martedì 7 novembre 2023 - Giovanni Greto

Opera Ottocentesca e Opera Barocca entusiasmano il pubblico della Fenice

Cavalleria Rusticana e Orlando Furioso rappresentate in chiusura della stagione ‘Lirica e Balletto’ dello storico Teatro veneziano

La breve opera che ha dato il successo internazionale a Pietro Mascagni (Livorno, 1863 – Roma, 1945) mancava alla Fenice dal dicembre del 2009. E’ ritornata in scena, titolo amatissimo per ogni melomane che si rispetti, rinnovando e consolidando la collaborazione con l’Accademia di Belle Arti. Le scene e i costumi sono stati infatti ideati e realizzati dagli studenti della Scuola di Scenografia e Costume per lo Spettacolo dell’Accademia veneziana, mentre la regia è stata firmata da Italo Nunziata, il Light Design da Fabio Barettin e la direzione musicale di Orchestra e Coro, preparato da Alfonso Caiani, si è avvalsa dell’esperienza di Donato Renzetti.

Come ha sottolineato il regista, nell’approfondimento al capolavoro verista – contenuto nella rivista “VENEZIAMUSICA e dintorni”, curata con attenta passione dall’ufficio stampa del Teatro – l’elemento determinante è la ritualità della vita e del paese. Di un modo di pensare e di essere, che continua a perpetrarsi con il passare del tempo. Che porta a un raffronto tra maschile e femminile, tra uomo e donna, mettendo in evidenza una disparità della donna, che se non è sposata e non raggiunge un certo status, come la società e il piccolo paese dove è nata richiedono, non può gestire se stessa. Quindi Cavalleria rusticana rappresenta la tragedia di una donna che ha preferito la trasgressione alla normalità di un ordine non voluto.

L’azione scenica del melodramma in un unico atto, su libretto di Giovanni Targioni-Tozzetti e Guido Menasci, durato 75 minuti senza intervallo, è stata bene interpretata, non solo vocalmente, dall’intero Cast : Silvia Beltrami, soprano, nella parte di Santuzza ; Martina Belli, mezzosoprano, in quella di Lola ; Anna Malavasi, contralto, in quella di Lucia, la madre di Turiddu, il tenore Jean-François Borras, che pretende di continuare ad amare Lola, pur avendo promesso di sposare Santuzza. Ne sortirà un duello rusticano, in cui avrà la meglio il baritono Dalibor Jenis, un Alfio inizialmente felice, nel corso del tempo vendicatore dell’onore perduto.

Ad arricchire l’opera, la bravura tecnica del Coro del Teatro, istruito da Alfonso Caiani, con il compito di commentare una vicenda, inevitabilmente indirizzata verso un finale cruento.

E’ tratta dall’omonima novella di Giovanni Verga (Catania, 2 settembre 1840 – 27 gennaio 1922), pubblicata nel 1880 nella raccolta “Vita dei campi”, la quale fu trasposta dall’autore, costatatone il successo, in una pièce teatrale : la prima andò in scena con strepitoso successo al Teatro Carigliano di Torino il 14 gennaio 1884, con la divina Eleonora Duse nella parte di Santuzza.

La prima dell’opera, sei anni dopo, al Teatro Costanzi di Roma, il 17 maggio 1890 : ovazioni trionfali, probabilmente grazie alla coppia protagonista (Santuzza e Turiddu), insieme anche nella vita non artistica, composta dalla lombarda Gemma Bellincioni (1864 – 1950) e dal siciliano Roberto Stagno.

Italo Nunziata ha ambientato l’azione non più nella Sicilia ottocentesca, ma in quella degli anni Cinquanta del Novecento. Ho voluto togliere questa storia dal bozzettismo, l’idea di una Sicilia solare e felice. E’ invece una realtà molto più cruda e sopra tutto continuativa nel tempo.

