martedì 5 giugno 2018 - Oggiscienza

Olio d’oliva: caratteristiche, pregi, difetti e sostenibilità

È il protagonista della dieta mediterranea e alla base della nostra cultura e tradizione alimentare. Dal contenuto in grassi alla sostenibilità, l'identikit scientifico dell'olio d'oliva.

 

[…] Olio,

recondita e suprema

condizione della pentola,

piedistallo di pernici,

chiave celeste della maionese […]

[Ode all’olio, Pablo Neruda]

L’olio d’oliva è un alimento tipico dell’area mediterranea, un prodotto che affonda le sue radici nella nostra storia e nella nostra cultura, di origine antichissima e di gran pregio. Se in passato veniva utilizzato soprattutto per fare luce e nelle cerimonie sportive e religiose, oggi è uno dei capisaldi della dieta mediterranea, ufficialmente iscritta dal novembre del 2010 nella lista rappresentativa del Patrimonio culturale immateriale dell’Umanità

In un periodo di diete fai-da-te e spuntini fuori casa rischia di essere soppiantato da altri oli o condimenti, ma la vera domanda è: il consumo di olio d’oliva fa bene alla salute?

Essendo particolarmente ricco di grassi monoinsaturi – in particolare di acido oleico – l’olio d’oliva è uno dei condimenti migliori per tenere sotto controllo i livelli di colesterolo “cattivo” nel sangue. L’acido oleico riduce infatti i livelli di LDL (le lipoproteine che cedono colesterolo ai tessuti) senza intaccare la percentuale di HDL (le lipoproteine che rimuovono il colesterolo in eccesso nel plasma).

L’olio extravergine di oliva è anche ricco di vitamina E e polifenoli, potenti antiossidanti che proteggono dall’invecchiamento cellulare. Può essere utilizzato sia a crudo che in cottura (il portale di Fondazione Veronesi consiglia comunque l’uso a crudo) ed è uno dei più indicati per friggere, visto il suo elevato punto di fumo (il grado di temperatura in cui il grasso contenuto negli alimenti inizia a decomporsi e si creano dei fumi – appunto – che possono essere tossici per l’uomo) – di circa 210 °C -, anche se qualcuno ne critica il sapore troppo invadente.

Olio vs burro: chi vince?

Sarebbe scorretto affermare che l’olio è un toccasana da consumare in grandi quantità. Non bisogna dimenticare che si tratta di un grasso e che ogni cucchiaio aggiunto alle nostre pietanze corrisponde a 90kcal, l’equivalente – pressappoco – di due frollini.

Se paragonato al tanto demonizzato burro, è addirittura più calorico. Cento grammi di olio di oliva apportano 899kcal, mentre il burro ha un contenuto inferiore del 16%, pari a circa 758 kcal. Quest’ultimo ha anche il vantaggio di essere facilmente dosabile, mentre si tende spesso a esagerare con le quantità di olio. È del tutto infondata, perciò, la convinzione secondo cui dalle olive si ricavi un alimento più leggero e meno calorico rispetto alla controparte animale.

In più, anche se in misura inferiore, l’olio contiene comunque grassi saturi. Un consumo eccessivo di grassi, di ogni genere, causa un aumento sia del peso che della produzione di radicali liberi, le specie reattive dell’ossigeno alla base di molte patologie. Meglio attenersi a un massimo di tre cucchiai al giorno, da non raggiungere obbligatoriamente.

L’olio, poi, non contiene colesterolo, mentre il burro ne ha circa 250mg in 100g di prodotto. Si potrebbe pensare sia un lato positivo, ma il nostro organismo necessita anche di questo elemento per funzionare al meglio (il consumo quotidiano non dovrebbe superare i 300mg al giorno). D’altra parte, abolire il burro optando per l’olio e consumare grandi quantità di latticini e carni grasse non è esattamente una scelta di vita salutare.

