venerdì 27 gennaio 2017 - Professional Consumer

Oxfam, Davos e chi più ne ha più ne metta

Oxfam ha diffuso un nuovo rapporto sulla ricchezza per far fischiare le orecchie a quelli del World Economic Forum di Davos che, con i paraorecchie nel gelo svizzero, avranno avuto difficoltà ad ascoltare. 

Secondo l’ONG otto* super miliardari detengono la stessa ricchezza netta (426 miliardi di dollari) di metà della popolazione più povera del mondo, vale a dire 3,6 miliardi di persone.

Nel rapporto intitolato ‘Un’economia per il 99%’ viene preso in esame l’ampliamento del divario tra il benessere di ricchi e poveri, una diseguaglianza che, secondo l’organizzazione, si sta “estremizzando oltre ogni ragionevole giustificazione”. I dati dicono che multinazionali e super ricchi continuano ad alimentare la diseguaglianza di reddito e sociale, facendo ricorso a pratiche di elusione fiscale, massimizzando i profitti anche a costo di comprimere verso il basso i salari e usando il loro potere per influenzare la politica.

Roberto Barbieri, direttore generale di Oxfam Italia, dice dati, fa considerazioni: poi, non pago, sbotta: ‘È osceno che così tanta ricchezza sia nelle mani di una manciata di uomini, che gli squilibri nella distribuzione dei redditi siano tanto pronunciati in un mondo in cui 1 persona su 10 sopravvive con meno di 2 dollari al giorno. La diseguaglianza stritola centinaia di milioni di persone condannandole alla povertà; rende le nostre società insicure e instabili, compromette la democrazia’.

Osceno? Ci risiamo: di fronte al problema reale dell'iniquità, che ha generato la crisi e che ancora la perpetua, si grida disprezzo.

Beh, c'è un però, però: quando il disprezzo scalda la questione morale e tira in ballo l'etica, finisce per fare il gioco di che vuol buttarla in caciara.

Essì, il prezzo invece va dritto in culo alla balena: l'elusione fiscale taglia la spesa pubblica, i redditi insufficienti tagliano quella privata; quelli troppo alti vengono in buona parte sottratti alla spesa; manca pure il vantaggio della spesa in conto capitale. Tutto questo fa il prezzo che si paga alla crisi.

Occorre tirare in ballo la morale ed ancor di più l'etica per dipanare il guazzabbuglio o ancor più lo ingarbugliano?

Beh, se la crescita si fa con la spesa aggregata, che corrisponde al Pil, e vien fatta così "risulta la più bassa degli ultimi sette anni; quella del libero commercio mondiale sta su livelli ancor più bassi”.

Ehi la, là, se a Davos lo dice il Presidente cinese Xi Jinping, vuoi vedere che si cominciano a temere gli effetti indotti dal "paradosso della parsimonia"?

Essipperchè, fa male alla crescita quel combinato disposto tra la spesa mancata e i bassi tassi di interesse che non remunerano i risparmi rimasti in tasca. Beh con la crisi finiranno pur essi a dover pagare pegno tirando fuori quei risparmi per mantenere il potere d'acquisto e spenderlo.

Già, dai tempo al tempo e verranno sottratti redditi dalle tasche pure di chi ce li ha.

E per l'amordiddio non ci si accontenti di pensare questa parsimonia quale ristoro della questione etica.

No, tutto questo è, più semplicemente, il lascito di una pratica economica insipiente prima dei danarosi poi delle leadership!

 

P.s: Le regole dell'Economia dei Consumi non consentono di vivere nel lusso ed esser temperanti nella spesa.

*Almeno tre di questi, riferisce una ricerca del 2013 dell'università di Oxford, «capitalizzano in Borsa 1.090 miliardi di dollari con 137 mila dipendenti, mentre 25 anni fa le tre maggiori aziende manifatturiere americane capitalizzavano in tutto 36 miliardi di dollari impiegando 1,2 milioni di lavoratori». Cavolaccio, se l'impresa traserisce la ricchezza, generata dalla crescita, ai redditi da capitale e da lavoro ed il lavoro non c'è, il malloppo resta in tasca al capitale. Eggià, toccherà ripensare quel meccanismo di trasferimento!

 

Mauro Artibani

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