Caratterizzata da comportamenti rituali, “Cavalleria rusticana” affronta tematiche come l’amore, il dramma dell’amore, la gelosia, che continuano ad essere assai attuali e che consentivano e consentiranno all’opera di non cadere mai nell’oblio, secondo il pensiero del Direttore Donato Renzetti. Musicalmente trionfa la melodia, in episodi entrati nei cuori degli appassionati : il celebre Brindisi corale (Viva il vino spumeggiante) ; l’Intermezzo strumentale ; lo straziante solismo finale di Turiddu, nell’accomiatarsi per sempre dalla madre (Mamma, quel vino è generoso…, concluso con queste parole: S’io non tornassi voi dovrete fare da madre a Santa, ch’io le avea giurato di condurla all’altare.

Applausi insistiti e sorriso nei volti della platea, risvegliatasi da un finale catartico.

Dalla Fenice si passa al Teatro Malibran, per approfondire l’indagine minuziosa delle opere del musicista veneziano più conosciuto nel mondo, grazie alle sue Stagioni : Antonio Vivaldi (Venezia, 4 marzo 1678 – Vienna, 28 luglio 1741).

Ecco allora la riproposizione dell’Orlando Furioso, che già aveva entusiasmato la platea veneziana nel 2018. Il dramma per musica in tre atti, che fu rappresentato per la prima volta al Teatro S. Angelo, di cui Vivaldi ricoprì il ruolo d’impresario, nel novembre del 1727, è ispirato dall’omonimo capolavoro di Ludovico Ariosto (1474 – 1533).

La trama, ridotta all’osso, rispetto ad un corpus di ben 46 canti, trascura la guerra santa tra cristiani e musulmani, preferendo concentrarsi sull’aspetto sentimentale del poema del 1516.

Autore del libretto è il ferrarese Grazio Braccioli (1682 – 1752), il quale ad una solida formazione giuridica accostava una forte passione per il teatro, rappresentando un tipo assai diffuso di intellettuale del primo Settecento, il cui esempio più illustre fu Carlo Goldoni.

Egli si concentra su due principali filoni narrativi, facenti capo alla terna Orlando – Angelica – Medoro e Bradamante – Ruggiero – Alcina. Ne sortisce un intreccio artificioso, illogico, caratterizzato da un andirivieni caotico dei diversi personaggi, sospeso in una fiabesca atemporalità.

Ad impersonare il male è la maga Alcina ; il bene, il condottiero Orlando.

Costui, innamorato della principessa Angelica, quando capisce che colei arde d’amore per Medoro, un semplice fante dell’esercito saraceno, è preda di attacchi d’ira fino al delirio e alla pazzia, allorchè prende coscienza delle nozze tra Angelica e Medoro.

La seconda coppia è formata dall’amazzone Bradamante e dal principe saraceno Ruggiero, che non sa di essere nato da genitori cristiani.

Alcina, invaghitasi, seduce Ruggiero facendogli bere un filtro d’amore.

Bradamante, grazie all’anello magico datole dalla maga Melissa, è determinata a sconfiggere Alcina, sia con l’astuzia che con la forza fisica.

Non accoppiato c’è infine Astolfo. E’ perso d’amore e soggiogato dalla bellezza di Alcina, la quale, tuttavia, attua con lui un perverso gioco di seduzione, fino a deriderlo con l’aria “Vorresti amor da me”.

Il dramma prosegue, ricco di colpi di scena, finché Astolfo, assieme ai soldati di Logistilla, la fata, sorella buona di Alcina, che rappresenta la virtù, vince la perfida maga. Orlando, che era in preda alla pazzia e aveva perso il senno, a questo punto si risveglia e, rinsavito, perdona Angelica, benedicendone il matrimonio con Medoro.

Meritevole di encomio, è il regista Fabio Ceresa, il quale, oltre a curare l’allestimento, ha operato la revisione drammaturgica. Intervistato da Leonardo Mello nella rivista citata sopra, così spiega il suo lavoro : attraverso un’attenta selezione e una cura meticolosa, vogliamo presentare una versione che non si discosta dallo spirito del testo e che al contempo assicura all’arcata di ogni singolo personaggio, un inizio, uno sviluppo e una conclusione coesi e coerenti. Non ostante il rammarico che questa operazione comporta, ogni scelta drammaturgica è guidata da un profondo rispetto per il libretto di Braccioli e per la musica di Vivaldi. L’obiettivo è preservare l’essenza dell’opera originale, creandone un adattamento che veicoli, intatto, quel senso di meraviglia che è il vero fine del melodramma settecentesco.

