martedì 17 febbraio 2009 - Damiano Mazzotti

Oasi del Gioco

Ho rispolverato con molto piacere un testo sul gioco poiché in questa Società dello Spettacolo e del Divertimento e in questa Economia in disfacimento, può essere una buona opportunità di lavoro per i più giovani: il settore del divertimento e dei videogiochi non sembra conoscere crisi e dà ancora molte opportunità di lavoro.

In “Oasi del gioco” di Eugen Fink (1905-1975), che è stato un collaboratore di Heidegger e Husserl, si esamina con una fenomenologia naturale l’esperienza del gioco, che secondo Fink è una dimensione che si aggiunge a tutte le altre: il lavoro, il potere, l’amore, la vita e quindi persino la morte. E le arricchisce di una distanza che crea uno spazio speciale: “l’Oasi”. Inoltre “Il gioco non ragiona, e tuttavia non è affatto povero di pensiero o privo di pensiero” (Fink, Il significato del gioco come mondo).

Cos’è dunque questa “radura spazio-temporale che emerge dal mondo irreale del gioco, la cui irrealtà è però prodotta con mezzi reali?” (Fink). Per cercare di rispondere a questa domanda, Fink segue il percorso di Nietzsche e si identifica nel bambino che gioca con la sabbia e nell’ipotesi dell’interpretazione del mondo come gioco: un infinito gioco cosmico (Il gioco come simbolo del mondo). Esamina poi la realtà della gioia febbrile e inebriante del gioco, che è un piacere molto singolare: è sensuale, è intellettuale ed è anche un godimento creativo multidimensionale che può mescolare i suoi contrari (tristezza, ansia, paura e sofferenza).

Bisogna però distinguere vari tipi di gioco: quello infantile (che deriva dalla pulsione biologica dell’imitare e dello sperimentare con curiosità), l’intrattenimento (che ci aiuta a far passare il tempo), la competizione (sport e gare varie), la rappresentazione (l’arte, cinema, ecc.), e i giochi distensivi (gli scherzi, la seduzione, il sesso, ecc.). Quindi, pensandoci bene, la pulsione del gioco e della rappresentazione creativa ha probabilmente dato origine all’arte e alla religione così come le conosciamo oggi, essendo l’origine di ogni manifestazione artistica molto legata alla leggi religiose. Per questo ci sono così tante religioni o manifestazioni diverse della stessa religione: vari tipi di ebraismo, cristianesimo, islamismo, buddismo,ecc.

Si scopre così un pensiero che pone molte domande e porta a molti pensieri… Io ad esempio sto pensando ai Reality che sono la perfetta personificazione del nulla… C’è però anche l’idea che l’uomo è completo solo quando gioca (Schiller), come quando lavora, lotta, ama e muore...

Comunque Fink è molto diretto, non fa parte di quei filosofi moderni che rassomigliano a una banda internazionale di ladri d’auto che, insieme alla chiarezza, portano via anche la semplicità, il buon senso e quindi ogni significato pratico. Perciò il filosofo non insegue il concetto di qualcosa che non si lascia concettualizzare e sa che il gioco è ricco di pensiero, ma richiede uno sguardo diverso, meno filosofico e più libero, partendo dalla pratica del giocare (infischiandosene altamente dello stigma tradizionale che persiste da parte della filosofia occidentale). Però lo spazio del mondo del gioco non è continuo rispetto allo spazio e al tempo che normalmente abitiamo. Lo strano andirivieni tra realtà e mondo del gioco non si lascia chiarire da nessun modello di relazione spazio-tempo conosciuto: ha sempre un palcoscenico reale, ma non è mai una cosa reale tra altre cose reali (Fink). Ma la nostra attuale società sta mescolando il sogno, il gioco e la realtà…

Anche Hegel sottolineava l’importanza del gioco: nella sua indifferenza, è la serietà suprema e anche la sua forma più vera. E pure Nietzsche valorizzava questa prospettiva: “Non conosco altra maniera di trattare i grandi compiti che non sia il gioco” (Ecce homo). Tra gli altri autori che hanno trattato egregiamente il tema del gioco segnalo anche: Roger Callois, Johan Huizinga (Homo Ludens), Gilles Deleuze, Gregory Bateson (studioso di psicologia) e Erving Goffman.

Conclusione: il gioco sta di fronte agli altri fenomeni fondamentali “così da accoglierli in sé rappresentandoli. Noi giochiamo con la serietà, l’autenticità, il lavoro e la lotta, l’amore e la morte. E giochiamo perfino con il gioco” (Fink). Il vero gioco non ha uno scopo finale e condensa il passato, il presente e futuro in un’unica dimensione spazio-tempo: un’oasi di benessere nel deserto delle noie e paranoie quotidiane della vita. Quasi una pausa nell’infinito che può servire a sopportare le abitudini o a superarle. C’è quel qualcosa di irreale che rende il gioco qualcosa di speciale: una macchina per pensare a distanza di sicurezza, in un futuro immediato che può dare più senso alla vita.

Il gioco ci può fare affrontare anche il grande problema delle società umane: la legge. Perché quasi tutte le leggi sono fatte da uomini anziani (che vogliono conservare il potere e il passato), e i giovani e le donne hanno raramente voce in capitolo (e così non possono creare il futuro). Iniziamo quindi a giocare col linguaggio e scopriremo tutti gli inganni della vecchia politica (la satira insegna bene come fare). Questo perché esistono molte forme di pensiero e di espressione all’interno della comunicazione umana dalle quali il votante può attingere sapere, comprensione, sensibilità ai valori umani: in altre parole la capacità di esprimere un giudizio oggettivo e valido che una votazione dovrebbe sempre poter esprimere. Gli uomini hanno bisogno di romanzi e di altre opere dell’ingegno umano, perché un giorno saranno chiamati a esprimere il loro voto (Alexander Meiklejohn, Studioso di Costituzioni).

E ricordiamoci che poiché fin da bambini si prova un sentimento di fiducia nei confronti dei propri genitori, accade che anche come cittadini si sia tentati di comportarsi alla stesso modo, ritrovando in un’immagine idealizzata della nazione o di un leader, un sostituto dei genitori che penserà a tutto al posto nostro (Martha C. Nussbaum, Coltivare l’umanità. I classici, il multiculturalismo, educazione contemporanea).

E ricordate che non si può entrare nel regno dei cieli se prima non si è ridiventati come bambini.

P.S. Se il bambino è l’avvenire del’uomo, i maestri devono adeguarsi alla sua spontaneità. Se l’avvenire del bambino è l’uomo, i maestri sono tenuti a riaffermare la loro competenza e sapere. Chi conduce la danza o è il bambino o è il maestro, ma a parlare è sempre la verità. La posta è che la mia verità diventi la tua verità per rivelarsi la verità dell’esame finale. Ciascuno vuole trovare conferma negli occhi dell’altro. Il gioco è condotto a porte chiuse, come una lotta per la legittimità (Andrè Glucksmann). Gli adulti dovrebbero diventare degli Allenatori della Mente.




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