venerdì 9 aprile 2021 - LaeSseTv

Noi docenti eravamo soli anche prima

Eravamo soli, quando la scuola si faceva in presenza, e dinanzi a una necessità improvvisa chiedevamo al Dirigente (o a qualcuno del suo staff) di aiutarci a risolvere il problema.

Se i termosifoni nell’aula non funzionavano, venivamo invitati, studenti e docenti, ad indossare il cappotto durante la lezione, “Ché, stai tranquilla, prima o poi un tecnico la Provincia ce lo manda” …

Se un genitore, imbufalito per l’insuccesso scolastico del proprio pargolo, ci aggrediva, verbalmente, e talvolta anche fisicamente, ci sentivamo rispondere che “in fondo non è successo niente”, o, al più, “Trovati un buon avvocato, perché ‘ste cause durano tantissimo”.

Eravamo soli, quando di fronte alle palesi violazioni delle norme che regolamentano i momenti di collegialità, dopo aver preso la parola in difesa dei diritti di ogni docente, in difesa della legalità, volgendo lo sguardo intorno a noi cercavamo tra i colleghi chi appoggiasse a viso aperto la nostra proposta, le nostre osservazioni. E trovavamo solo occhi bassi, sguardi sfuggenti, parole biascicate, saluti frettolosi “perché ho il bimbo con la febbre”, o “la badante di mia madre deve andar via…”

E che dire di quando si provava a chiedere di partecipare a un corso di aggiornamento, quello importantissimo, persino caldeggiato e “sponsorizzato”dal Dirigente?

Mica ci rifiutavano solo un contributo economico, incautamente richiesto a parziale copertura delle spese! Certo che no! Ci dicevano anche che tre giorni di assenza erano troppi, e che dovevamo – eventualmente – utilizzare i giorni di congedo per motivi personali/familiari, “perché sai, non abbiamo la possibilità di sostituirti…”

Siamo soli da tanto!

La solitudine in cui oggi esercitiamo la nostra professione, il silenzio che pervade i corridoi su cui si affacciano le nostre aule virtuali non mi sconvolgono più. 

Al contrario, mi restituiscono, nuda-cruda-sfacciata, una verità che prima della pandemia era opacizzata dal vociare dei ragazzi, dal sorriso dei collaboratori scolastici, dal rumore del tacco 10 di qualche coraggiosa e affascinante collega, incapace di rinunciare al suo caratteristico fashion-style.

Non voglio qui tessere un’apologia della Didattica a Distanza, sia ben chiaro.

Il mio sguardo, focalizzato sulla difficile condizione del docente, che vive, oggi più che mai, una triste condizione di isolamento, cerca sommessamente di analizzare una problematica che da troppo tempo insiste sulle nostre professionalità, mortificate dalla disattenzione istituzionale e dalla scarsa considerazione che noi docenti per primi abbiamo del nostro ruolo sociale.

Mi rendo conto ogni giorno di più del fatto che la solitudine di oggi, però, non è tanto più dolorosa di quella che abbiamo vissuto nei lustri precedenti. È solo più fisica. Ma anche più onesta, perché non ci illude di poter contare sul supporto, sulla condivisione, sulla comprensione di chi, in realtà, non c’è più da tanto tempo.

In compenso, nella classe virtuale abbiamo ritrovato il nostro spazio vitale, il tempo totalmente speso CON e PER i nostri studenti; abbiamo ritrovato le loro voci che non si sovrappongono, abbiamo – parafrasando Seneca – “rivendicato noi a noi stessi”, nell’esercizio puro del nostro lavoro. E, pur nella distanza fisica, che auspichiamo sia eliminata al più presto, i nostri ragazzi ci osservano da vicino, senza più nascondersi dietro il compagno più alto, senza mal di pancia, senza paura. Perché in dad la nostra umanità, il senso di ricerca e di bisogno dell’altro, il desiderio di scrutarsi gli occhi – seppur attraverso lo schermo – si sono dilatati. Come la nostra voglia di migliorarci, di riabbracciarci, di IN-SEGNARE a leggere, a scrivere, a interpretare, a dare senso.

Nunzia Pendino

Foto di Pexels da Pixabay 




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