Novanta femminicidi quest’anno. E non è ancora finito
Anche quest'anno le donne uccise per lo più dai propri compagni sono tante. Siamo arrivati a novanta. Ogni anno si aggirano intorno ai cento. E il numero non intende diminuire.
Nonostante le tante manifestazioni, i tanti articoli sui giornali, i tanti casi che diventano cronaca giudiziaria, nonostante le tante ricostruzioni delle vite delle donne morte assassinate. 'Ricostruzioni anche nel tentativo di capire se sia una particolare categoria di donne più a rischio, di capire come si può prevenire, come ci si può accorgere che un rapporto è diventato malato, patologico e va interrotto.
Al tempo stesso possiamo ricordare tanti altri morti: primeggiano quelli per incidenti stradali, che ogni anno superano i tremila, ma almeno sono in diminuzione. Poi ci sono i morti per incidenti sul lavoro. Circa milleduecento. Anche questi in diminuzione. E poi possiamo ricordare i nostri militari che muoiono in operazioni all'estero. In particolare ne sono morti diversi in passato in Iraq e in Afghanistan. Ma anche in Somalia. Non sempre ricordati. Non sempre se ne parla. E poi ci sono i suicidi. Solo nelle carceri quest' anno abbiamo avuto una sessantina di suicidi.
I femminicidi avvengono quasi sempre per situazioni patologiche. Li commettono persone fragili, che spesso dopo si suicidano, o chiamano i carabinieri e si costituiscono. Persone che per qualche ragione non riescono ad accettare una separazione, un rifiuto. È parlarne che può contribuire a ridurne il numero? Può contribuire a mettere le donne sull'avviso e a parlare prima che sia troppo tardi? Oppure enfatizzare questi casi sui giornali e nei media finisce con il far dilagare questa "soluzione estrema" a dei problemi o delle sofferenze che risultano insopportabili? Oppure è vera l'ipotesi avanzata da molte donna che per alcuni uomini viviamo ancora in una società patriarcale, dove è l'uomo che comanda, o comunque è al centro delle attenzioni in famiglia? Lo era quando era quello che anche a costo di sacrifici portava lo stipendio a casa e consentiva alla famiglia quantomeno di soddisfare ai bisogni primari. Lo era. Non lo è più sia perché anche la donna lavora o perché comunque anche quello della casalinga è un lavoro che merita rispetto. E anche la donna ha bisogno di essere al centro delle attenzioni.