venerdì 20 dicembre 2019 - Oggiscienza

OCSE PISA 2018: la scuola italiana oltre i numeri

I dati pubblicati da OCSE sugli apprendimenti dei quindicenni italiani rivelano un peggioramento nelle competenze in scienze. Nella media i dati in matematica. Come possiamo intervenire?

di Martina Manieli

 

Uno studente italiano su quattro non raggiunge il livello minimo nei test di scienze. È uno dei dati preoccupanti che sono emersi dalla pubblicazione dei risultati delle prove PISA (Programme for International Student Assessment) sulle competenze degli studenti italiani. Nella conferenza stampa del 3 dicembre scorso, OCSE, l’Osservatorio per la cooperazione e lo sviluppo economico, ha restituito un quadro allarmante soprattutto per quanto riguarda i risultati sulla literacy scientifica, cioè la capacità di spiegare i fenomeni, valutare e progettare indagini, interpretare i dati e le prove in modo scientifico.

È risultato che il 26% dei quindicenni italiani non raggiunge il livello base, contro il 22% dei paesi OCSE, ed è particolarmente allarmante il fatto che le prove non si basano sulla memoria di ciò che si è studiato ma verificano che gli studenti abbiano acquisito un livello tale da rielaborare le conoscenze per applicarle a un problema nuovo. Quello che verificano, insomma, è che abbiano acquisito le competenze minime per valutare problemi matematici semplici, come scegliere tra due strade alternative o convertire i prezzi in un’altra valuta. Si tratta di test indipendenti dal programma scolastico svolto e dalla classe frequentata, ma che esaminano come le conoscenze apprese siano utilizzate per risolvere problemi concreti.

Nato nel 2000, il progetto PISA è stato concepito dall’esigenza di rispondere alla domanda “cosa dovrebbero sapere e saper fare i cittadini per poter fruire appieno delle opportunità che la società offre loro?” L’Italia ha aderito al progetto dalla prima edizione e da allora, ogni tre anni, sottopone a un test gli studenti quindicenni per verificare il livello degli apprendimenti al termine dell’obbligo scolastico, che coincide proprio col quindicesimo anno d’età per la maggior parte dei Paesi coinvolti. La prova si svolge al computer e da questa edizione è stato applicato un metodo definito “adattivo multistadio” che consente di sottoporre a ciascuno studente una batteria di quesiti individualizzata, estrapolata dal set completo sulla base del livello evidenziato nei blocchi precedenti. Ogni triennio il test si focalizza su un argomento principale, chiamato “dominio”, per il quale vengono proposti la metà dei quesiti. Il dominio principale in questa edizione era lettura, quindi l’edizione del 2021 verterà principalmente su matematica.

Nel 2018 gli studenti italiani hanno conseguito in lettura e in scienze punteggi inferiori alla media dei paesi OCSE e una prestazione media che dal 2012 tende a peggiorare. Soltanto il 5% degli studenti italiani si colloca si livelli più elevati nei test di lettura a fronte di una media OCSE del 9% e soltanto il 3% è “top performer” in scienze. Ciò che spaventa maggiormente è che le performance in lettura e scienze sono in costante diminuzione dal 2012.

La matematica non è più cenerentola

In matematica il trend è costante e il punteggio medio rimane in linea con quello rilevato negli altri paesi che partecipano al programma. Daniele Gouthier, matematico, autore di testi di matematica per la scuola media, editore e formatore, dà un’interpretazione multifattoriale a questo dato in controtendenza: “la comunità matematica è molto dinamica e si pone il problema del senso dell’insegnamento in modo abbastanza profondo. Stiamo vivendo un periodo di transizione tra l’idea di insegnare matematica per formare altri matematici o per far iscrivere più studenti alle facoltà scientifiche e la consapevolezza che bisogna insegnare matematica per i cittadini, per quelli che smetteranno di occuparsene il giorno dopo l’esame di Stato”.

