giovedì 31 marzo 2022 - Phastidio

PA | Il lavoro è agile, le comunicazioni no

Mentre il settore privato va verso modalità standardizzate e massive per la formalizzazione degli accordi di smart working, la PA resta al barocco

 

di Luigi Oliveri

Egregio Titolare,

quante volte abbiamo sentito il refrain della “semplificazione”? Tanto più la si evoca, tanto meno la si riesce effettivamente a perseguire, specie nell’ambito della pubblica amministrazione e del lavoro pubblico.

Un esempio per tutti? Lo smart working e l’accordo individuale col quale regolamentarlo tra lavoratore e datore.

Tale accordo è richiesto dall’articolo 18 della legge 81/2017. Lampante ed evidente: il lavoro agile è una modalità di resa della prestazione lavorativa, che non può né essere imposta dal datore al dipendente, né da questo a sua volta scelto a prescindere da un consenso datoriale, viste le implicazioni organizzative che ne derivano.

Tuttavia, Titolare, di un elemento tanto necessario, quanto scontato, ovvero l’accordo tra datore e lavoratore da qualificare come fonte del lavoro agile, si è presto costruito un vero e proprio feticcio, mediante una formalizzazione ed una proceduralizzazione oggettivamente eccessive.

Sul piano formale, l’accordo viene da molti visto come un vero e proprio contratto individuale di lavoro, accessorio a quello che disciplina i rapporti tra le parti, avente un contenuto ampio e diffuso, in particolare qualificato per il richiamo alle varie misure di sicurezza e di garanzia del diritto alla riservatezza.

Sul piano procedurale, è stato realizzato un applicativo informatico per comunicare gli accordi individuali sottoscritti al Ministero del lavoro.

Come un contratto di lavoro

Come dice, Titolare? Visto che lo smart working non è uno specifico contratto di lavoro (tipo apprendistato o contratto a tempo parziale, per capirsi) ma una modalità di resa del lavoro, perché si richiede di comunicarlo, come se invece fosse appunto una tipologia contrattuale?

Una spiegazione la fornisce la circolare Inail 2 novembre 2017, n. 48:

Consentire ai datori di lavoro pubblici e privati di comunicare l’avvenuta sottoscrizione dell’accordo per lo svolgimento della prestazione lavorativa in modalità di lavoro agile […] al fine di realizzare un monitoraggio sulla concreta diffusione di tale modalità lavorativa e sui relativi effetti prodotti sul piano assicurativo, ai fini di un eventuale aggiornamento dei rischi assicurati.

L’eterogenesi dei fini e la ridondanza burocratica, tuttavia, sono sempre in agguato. L’applicativo informatico richiede manuali operativi di parecchie pagine (qui una versione del 2019) e soprattutto, molti passaggi operativi:

  • inserimento dei dati anagrafici del dipendente (cognome, nome, comune nascita, data di nascita del lavoratore);
  • inserimento della data di inizio rapporto di lavoro;
  • specificazione della tipologia rapporto di lavoro;
  • verifica se il rapporto di lavoro è attivo;
  • valorizzazione della posizione assicurativa Inail;
  • indicazione della data di sottoscrizione dell’accordo individuale di smart working;
  • indicazione se l’accordo è a tempo indeterminato e in questo secondo caso specificazione della data di inizio e fine;
  • caricamento del file contenente l’accordo, in formato .pdf/a;
  • conferma dei dati;
  • invio finale.

Ora, Titolare, se questi passaggi si dovessero effettuare per pochi accordi, già risulterebbero ridondanti (non si capisce, invero, la necessità di allegare il testo dell’accordo, visto che esso vincola solo le parti e non è soggetto ad alcun controllo né di legittimità, né di merito). Ma, comunque, quando si pensò di realizzare l’applicativo, negli anni tra il 2017 e il 2019, il lavoro agile era davvero “questo sconosciuto” e si trovava confinato in poche sperimentazioni dal corto respiro, coinvolgendo, di conseguenza, altrettanto pochi dipendenti, sia nel pubblico, sia nel privato.

Purtroppo, poi è scoppiata la pandemia. E nel 2020, quando il lavoro agile divenne da Cenerentola dell’organizzazione del lavoro una tra le misure principali del distanziamento sociale, ci si rese conto della complicazione derivante dal sistema delle comunicazioni sopra descritto.

