giovedì 24 marzo 2022 - Phastidio

Ognuno per sé, la crisi per tutti

La crisi fa evaporare l'extra-gettito della ripresa. Per nuove spese, servono coperture vere. Avendo consapevolezza che non saranno altri a pagare per i nostri consumi

 Finita l’euro-illusione della mutualizzazione

Il governo italiano, come molti altri governi europei, ha disposto un ulteriore intervento di sostegno a imprese e famiglie, colpite dall’aggravamento dello shock energetico causato dall’invasione russa dell’Ucraina. Come sempre accade in casi simili, la critica ricorrente è che si tratta di “troppo poco, troppo tardi”. Ma dall’ultima misura presa da Roma, e dalle sue coperture, emerge una realtà assai spiacevole, per il nostro paese.

Nei mesi scorsi, l’esecutivo guidato da Mario Draghi era già intervenuto per frenare il caro-bollette, già in corso prima degli eventi bellici. Si è trattato di misure prese senza ricorrere a ulteriore deficit, in quanto il rimbalzo della crescita oltre le previsioni assicurava un extra-gettito. Anche questo è un fenomeno comune a tutti i paesi europei, dentro e fuori la Ue.

Coperture temporanee, ma vere

Con l’ultima manovra, annunciata la settimana scorsa, il governo Draghi ha deciso di ricorrere ad aumenti temporanei di entrate per finanziare aumenti, ritenuti altrettanto temporanei, di spesa. Questa decisione verosimilmente deriva dal fatto che il governo, o almeno chi lo guida e il suo ministro dell’Economia, hanno preso consapevolezza che lo shock energetico causerà una forte riduzione della crescita e di conseguenza l’evaporazione del gettito aggiuntivo che era stato destinato ai precedenti interventi oltre che a finanziare ulteriore spesa corrente, suscitando critiche in sede europea.

Questa decisione di reperire coperture vere e non esibirsi nel solito sport italiano di “attingere” al deficit invocando “scostamenti”, nasce da considerazioni di prudenza nella gestione dei conti pubblici, in un periodo in cui si naviga a vista attraverso una nebbia fittissima. Di certo, su questa scelta ha pesato anche il dibattito in ambito Ue, dove misure di mutualizzazione di spesa sono state rimesse nel cassetto per evidenti resistenze, anche pubblicamente manifestate, di molti paesi.

Di questo aspetto ho già scritto e parlato: non è chiaro cosa mutualizzare, e con quali criteri redistributivi. In soldoni, non è chiaro chi pagherebbe chi, e per farci cosa. Malgrado non fosse affatto difficile giungere a questa conclusione in punta di logica e smettere di ingannarsi con questa cultura da Campo dei Miracoli, da noi si è proseguito a invocare un “intervento europeo”.

Ultimo, ma solo in ordine cronologico, è stato il presidente di Confcommercio. Che forse è stato equivocato e aveva nobili intenti. Ma è difficile, leggendo le sue parole, sfuggire all’impressione che qualcuno da noi ambisca a mutualizzare il debito europeo per sostenere i nostri consumi interni. “Perché noi valiamo”.

Tassare gli extraprofitti o che altro?

La maggiore fonte di coperture, per l’ultimo intervento governativo italiano, è data dalla cosiddetta tassazione straordinaria degli extra-profitti delle aziende della filiera energetica, escluse le reti di trasporto. Questo principio, nelle sue linee generali, è presente anche nelle linee guida del cosiddetto REPowerEU (“Temporary Tax measures on windfall profits“). Ed è presente anche nel decalogo elaborato dall’Agenzia Internazionale dell’Energia. Ovviamente, come sempre, est modus in rebus.

Sappiamo che un intervento retroattivo su investimenti già effettuati è un potente disincentivo a nuove spese in conto capitale. È certamente così, anche se in questo caso abbiamo l’attenuante di essere in un episodio di guerra. Gli interventi devono poi essere correttamente disegnati, per evitare numerose forme di iniquità e distorsioni di mercato. Per avere il quadro di tutte le criticità ed effetti avversi di questo prelievo straordinario italiano, potete leggere l’esaustiva critica di Dario Stevanato.

Ciò detto, resta il punto: come finanziare uno sforzo del genere, in questa circostanza? Ma soprattutto, occorre chiedersi perché il governo italiano e il suo premier abbiano deciso che non è (più) tempo di deficit. Forse perché la natura della crisi impedisce iniziative comuni, o meglio perché la delimitazione del perimetro di tali iniziative resta molto problematica, in termini politici. In altri termini, che i paesi Ue sono tornati soli, a gestire le crisi.

Quali alternative di copertura avremmo avuto? Forse aumentare la tassazione ordinaria sulle imprese energetiche a termine, con addizionale Ires. Oppure aumentare la tassazione delle persone fisiche, sempre su base una tantum. Oppure tagliare la spesa corrente, ma quale? Come si vede, nel mezzo di una guerra che segue ad una pandemia (che non è terminata ma transeat), la situazione è molto problematica e nessuno vuol mettersi a stringere alcunché. Né la politica monetaria né quella fiscale. Perché sarebbe il momento peggiore, anche se la sensazione è che ogni momento sarebbe inopportuno.

Il dissesto non è mai troppo lontano

Ognuno per sé, la crisi per tutti. È in queste situazioni che si comprende -forse- il senso della vitale necessità di tenere conti in equilibrio nel tempo. Un paese, anche i più floridi, non è mai troppo distante dal dissesto. Anche l’allentamento delle norme sul divieto di aiuti di stato serve a chi ha margini fiscali. Per tutti gli altri, restano recriminazioni e teorie cospirative sulla “svendita” del proprio paese.

Al momento, la Commissione ha deciso gli strumenti a supporto della lunga marcia verso l’indipendenza energetica dalla Russia, con le misure del REPowerEU. Ma la mutualizzazione dei relativi costi esiste solo nei libro dei desideri italiani. Altre iniziative potranno essere prese su base comune, come gli acquisti centralizzati di energia per aumentare -in teoria- il potere di mercato. Ma queste per definizione non coinvolgono la messa in comune di oneri. Ad oggi mi pare che la strada da percorrere, per gli investimenti in energia, soprattutto infrastrutturali, resti quella di riscrivere i PNRR, aumentando quella voce.Ma sin quando, nel nostro cosiddetto dibattito pubblico, non si prenderà consapevolezza che non esistono scorciatoie né un pagatore sovranazionale di ultima istanza per spesa corrente, saremo sempre destinati a bruschi risvegli.

Aggiornamento – Ho scritto che l’ultimo in ordine cronologico a chiedere debito comune per consumi era il presidente dei commercianti. Nemmeno il tempo di scrivere questo post ed ecco l’invito del ministro delle Politiche agricole a superare gli “egoismi” europei. Perché noi valiamo, appunto.




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