Contro le malattie cardiovascolari non basta tenere sotto controllo il colesterolo, si dovrebbe mantenere il proprio peso nella norma, svolgere attività fisica e assumere le giuste dosi di grassi polinsaturi (che si trovano soprattutto negli oli di semi, in particolare di mais e di girasole). Una meta-analisi della Cambridge University di un paio di anni fa, infatti, riabilita parzialmente il burro, il cui consumo non sembra aumentare il rischio di malattie cardiache e anzi diminuisce quello di sviluppare diabete di tipo II.

La dieta mediterranea

Anche se è ormai entrata a far parte del vocabolario comune, non è una vera e propria dieta, ma uno stile alimentare fatto di regole e di abitudini ispirate alla tradizione mediterranea. Si tratta di un regime con consumi elevati di frutta e verdura, pane e pasta (meglio se integrali), legumi, pesce, olio d’oliva, carne bianca e ridotti consumi di “cibo spazzatura” e carne rossa.

La dieta mediterranea fornisce proteine, lipidi e zuccheri ad alto valore nutritivo, a basso contenuto di colesterolo, lipidi saturi e zuccheri semplici. È ricca di vitamine, sali minerali e fibre non digeribili.

Gli antiossidanti contenuti in frutta, verdura e cibi integrali svolgono un’azione protettiva contro malattie cardiovascolari e alcune forme di cancro, mentre le fibre danno un precoce senso di sazietà evitando l’iperalimentazione, regolano le funzioni intestinali e modulano l’assorbimento dei nutrienti e i processi metabolici. Essendo meno calorica, con un indice glicemico moderato e più ricca di erbe aromatiche, che contribuiscono a ridurre l’utilizzo dei condimenti grassi per insaporire le pietanze, riduce il rischio di obesità.

Poco colesterolo, pochi grassi saturi e poco sodio, uniti a un’abbondanza di acidi grassi essenziali omega 6 e omega 3 e acido oleico hanno un effetto protettivo contro l’ipertensione e altre malattie dell’apparato cardiocircolatorio. Riduce inoltre il rischio di sviluppare il diabete di tipo II e previene la comparsa di vari tumori. Come si può comprendere leggendo i vari benefici e i numerosi aspetti che concorrono per generarli, non si tratta di una dieta sana perché è presente l’olio d’oliva, ma per tutti gli alimenti coinvolti, la frequenza con cui sceglierli e le dosi non eccessive.

Come sceglierlo, come conservarlo

Proprio il suo essere un prodotto di pregio, dall’elevato valore economico, rende l’olio d’oliva soggetto a numerose sofisticazioni. Quando lo si acquista bisogna valutare attentamente il prezzo, in quanto il colore verde e l’opacità – parametri tradizionali di genuinità – possono essere ottenuti artificialmente tingendo il prodotto con la clorofilla o evitando di filtrarlo.

Meglio diffidare di prodotti che costano meno di quattro/cinque euro al litro: varrebbero meno del costo di produzione, se si trattasse di vero extravergine. Per quest’ultimo, la normativa europea (Regolamento CEE n. 2568/91 e successivi aggiornamenti) ha fissato gli standard qualitativi minimi che deve presentare per poter essere commercializzato con quella dicitura. Deve essere ottenuto tramite estrazione con soli metodi meccanici a freddo, ossia a temperature controllate inferiori per legge a 28 gradi, e la sua acidità non deve mai superare lo 0.8%.

L’origine delle olive è esplicitata in etichetta, quindi sempre meglio controllare, e per quanto risultino molto diffuse le diciture come “gentile”, “delicato” o “classico”, utilizzate per descrivere il gusto a fini commerciali, i soli termini con i quali l’olio EVO può essere definito sono amaro, dolce, equilibrato, fruttato e piccante. Si può infine fare affidamento sui controlli che sono stati effettuati sugli oli con certificazione IGP, DOP e STG.

Preferite quello con la bottiglia scura o in recipienti di latta e conservatelo al riparo dalla luce e dalle fonti di calore. A contenitore integro e ben sigillato l’olio può mantenersi inalterato fino a 18 mesi, mentre se non è filtrato può andare più facilmente incontro a irrancidimento e avere quindi una durata inferiore. Una volta aperto, va consumato entro l’anno.

