mercoledì 26 agosto 2015 - Carcere Verità

OPG: ma non li avevano aboliti? Storie di chi ci sta ancora facendo i conti…

(disegno fatto da Antonio, nel Laboratorio Creativo nel Centro Diurno di Aurisina – Trieste)

Su consiglio di una mia lettrice, che ringrazio, riporto un articolo scritto da Francesca de Carolis, su un argomento che non ho mai trattato, per poca conoscenza, ma che è vergognoso quanto e più, del carcere: gli ospedali psichiatrico giudiziari.

Non conosco l’argomento ed è solo per pura fortuna: qualche anno fa, mentre Rachid si ribellava al buco di diritti in cui era stato gettato, con scioperi della fame e rimostranze continue, arrivavano uno dietro l’altro richiami disciplinari e resoconti di presunte aggressioni al corpo di polizia, che ci avevano fatto temere che lo volessero far passare per pazzo.

Non so quanto fossero fondate le mie paure, ma in quel periodo temevo che il passo dal carcere all’Opg, sarebbe stato breve.

Basta veramente poco, un’interpretazione sbagliata di una parola, di un gesto e ti ritrovi schedato come un “pazzo pericoloso”.

Questo articolo parla di Antonio Mottola, un ragazzo di 19 anni, il cui gesto è appunto stato frainteso e la sua paura, è stata facilmente interpretata come “pericolosità sociale”.

La storia minima di Antonio, il grande scandalo delle istituzioni

Ricordate la storia di Stefano? Ne abbiamo parlato due mesi fa … L’avevamo chiamato così, per tutelarne l’identità… Ma oggi la sua vicenda è approdata in Senato, dove la Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, ha ascoltato Peppe dell’Acqua, l’ex direttore del Dipartimento di Salute Mentale di Trieste che questa storia dolente ha seguito e continua a seguire, e che si ostina a non voler abbandonare quel ragazzo al nulla a cui una sentenza lo vuole condannato. Pronunciarne il nome ora è forse già un po’ aiutarlo a uscire da quel nulla: Antonio Mottola.
Antonio, dunque. Appena diciannovenne e una via crucis iniziata che era bambino, fra psicofarmaci, letti di contenzione, violenze delle istituzioni e delle psichiatrie che si fa fatica a raccontare. Un percorso di recupero finalmente avviato, spezzato dopo che in seguito a una reazione agitata nata dalla paura, un’ordinanza di misura di sicurezza provvisoria del Tribunale di Vicenza in meno di un mese l’aveva spedito a Castiglione delle Stiviere. E fra cartelle cliniche, relazioni, anamnesi, infine la sentenza di condanna a quattro anni di misura di sicurezza lo ha chiuso in un ospedale psichiatrico giudiziario.
Oggi Antonio è nell’Opg di Reggio Emilia, dove non c’è contenzione, ma è isolato, chiuso in una stanza, perché non comprende ( e come potrebbe essere diversamente?) perché è lì.

La sua condizione peggiora. Qualche giorno fa ha avuto la visita dei genitori. Ha retto dieci minuti. Poi non li ha più accettati, ha reagito in maniera sconnessa. E il giorno dopo un giornale locale ha portato la “notizia” di un internato “violento” che ha fatto riproporre dai sindacati reintrodurre la contenzione che lì era stata da qualche tempo abolita.
Una storia terribile, forse uguale a troppe altre che non hanno voce. Ritorna oggi che ancora afferra allo stomaco lo sguardo di Andrea Soldi, che “è stato un po’ soffocato” perché ha resistito a chi voleva portalo via per un trattamento sanitario obbligatorio, mentre ancora ci si chiede come possibile morire com’è morto Mauro Guerra, ventinove anni, ucciso sul finire di luglio mentre fuggiva, scalzo, dopo aver aggredito un carabiniere rifiutando, anche lui, il trattamento sanitario obbligatorio. Tso vissuti, e attuati, sembra, come mandati di cattura…
Antonio, Andrea, Mauro… e gli altri che non sappiamo.
 (…)
Una storia forse minima (e quanto minima è mai la vita di un uomo?) ma che racconta il tutto e mette in luce nodi enormi, questioni scandalose. Sullo sfondo la questione degli Opg e, soprattutto, la questione di norme che “persistono e sopravvivono alla legge 180, la rendono complicata e a volte anche alla mercé di interpretazioni abbastanza singolari”.