Passando a parlare della musica, Diego Fasolis ha ben condotto un’affiatata orchestra, attenta alla sua elegante, precisa direzione, oltre a suonare lui stesso, assieme ad Andrea Marchiol, il cembalo. Ecco il suo commento al Dramma per musica :

Siamo di fronte a un capolavoro realizzato anche con una grande ricchezza dal punto di vista formale. Recitativo secco, recitativo accompagnato, ritornelli strumentali onomatopeici, concitati vocali, battaglie, lamenti. Con Orlando arrampicato sulla luna.

L’aria più toccante è senza dubbio Sol per te mio dolce amore, intonata da Ruggiero, il controtenore coreano-americano Kangmin Justin Kim, già apprezzato interprete vivaldiano alla Fenice in “Griselda” e “Farnace” nel 2021, che dialoga con il flauto traversiere, poco conosciuto in quell’epoca, sostituendo in tal modo il duetto vocale.

Coprodotto dalla Fenice con il Festival della Valle d’Itria di Martina Franca, il Dramma ha un allestimento basato sull’edizione critica a cura di Federico Maria Sardelli, di proprietà di Casa Ricordi, in collaborazione con l’Istituto Antonio Vivaldi della Fondazione Cini di Venezia.

Da applausi l’intero Cast. Oltre al citato Kim, emerge la bella voce del contralto Sonia Prina, nel difficile ruolo di Orlando, già in “Farnace”(2021), “Ottone in villa” (2020) e nel precedente “Orlando Furioso”(2018), nonché apprezzata specialista Haendeliana ; la mezzosoprano Lucia Cirillo, un’Alcina dal fraseggio fluido, unito ad una prorompente presenza scenica. Già applaudita in “Farnace”, “Dorilla in Tempe”(2018) e nel precedente “Orlando Furioso”; come nella rappresentazione del 2018, nella parte di Bradamante ritroviamo la mezzosporano Loriana Castellano, vocalmente e atleticamente combattiva ; convince, nel ruolo di Angelica, la soprano Michela Antenucci, già ascoltata in “Griselda” e “Ottone in villa” ; la mezzosoprano Laura Polverelli ha reso in maniera convincente la fragilità del confuso, sentimentalmente, Medoro, mentre Luca Tittoto, dotato di una voce di basso, che ha colpito per profondità, ha reso con personalità il personaggio di Astolfo, paladino di Carlo Magno, figlio di Ottone, Re d’Inghilterra e cugino di Orlando. Riuscirà, con il preziosissimo aiuto dell’Ippogrifo a salire nel Paradiso Terrestre dove troverà l’ampolla contenente il Senno di Orlando e gliela riporterà sulla terra, facendolo tornare in sé.

Puntuali, inappuntabili e gradevolissimi i frequenti episodi del Coro del Teatro, che ha messo in pratica gli insegnamenti del Maestro Alfonso Caiani.

Sono perciò apparsi inevitabili, oltre che di lunga durata, gli applausi di un pubblico rimasto affascinato e immerso in un piacevole incantesimo musicale e teatrale.

Il pubblico affezionato della Fenice rimane in attesa della nuova stagione lirica che si aprirà il 24 novembre con Les Contes d’Hoffmann di Jacques Offenbach, in una coproduzione internazionale con la regia di Damiano Michieletto e la direzione musicale di Antonello Manacorda. Si tratta di un’Opéra-fantastique in un prologo, tre atti e un epilogo di Jules Barbier, tratto a sua volta da una pièce scritta nel 1851 assieme a Michel Carré e ispirata a tre racconti fantastico-demoniaci di E.T.A. Hoffmann : L’uomo della sabbia ; La storia del riflesso perduto ; Il violino di Cremona.

La stagione sinfonica si è conclusa con successo venerdì 3 e sabato 4 al Teatro Malibran con il “ Concerto in La minore op.16 (1868)” di Edvard Grieg e il “Concerto in La minore op. 54 (1841)” di Robert Schumann. Protagonista Louis Lortie, impegnato nella doppia veste di Direttore dell’Orchestra del Teatro e pianista solista.




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