Allo stesso tempo, con molta probabilità, c’è stato un investimento delle famiglie su una disciplina tradizionalmente considerata ostica ma che sta acquisendo grande importanza nella società moderna. A partire dal 2000, che è stato dichiarato anno mondiale della matematica, si sono moltiplicati gli eventi e le iniziative dedicate alla divulgazione e alla sensibilizzazione con attività rivolte alla scuola, all’università e al grande pubblico, con iniziative in musei, biblioteche e in molte altre sedi. Tutti gli anni il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca promuove e finanzia le Olimpiadi di Matematica, garantite dal punto di vista scientifico e didattico dall’Unione Matematica Italiana e rivolte agli studenti delle seconde e delle quinte delle scuole superiori. Si tratta di un evento di grande risonanza che mira a far emergere le eccellenze in campo matematico attraverso gare individuali e a squadre. Proprio “le gare a squadre” prosegue Daniele Gouthier “sono un momento importantissimo perché costringono i ragazzi a confrontarsi tra loro e a dar luogo a una dimensione dialettica del fare matematica”. D’altra parte “lavorare su ipotesi, imparare a dedurre proprietà col minimo delle informazioni disponibili è un esercizio che fa bene al pensiero razionale. La matematica insegna a fare ragionamenti anche molto raffinati sulla base di pochi dati”.

Cittadinanza europea, le competenze sono necessarie

È sempre più evidente che le scienze e la matematica contribuiscono a sviluppare le competenze chiave per la cittadinanza europea, sulle quali si basa la nuova Raccomandazione sulle competenze chiave per l’apprendimento permanente, adottata dal Consiglio dell’Unione Europea nel maggio del 2018. Questo documento, che riprende la precedente Raccomandazione del 2006, si sofferma sulla necessità di rafforzare le competenze dei giovani negli ambiti delle STEM (scienza, tecnologia, matematica e ingegneria) anche facendo ricorso alla sinergia tra forme di apprendimento formale, non formale e informale.

È proprio attraverso l’apprendimento informale che agenzie formative integrate contribuiscono alla cittadinanza scientifica e allo sviluppo di competenze scientifiche. Per questo motivo negli ultimi anni i musei scientifici ottengono sempre maggior riscontro nelle comunità educative.
Diversi studi confermano che la didattica informale aumenta l’interesse alla conoscenza in generale e nello specifico verso le discipline scientifiche: si può quindi considerare un metodo mirato all’accrescimento della motivazione ad apprendere e allo sviluppo di quelle che sono considerate le competenze chiave degli innovatori del XXI secolo: pensiero creativo, problem solving, capacità di lavorare in gruppo, mettersi in gioco e imparare dagli errori fatti.

Tiriamo le somme

Quel che è certo è che qualcosa negli ultimi anni è davvero cambiato. In Italia esiste un sottobosco di piccole e medie iniziative che ruotano attorno ad attività di apprendimento informale: FestivalScienza, Maker Faire e science centre costituiscono oggi spazi di incontro fra esperti di comunicazione, scienziati e il mondo della scuola. E mentre fino a pochi anni fa le visite in uno di questi eventi o luoghi era considerato dai docenti poco più che uno sporadico “viaggio di istruzione” oggi le diverse attività di apprendimento informale sulle scienze sono considerate dallo stesso mondo della scuola come parte integrante del percorso scolastico degli alunni.

Per raggiungere gli obiettivi del nostro sistema educativo, ovvero costruire competenze di cittadinanza, non basta aumentare l’offerta a disposizione del mondo della scuola, ma occorre ottimizzare e sistematizzare gli sforzi che si stanno già compiendo perché convergano in modo strutturato. E in questo percorso gli insegnanti devono essere attori protagonisti, riuscendo – a seconda delle situazioni – a cambiare il loro ruolo da semplici docenti a facilitatori del processo di apprendimento. “Siamo in una linea che tende a infarcire di nozioni e non dà agli studenti il tempo di elaborarle e sedimentarle. Spero che in un prossimo si possa lavorare in questa direzione”, afferma Gouthier.
Una sfida, forse la sfida più importante per il nostro Paese. Il prezzo da pagare, in caso di fallimento, sarebbe altissimo: aumentare il gap con le altre nazioni e spingere le persone a cercare un futuro migliore lontano dall’Italia.

Immagine: Pixabay




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