno e toccare una velocità di crociera di 40-45 miliardi annui nel 2024-25, ma neppure il governo fa mostra di credere a questo scenario, visto che continua a tentare di chiedere a Bruxelles non meglio specificate agevolazioni di tempi e modi. Ricordate come iniziò? C’è troppa inflazione e troppo poco tempo, dovete darci altri soldi oppure allungarci i tempi, dicevano i nostri eroi in campagna elettorale.

PRENDERE TEMPO E DENARO

Scordando o fingendo di scordare che l’unica cosa da fare in questi casi è sfrondare il numero di progetti sognati, e andare oltre. Ammesso e non concesso di avere capacità di realizzazione delle opere. Che tuttavia pare latitare. Poi è subentrata una nuova meravigliosa idea: prendiamo tempo dalla porta di servizio, spostando parte dei fondi del PNRR alla programmazione pluriennale ordinaria, e così recuperiamo un paio di anni. Se solo fosse così facile.

Peraltro, c’è il problema che nei fondi della programmazione ordinaria serve il co-finanziamento nazionale, e sono soldi veri. Da qui, pare (ma la cautela è d’obbligo, potrebbe non essere così) si sia sviluppato un negoziato sotterraneo con Bruxelles, dove noi italiani tratteniamo la ratifica del MES (il nostro irrazionale spauracchio, ormai tale da scatenare enuresi notturna nei nostri eletti), sin quando “gli ottusi burocrati” e soprattutto i non meno ottusi capi di stato e di governo del resto della Ue acconsentiranno a farci scomputare dal deficit la quota di co-finanziamento nazionale.

Che, sulla programmazione ordinaria, sarebbe un sontuoso 0,23% medio annuo di minore deficit. Come se i mercati non fossero in grado di accorgersi della presenza di un deficit “sotto la linea” che viene chiamato Giovanni anziché deficit. E vabbè. Poi ci sono i problemi di personale degli enti locali, soprattutto al Mezzogiorno, per i quali si cercano soluzioni tampone e assunzioni aggiuntive a tempo determinato.

IL DISEGNO DELLE STRUTTURE È UNO SCARABOCCHIO

E c’è anche il problema del disegno delle strutture di supervisione e regia. Come segnala Marco Leonardi, economista che la scorsa legislatura ha avuto un ruolo nel disegno di tali strutture, a livello comunale c’è un problema di assistenza tecnica al personale amministrativo, che spesso è numericamente esiguo, con scarsa preparazione e di età media ormai elevata. Anche per questo serve che i comuni possano attingere a strutture centrali di consulenza tecnica già previste: quella gestita da enti centrali come Cdp e Invitalia e quella dell’associazione dei comuni Anci-Ifel, la cui funzione è appunto quella di affiancare i comuni nel ciclo degli investimenti, dalla progettazione alla rendicontazione.

Ricordiamo, sempre con le parole di Leonardi, l’essenza del Recovery Fund, che poi è anche la cosa che promette di farlo fallire miseramente:

I comuni di tutte le dimensioni sono destinatari di più del 40 per cento delle risorse totali e il 40 per cento è stato assegnato ai comuni del Mezzogiorno.

Qui ci sovvengono alcune polemiche neo-borboniche di tempo addietro. Che in sostanza dicevano: “ricordate che, se il PNRR italiano è così corposo, è ‘merito’ delle condizioni economiche disastrose delle nostre regioni meridionali, che pertanto non possono vedersi scippare la destinazione dei fondi ad esse pertinente”. Molto vero, ma per l’ennesima volta riusciamo a deformare in farsesco una situazione che andrebbe solo definita tragica.

Da ultimo, Leonardi evidenzia un irrigidimento nella catena di controllo, conseguenza dell’abolizione dell’Agenzia della Coesione, fatta confluire nel dipartimento della Presidenza del Consiglio, privandola in tal modo dell’agilità organizzativa tipica delle agenzie, per svolgere l’attività di consulenza tecnica ai comuni.

Comprendo che a molti lettori questi aspetti suonino sanscrito, ma le procedure sono la cosa che si frappone tra i sogni e la realtà. Ci sono poi aspetti legati all’attuazione dei principi di fondo del Recovery Fund, tra cui lo sviluppo della concorrenza. E qui la mente corre al teatrino da spiaggia delle concessioni balneari, che sono l’elefante nella stanza italiana in Europa, anche se da noi “qualcuno” si attarda e ostina a dire che i balneari non sono nel PNRR. La concorrenza c’è, eccome.

IL PONTE A CAMPATA PER ARIA

In tutto questo desolante panorama, abbiamo un ministro delle Infrastrutture che va in televisione dal Grande Officiante di tutte le Repubbliche italiane (prima, seconda, terza e quelle che verranno sinché biologia non ci separi), con un bel plastico del ponte sullo Stretto, probabilmente recuperato dai magazzini della Rai dove si trovava da un ventennio, dai tempi eroici di Berlusconi e dei suoi contratti con gli italiani, scritti con inchiostro simpatico.

Un vero peccato che il nostro ministro tuttofare (da poliziotto a ingegnere civile, passando per assaggiatore da sagra paesana), punti a resuscitare contratti vecchi di quasi un ventennio e già dichiarati morti, con immancabile coda di contenzioso con gli appaltatori vincenti. Credo si chiami, ossimoricamente, reviviscenza di caducazioni: pensate che espressione poetica!

Quindi, per riassumere: confermiamo la nostra congenita incapacità a programmare investimenti; vorremmo mani libere su grandi voci di spesa, del tipo “io ai miei cani dò i soldi, e loro si comprano quello che vogliono”; stiamo sbattendo contro i vetri della realtà come calabroni non troppo svegli. Eppure, siamo qui a mostrare il plastico del Ponte sullo Stretto, un’idea a campata unica per aria, che per gli appaltatori produce l’effetto di quel detto sulle cause per gli avvocati: “rende sin quando pende”, ma per ammazzare il tempo proseguiamo a berciare sulle “farine di insetti” e altre amenità. Proprio vero che, quando si tratta di diversivi, il genio italico svetta:

A questo punto, ribadisco la mia speranza: meglio perdere i fondi del PNRR che spenderli ad mentulam canis e poi ritrovarsi col debito appeso al collo, alla ricerca di un ponte da cui buttarsi. Che non sarebbe comunque quello sullo Stretto perché quello non vedrà comunque la luce.

 




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