La storia “minima” di Antonio parla di trattamenti con neurolettici e contenzione nel Servizio psichiatrico di diagnosi e cura (…).
Questione scandalosa quella della contenzione. (…) che secondo una verifica delle contenzioni fatta dal ministero della sanità, sui circa 300 servizi di diagnosi e cura solo nel 5 per cento di questi non si usa la contenzione. Una quindicina, pensate.

Stiamo parlando di contenzione meccanica. Inchiodati a un letto, per ore e ore, giorni e giorni, legati mani e piedi. Provate a immaginare? (…) A tratti ne leggiamo e ce ne scandalizziamo. Ma questo dato dà la misura del buco nero nel quale affonda la vita delle persone più vulnerabili.
La grande vergogna è che si tratta di una pratica senza statuto giuridico. Cioè nessuna norma la prevede né la vieta. (…) Ma la questione scandalosa è che ancora c’è chi sostiene che la contenzione possa avere valenza terapeutica.
 (…)
Eppure, si chiede e chiede Dell’Acqua, se a Trieste, a Udine, a Pistoia, a San Severo di Foggia non c’è contenzione, perché negli altri posti si ragiona diversamente? Ricordando che la contenzione è antiterapeutica, produce negli operatori senso di frustrazione enorme e disaffezione, mentre chi la subisce fa fatica a parlarne. (…) Storie minime, che compongono una questione tremenda…

La storia minima di Antonio racconta che dopo l’episodio che lo ha portato alla condanna, l’aggressione nei confronti del suo psicologo che ha procurato una frattura al polso, qualcuno chiama il 113 e Antonio, dopo una prima resistenza dice: “arrestatemi se ho fatto del male…”. In realtà non viene “normalmente “ arrestato. Viene legato alla barella, spedito in diagnosi e cura, ancora legato, riempito di farmaci… Il magistrato chiede parere al responsabile del servizio, chiede se Antonio è pericoloso socialmente, quasi quesiti propri di una perizia psichiatrica e non di una relazione sullo stato di salute. E se pure Antonio non ha mai commesso nessun atto contro cose e persone, fuori dai luoghi della cura, lo psichiatra risponde che è incapace di intendere e di volere e pericoloso socialmente. Scatta per il giudice l’articolo 206, la famigerata misura di sicurezza provvisoria, retaggio arcaico del codice penale… si aprono le porte del manicomio giudiziario. Poi anche il giudice di merito chiede perizia psichiatrica…
(…)
 La storia minima di Antonio parla di totale incapacità e pericolosità sociale, e anche se il perito nel corso del processo dice che sarebbe auspicabile una condizione non detentiva, il verdetto invia Antonio Mottola per ben quattro anni in un Opg.
 (…)

La storia minima di Antonio parla della presentazione, da parte della difesa e degli operatori che lo hanno seguito, di un programma terapeutico riabilitativo individuale, di una piccola comunità disponibile ad accoglierlo, insieme a tutto il centro di salute mentale di Trieste, anche per allontanarlo dalle fallimentari esperienze di Vicenza. Tutto questo viene rigettato dal giudice, con la sola motivazione dei tempi del progetto… Nuovo ricorso, nuovo rigetto… oltre alla riconsiderazione solo delle vecchie cartelle cliniche, la motivazione che mancano adeguati controlli.
Bèh questa sì farebbe ridere, se non fosse da piangere. Racconta dell’Acqua: “Il ragazzo ha detto una mattina svegliandosi a una guardia carceraria che aveva avuto un’erezione, … quindi siccome il ragazzo è in fase di maturità sessuale non può andare in un luogo dove ci sono anche ragazzine… il magistrato entra impropriamente nelle decisioni del gruppo terapeutico, che saprà bene come comportarsi, cosa scegliere… quale terapie se un giovane è maturo o non per controllare la sua sessualità”
La storia minima di Antonio che, ahilui ha un’erezione…
(…)
La storia minima di Antonio ci dice, ultima cosa, oggi la più importante, che questo ragazzo continua a stare in un Ospedale psichiatrico giudiziario, oggi che non dovrebbero essercene più. (…) Se fosse stato regolarmente processato per il piccolo reato commesso (la lesione del polso fratturato dello psicologo che lo curava) non avrebbe avuto nessuna pena. Il nodo è tutto lì. La sottrazione al diritto di essere giudicato secondo le regole di uno stato democratico. Il diritto di essere persona.
 (…)

 Francesca de Carolis”




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