La semplificazione da pandemia

Infatti, si escogitò velocemente un sistema semplificato, sostanziato su due elementi:

  1. prima, la semplificazione della comunicazione degli accordi, trasformata nella semplice compilazione di un file riassuntivo, con un set di informazioni molto stringato (vedi sotto);
  2. fare a meno dell’accordo, consentendo alle aziende di disporre in modo anche unilaterale i dipendenti in smart working, divenuto non più solo uno strumento di organizzazione del lavoro, attento anche ad esigenze di conciliazione della vita non lavorativa, ma anche una misura utile a prevenire i contagi.

schema comunicazione lavoro agile

Dal primo aprile 2022, cessa lo stato di emergenza, che aveva consentito di derogare all’esigenza di regolare il lavoro agile mediante accordi individuali e di comunicarli mediante l’applicativo.

Tuttavia, le imprese private hanno evidenziato al Governo le complicazioni sottostanti in particolare alle comunicazioni. Come evidenziato prima, un conto è utilizzare l’applicativo una tantum per poche sperimentazioni, altro è, invece, un impiego ampio, diffuso e ripetuto (visto che la gran parte degli accordi sono a tempo determinato), che potrebbe riguardare fino a 4 se non 5 milioni di lavoratori.

Per questa ragione, l’articolo 10 del d.l. 24/2022 (nella maniera al solito poco comprensibile del rinvio all’allegato B., punto 2, del medesimo d.l.) proroga fino al 30 giugno le modalità semplificate per gestire lo smart working e, cioè, niente accordo individuale e comunicazione anche massiva dei lavoratori collocati in lavoro agile, utilizzando il file riassuntivo descritto prima.

Come standardizzare

Il che, Titolare, conferma indirettamente che se se si proroga un regime “semplificato”, quello ordinario tanto semplice non deve essere. In sostanza, ci si dà tempo fino al 30 giugno 2022 per capire se ci si possa permettere di gestire nel modo formale e proceduralizzato la formalizzazione e soprattutto la comunicazione del lavoro agile.

Un accordo individuale è certo necessario. Non tanto e non solo perché previsto dalla legge, ma perché il rapporto di lavoro è comunque un contratto e, dunque, le modalità di resa della prestazione non possono essere disposte unicamente da una delle parti contrattuali. Certo, passare per accordi individuali di diverse pagine e con molte clausole (per altro in gran parte ripetitive di quelle presenti nelle leggi), non facilita.

Ferma restando la forma scritta, non sarebbe male consentire forme di accordo molto agili a loro volta: la determinazione di condizioni generali di contratto da parte del datore, con conseguente stipulazione dei lavoratori interessati, previo assenso del datore, mediante lo schema dell’adesione (secondo lo schema degli articoli 1341 e 1342 del codice civile, largamente utilizzati per esempio dalle aziende di fornitura di energia), con la specificazione solo della tipologia (a tempo determinato o indeterminato) e dei criteri per determinare quanti e/o quali giorni (alla settimana, al mese o al periodo plurimensile) lavorare in smart working. Poche righe potrebbero bastare.

La comunicazione, poi, una volta che il sistema si sia adattato ad un numero non più asfittico e sperimentale di lavoratori agili, non può che orientarsi verso modalità massive e semplicissime, tali da non costringere gli uffici amministrativi a defatiganti imputazioni di dati.

Il settore pubblico resta fuori

Tutto questo, però, Titolare, se varrà, varrà solo per il lavoro privato. Infatti, a partire dallo scorso 15 ottobre, il lavoro pubblico deve non solo regolare il lavoro agile mediante gli accordi individuali formali, quelli da molte pagine, con firma “in calce”, lavatura, imbiancatura e stiratura (cit.), ma anche comunicare gli accordi non mediante il sistema massivo semplificato, bensì utilizzando il cervellotico applicativo del Ministero.

Come se, Titolare, la semplificazione dovesse necessariamente passare solo ed esclusivamente per il sistema privato, ma negata per il pubblico. Salvo, poi, leggere lai e lamentazioni contro l’eccesso di “burocrazia” che coinvolge il pubblico. Lamentazioni troppo spesso prive della ricerca delle fonti di queste complicazioni: basterebbe poco per capire che moltissime di esse derivano da scelte normative e governative e non sono generate dai “burocrati”, che, spesso, le subiscono, sebbene poi le vere vittime sono i cittadini, l’efficienza e la logica.




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