La salute del pianeta

Non esiste solo la nostra salute, bisogna considerare anche quella dell’ambiente. Innanzitutto, una curiosità: i noccioli delle olive sono un ottimo combustibile, economico e soprattutto ecologico, dal momento che la quantità di anidride carbonica emessa durante la combustione è la stessa rilasciata durante la decomposizione naturale. I noccioli rappresentano quindi un’importante risorsa energetica, anche se non sfruttata dappertutto.

Nel 2001 le notizie dagli uliveti non sembravano buone. Uno studio indipendente richiesto dalla Commissione europea e un report congiunto di WWF e Birdlife International denunciavano come la coltivazione intensiva degli ulivi stesse provocando la riduzione di biodiversità, l’impoverimento del suolo e l’aumento del rischio di desertificazione. L’introduzione della Politica Agricola Comune (PAC), con sussidi che andavano a premiare la quantità di olive raccolte o di olio prodotto invece che il quantitativo di terreno o il numero di alberi, incentivava l’abbandono delle coltivazioni estensive tradizionali e il ricorso sempre più copioso a fertilizzanti e pesticidi.

L’anno prima Sustain, un’organizzazione britannica che cerca di favorire la produzione di alimenti più sani da metodi di coltivazione sostenibili, aveva pubblicato un rapporto in cui confrontava l’impatto degli oli vegetali sulla salute dei consumatori e su quella dell’ambiente. A proposito dell’olio d’oliva traevano conclusioni abbastanza inaspettate: “Considerato il prezzo a cui viene venduto sul mercato, la quantità di denaro spesa per promuoverlo e tutelare i produttori europei e i danni ambientali provocati dalla coltivazione degli ulivi, i benefici dell’olio d’oliva sono molto sopravvalutati”.

Sustain sconsigliava anche l’olio di soia e di colza, per le loro coltivazioni fortemente impattanti, suggerendo come sostituto l’olio di arachidi, fondamentale per molti paesi poveri, coltivato e commercializzato a livello locale, e quello di cartamo, che sembra avere benefici simili al prodotto dell’olivo.

Fortunatamente nel 2007 (ben dopo il limite richiesto da WWF e Birdlife International del 2003) la PAC ha introdotto una serie di riforme: gli agricoltori ora ricevono ogni anno una sovvenzione fissa, non più legata al volume della produzione. Queste misure dovrebbero alleggerire in parte la pressione sull’ambiente, poiché eliminano gli incentivi finanziari per chi produce di più.

Dieta mediterranea e ambiente

Come si può leggere dalla ricerca della New York University appena presentata al meeting della American Thoracic Society, la dieta mediterranea ha effetti protettivi a lungo periodo contro l’inquinamento. Lo studio, durato 17 anni, ha coinvolto quasi 550 000 persone e ha mostrato come lo stress ossidativo e l’infiammazione indotti dal particolato venissero contrastati dall’apporto di antiossidanti che garantisce questo regime alimentare.

Numerose ricerche sottolineano anche la sostenibilità della dieta mediterranea, come affermato anche da organizzazioni come la FAO e Biodiversity International. Il maggior pregio è quello di prevedere un consumo ridotto di carne, che ha il maggior impatto sull’ambiente, sia in termini di consumo del suolo che di produzione di anidride carbonica.

Nel 2017 Fondazione Barilla Center for Food & Nutrition  ha elaborato la Doppia Piramide Alimentare Ambientale, che affianca a quella classica – i cui principi sono ispirati a quelli della dieta mediterranea – una nuova piramide capovolta.

Qui gli alimenti vengono classificati in base alla loro impronta ecologica, ovvero all’impatto che la loro produzione può avere sull’ambiente. Scopriamo così che il valore nutrizionale e l’impronta generata sull’ambiente nelle fasi di produzione e consumo sono strettamente collegati, ancora di più se consideriamo che il cibo causa la fetta più importante di emissioni di gas serra: il 31% del totale, contro il 23.6% del riscaldamento degli edifici e il 18.5% dei trasporti.

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