martedì 23 gennaio 2018 - La bottega del Barbieri

Obsolescenza programmata | Lunga vita alle cose. Tremano i mercati

di Francesco Gesualdi (*)

Se in Francia si indaga su Epson, Brother, Canon e HP (multinazionali di apparecchiature informatiche) per obsolescenza programmata.…

La notizia è del 28 dicembre ed è di quelle destinate a fare storia, non tanto per la sua rilevanza penale, quanto per i suoi risvolti culturali, economici, ambientali. Di scena è la Procura di Nanterre che ha deciso di aprire un fascicolo a carico di Epson, Brother, Canon e HP, multinazionali di apparecchiature informatiche sospettate di obsolescenza programmata.

Una pratica largamente in uso in tutto il mondo ma che in Francia è proibita dal 2015, con pene che possono arrivare fino a due anni di reclusione. E dire che nel 1932, tale Bernard London aveva proposto di renderla obbligatoria per legge, come strategia per rilanciare i consumi durante gli anni della grande depressione.

Dal latino obsolescens, traducibile come invecchiamento, perdita di funzionalità, l’obsolescenza programmata consiste nel progettare oggetti con tempi di vita predeterminati. Una vera e propria dichiarazione di guerra nei confronti dei consumatori lanciata per la prima volta da un gruppo di imprese produttrici di materiale elettrico che per assicurarsi la vittoria non esitò ad allearsi in un cartello denominato Phoebus. L’atto di nascita avvenne il 23 dicembre 1924 in un sontuoso hotel di Ginevra dove si incontrarono i dirigenti delle principali imprese mondiali di lampadine. Constatato che le vendite languivano a causa di lampadine capaci di durare fino a 2.500 ore, decisero di accordarsi su modelli che non durassero oltre le 1.000 ore. Un patto di ferro che impegnava ogni impresa a test preventivi di cattiva qualità prima del lancio di ogni nuovo prodotto.

Il caso fece scuola e l’obsolescenza programmata si estese a molti altri settori, ciascuno con le proprie strategie di usura e di scoraggiamento alla riparazione. Ora utilizzando metalli ad arrugginimento precoce, ora cerniere di facile inceppamento, ora batterie di breve durata nascoste in alloggiamenti sigillati. Quanto alle stampanti, l’associazione francese Hop, da cui la Procura di Nanterre ha preso spunto, ha denunciato che la turlupinatura più frequente si annida nei microprocessori. Molti di loro arrestano il sistema dopo un numero di fotocopie troppo basso, quando nelle cartucce c’è ancora il 20 per cento di inchiostro.

 

Il 9 giugno 2017 anche il Parlamento Europeo si è espresso contro l’obsolescenza programmata ed ha invitato la Commissione Europea ad adottare tutte le misure che servono per incoraggiare le imprese ad uniformarsi a criteri di robustezza, riparabilità e durata. Una scelta motivata non solo dalla volontà di evitare ai consumatori inutili spese, ma soprattutto di evitare al pianeta inutili saccheggi e contaminazioni. Vari studi hanno dimostrato che allungando la vita degli oggetti si possono ottenere sensibili riduzioni di rifiuti solidi e di anidride carbonica.

Uno dei settori che genera prodotti a vita particolarmente breve è quello dell’elettronica. Fra telefonini, stampanti e computer ogni anno nel mondo si producono oltre 40 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici, per la maggior parte classificabili come rischiosi. Una categoria di rifiuti che come denuncia la Laudato sii alimenta un vasto traffico illegale verso i paesi del Sud del mondo. Ma nessun governo ha mai mobilitato il proprio esercito per arrestarlo. Si stima che ogni anno oltre 11 milioni di tonnellate di rifiuti pericolosi salpino illegalmente verso le coste africane e asiatiche, dando luogo a immense discariche a cielo aperto. Una delle più grandi è quella di Agbogbloshie, un’estensione di due ettari posta alla periferia di Accra, capitale del Ghana. La piana, cosparsa di televisori, computer, stampanti e ogni altro tipo di carcassa elettronica, è contornata da una vasta baraccopoli in cui si consuma una tale violenza da essere stata battezzata Sodoma e Gomorra. Molti dei 40.000 abitanti della baraccopoli, bambini compresi, passano le loro giornate nella discarica cercando di recuperare ogni sorta di minerale possibile. E siccome la tecnica per liberare i minerali dalla plastica è il fuoco, tutta l’area è avvolta da una cappa di fumo ripieno di diossina e ogni altro veleno che genera tumori in ogni dove. Da Taranto ad Accra: così il consumo di cose si trasforma in consumo di persone.

Tanti sono i cambiamenti da introdurre per consentire a ogni abitante del pianeta di poter vivere dignitosamente del proprio lavoro svolto in condizioni di dignità, sicurezza e sostenibilità. Ma un modo è anche quello di combattere l’obsolescenza, che prima di essere un attacco alla vita delle cose è un attacco alla felicità delle persone, condannati come siamo alla frustrazione perenne di chi è costantemente incalzato da nuove sollecitazioni. Del resto già nel 1917, Charles Kettering, direttore di prim’ora della General Motors, ci aveva avvertito: “La chiave della prosperità economica è la creazione organizzata dell’insoddisfazione”. Ma l’infelicità è un prezzo troppo alto da pagare sull’altare della crescita. E’ tempo di cominciare a liberarci dall’insoddisfazione cronica pretendendo oggetti fatti per durare ed essere riparati. Ci guadagneremo in salute, sostenibilità ed occupazione.

(*) pubblicato sul quotidiano “Avvenire” e su “Comune-info” da dove lo abbiamo ripreso, con le foto




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