giovedì 22 ottobre 2020 - UAAR - A ragion veduta

Ora di religione e ora alternativa: la reazione del Cei alla vittoria legale Uaar

“Nicola, ho letto di una sentenza del TAR a proposito dell’ora alternativa all’IRC, ci aiuti a capire?”. È la domanda di un lettore di culturacattolica.it, a cui risponde l’“esperto Cei di Irc” Nicola Incampo, il quale si scaglia contro l’Uaar, crea confusione, non entra nel merito e scrive strafalcioni. Cosa sta succedendo?

La vicenda parte da lontano, nel gennaio 2012, con la lettera che l’Uaar aveva scritto alle scuole per invitare i dirigenti scolastici a garantire tempestivamente i diritti degli scolari che non si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica (Irc). Il quotidiano dei vescovi Avvenire rispose a stretto giro, tramite il proprio esperto Nicola Incampo, attribuendo all’Uaar l’intento di creare confusione e intimando ai dirigenti scolastici non far nulla per organizzare le attività alternative all’Irc se non ad anno scolastico avviato. C’è da immaginare che i vescovi non si limitarono alle esternazioni sul loro giornale: coincidenza volle che il Ministero dell’istruzione modificò la circolare per le iscrizioni scolastiche e dall’anno successivo le scuole non raccolsero più il modulo di scelta delle attività alternative contemporaneamente a quello dell’Irc, ma solo quando era ormai troppo tardi, ossia dopo il primo giorno di scuola e a lezioni di religione cattolica, quelle sì, partite tempestivamente. Con conseguenze tristemente prevedibili: discriminazione infantile su base religiosa tra le mura della scuola pubblica, con bambini di 3-11 anni smistati in altre classi, messi in corridoio, oppure costretti ad assistere alla lezione del docente scelto dal vescovo. Questo per settimane o mesi, in attesa che la scuola assicurasse quello che è semplicemente un loro diritto: un insegnante, un programma didattico, un’aula per accoglierli e per garantire loro il diritto all’istruzione senza indottrinamenti religiosi.

L’Uaar fece ricorso, e dopo ben sette anni il Tar le ha dato ragione, imponendo al Ministero dell’istruzione l’annullamento di quelle ingiuste e discriminatorie disposizioni. Ecco la ragione della reazione scomposta di Incampo di pochi giorni fa. Talmente scomposta che nella sua risposta al lettore che chiede chiarimenti sull’ora alternativa all’Irc arriva a negare il diritto all’attività didattica e formativa (proprio così, l’esperto Cei cita solo le possibilità di studio individuale e di uscita dalla scuola!). Arriva ad affermare che l’Irc è una disciplina come tutte le altre, quando invece è facoltativa. Arriva ad affermare, come stesse recitando per uno spot, che l’Irc è la “disciplina più amata dagli italiani”.

Ci sarebbe da sorridere se non ci fossero di mezzo sofferenze inflitte a famiglie e bambini. Come la piccola crudeltà finale rimarcata dall’esperto Cei: chi non accetta di subire le lezioni che per legge sono “conformi alla dottrina della Chiesa” dovrebbe infatti impiegare il tempo in maniera non proficua, perché altrimenti “verrebbe a godere di un supplemento orario in alcune materie”. Curioso: chi predica di amare il prossimo sembra non esser lieto se un bambino impara cose utili. Una sorta di rappresaglia: non segui la mia lezione dottrinale? Allora stai buono a fare i disegnini e non ti azzardare ad accrescere le tue conoscenze in Scienze, Italiano, Geografia, Storia, Informatica, Arte e magari anche sui fenomeni religiosi, affrontati in maniera critica e includendo le concezioni del mondo di atei e agnostici, che numericamente in Italia sono il doppio dei fedeli di tutte le confessioni di minoranza messe assieme.

L’accusa di creare confusione lanciata dalla Cei otto anni fa si è quindi ritorta contro gli organizzatori dell’insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica. Perché il Tar ha dato torto alla loro azione volta a complicare le procedure e a mettere i bastoni tra le ruote a chi vuole una scuola laica tenendo a distanza un insegnamento conforme a una dottrina religiosa. Dieci giorni fa, accogliendo il ricorso dell’Uaar, il Tar del Lazio ha spazzato via la confusione creata dai vescovi, scrivendo nella sentenza che la scelta delle attività alternative all’Irc «deve avvenire in tempi che garantiscano la tempestiva programmazione e l’avvio dell’attività didattiche». Questo avrebbe dovuto rispondere un esperto alla domanda specifica sul significato di questa sentenza. Ma è difficile essere onesti intellettualmente quando si è parte del più grande fenomeno clientelare che interessa la pubblica amministrazione: gli oltre 25mila insegnanti di religione cattolica ottengono lo stipendio statale solo se hanno l’idoneità diocesana, solo se sono scelti dal vescovo in base a criteri che prendono in esame la conformità alla morale cristiana della vita privata di questi dipendenti dello Stato. Un abominio agli occhi della modernità.

Su una cosa però l’esperto Cei ci ha preso in pieno, ossia quando scrive che “il vero problema dell’Uaar non è l’attività alternativa all’ora di religione, ma la presenza a scuola dell’ora di religione cattolica stessa”. È proprio così, l’Uaar sostiene il diritto alle attività didattiche alternative all’Irc perché la loro organizzazione è oggettivamente ostacolata e fonte quotidiana di discriminazione infantile su base religiosa. Ma l’obiettivo sostanziale è abolire quel relitto concordatario dell’insegnamento della religione cattolica, per arrivare a “proposte formative rivolte a tutti e che studino una pluralità di concezioni del mondo, religiose o meno, la loro storia, le loro differenze e i loro punti comuni”. C’è da chiedersi se il Ministero dell’istruzione vorrà davvero voltare pagina, alla luce della sconfitta subita di fronte ai giudici del Tar. Una sconfitta dello Stato sul piano educativo e su quello del rispetto dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. O se ancora una volta subirà l’ingerenza dei vescovi e negherà il concreto diritto all’istruzione a chi chiede di non subire l’insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica.

Roberto Grendene

 




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