venerdì 9 settembre 2011 - Ettore Scamarcia

Navi dei veleni: continua il silenzio

Dal ritrovamento ufficiale del piroscafo Catania nella acque di Cetraro (Cs) due anni fa è calato di nuovo il silenzio. Trent'anni di scarichi di sostanze nocive e forse radioattive nei mari italiani non possono passare così, come se nulla fosse mai successo.

In tante vicende della storia italiana, dove vige imperante il dubbio e non esiste la verità, è spesso la politica, non la magistratura a mettere la parola fine alle domande: fu il caso della Commissione d'inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin presieduta da Carlo Taormina, che tra dubbi e critiche pose un punto politico piuttosto che investigativo sulle circostanze in cui avvenne l'uccisione dei due giornalisti.

La vicenda delle navi dei veleni, affondate a largo delle coste italiane col loro carico di rifiuti tossici e radioattivi, è una storia complicata su cui le istituzioni continuano a far finta di niente. Spesso dai politici si è sentito dire che nelle acque italiane nulla è mai accaduto, che certi giornalisti si sono inventati tutto di sana pianta e che i nostri mari non sono mai stati limpidi come in questi ultimi anni.

Troppo semplice. Occorrerebbe invece ricordare che ogniqualvolta qualcuno, sulla base di testimonianze, documenti e indizi raccolti sul campo, provi ad avvicinarsi a delle verità continuamente relegate nel dimenticatoio, viene smentito, attaccato, screditato e in alcuni casi tolto di mezzo.

Il fatturato delle ecomafie aumenta anno dopo anno e risulta molto difficile credere che certe pratiche di smaltimento siano avvenute solo tra gli anni '80 e '90. Oggi invece sembra esser calato un velo di Maya, seguito da un silenzio assordante. E il silenzio, qualcuno disse, è mafioso.

Forse perché il traffico di rifiuti tossici e radioattivi non può limitarsi alla sola partecipazione della criminalità organizzata, ma ha bisogno del ruolo attivo delle istituzioni.

Forse perché quegli affondamenti e quelle pratiche di smaltimento illecito nei mari non sono affatto terminati negli anni '90 e continuano tuttora, magari con gli stessi attori di allora o per mano dei loro “eredi”, quindi con le stesse persone al potere.

In ogni caso bisogna sempre cercare di attenersi ai fatti. Ci sono molti particolari che dimostrano come quegli affondamenti di navi siano realmente avvenuti e continuino tuttora lungo più o meno le stesse direttrici, ovvero l'asse tra il Mediterraneo e le coste africane.

Tra il 1992 e il 1994 pervennero al Ros, il Reparto Operativo Speciale dei carabinieri, due informative dei servizi segreti (n. 488/1 e n. 488/3) riguardo all'interessamento della 'ndrangheta per lo smaltimento illecito di rifiuti radioattivi provenienti da varie parti d'Italia e dall'estero. In particolare la cosca Mammoliti, tra cui i fratelli Cordì.

"Informatori del settore non in contatto tra loro – la precisazione è rilevante per la cosiddetta convergenza delle fonti – hanno riferito che Morabito Giuseppe, detto Tiradiritto, previo accordo raggiunto nel corso di una riunione tenutasi recentemente con altri boss mafiosi, avrebbe concesso in cambio di una partita di armi l’autorizzazione a far scaricare nella provincia di Africo (sic) un quantitativo di scorie tossiche presumibilmente radioattive".

Queste le parole del presidente Gaetano Pecorella della Commissione Ecomafie, in “missione” proprio in questi giorni, durante l'audizione del prefetto Giorgio Piccirillo, direttore dell'Aisi, dove l'audito provvede ovviamente a smentire alcun coinvolgimento del Sisde nell'affaire "navi a perdere".

Dunque due potenti cosche, i Cordì e i Morabito, si sarebbero interessati ad inizio anni '90 del traffico di rifiuti radioattivi. La fonte non è giornalistica tanto meno “voce di popolo”, ma sono le agenzie di sicurezza dell'epoca.

Tuttavia le dichiarazioni di Pecorella non finiscono qui:

"Ci sono anche altre fonti confidenziali che riguardano le cosche Piromalli, De Stefano e Tegano e, infine, vi è una notizia relativa all’affondamento in mare di rifiuti, documento del 2003".

Esce fuori quindi un variegato panorama criminale, impegnato fino a pochi anni fa (e probabilmente tuttora) nella pratica dell'inabissamento di fusti radioattivi. Gli apparati dello Stato dunque ne danno conferma, in Calabria i clan si sono interessati allo smaltimento di rifiuti radioattivi.

Affinché gli affondamenti possano materialmente verificarsi, bisogna logicamente ottenere una copertura a livello amministrativo e politico, ed è necessario poter disporre di un'ampia gamma di contatti e disponibilità per ottenere il trasporto del materiale, il suo occultamento e il silenzio delle autorità predisposte. Ovvero è primario avere degli agganci in quella società grigia mai direttamente esecutrice materiale e sempre implicata in ogni vicenda misteriosa che si rispetti. Proprio la 'ndrangheta possiede ottime entrature nel mondo della massoneria ed è qui che si inseriscono le dichiarazioni di Francesco Fonti, ex affiliato alla cosca Romeo e riferimento di altri gruppi criminali calabresi, collaboratore di giustizia dal 1994 nonché punta di diamante di molte inchieste giudiziarie.

La storia personale di Fonti è curiosa e un po' anomala, è il primo affiliato alla 'ndrangheta d'alto bordo a collaborare con la giustizia. Comincia per l'appunto nel 1994, quando viene arrestato: ai magistrati rivela le rotte del traffico di droga in Lombardia controllato dalla “locale” a cui appartiene. La sua attendibilità viene valutata positivamente e le sue dichiarazioni consentiranno alle forze dell'ordine di arrestare numerosi esponenti di spicco delle cosche operanti nel Nord. Ma è nel 2003 che Fonti inizia a snocciolare la sua verità sull'annosa questione del traffico di rifiuti tra l'Italia e la Somalia. Un memoriale di una cinquantina di pagine viene consegnato alla magistratura. 

In questo memoriale Fonti afferma di aver affondato personalmente tre navi al largo delle coste calabresi: la Cunski, la Yvonne A e la Voriais Sporadais. La Procura di Paola (Cs), nel 2009, decide di approfondire la questione e nei pressi di Cetraro, nel luogo in cui Fonti dice di aver affondato la Cunski, il rover della Regione Calabria individua un relitto con del materiale sospetto presente nella stiva.

La popolazione si allarma, si mobilita e sollecita il Governo ad intervenire. Le conseguenze di questo ritrovamento sono potenzialmente devastanti: sarebbe il primo ritrovamento di una nave dei veleni. E così arrivano il ministro all'Ambiente, Prestigiacomo e il Procuratore nazionale antimafia, Grasso con tanto di nave esploratrice, la Mare Oceano dell'armatore partenopeo Diego Attanasio (coinvolto nel caso Mills-Berlusconi). Verso fine ottobre viene organizzata una conferenza stampa e i risultati vengono resi noti: i due dimostrano all'Italia intera che il relitto non è la Cunski ma il piroscafo Catania, affondato nel 1917 da un sommergibile tedesco, con la stiva vuota, perfettamente innocuo per l'ambiente marino. Il caso viene chiuso sbrigativamente con una nota del ministro che sembra essere un avvertimento per il futuro:

"Vicende come queste vanno seguite con più prudenza e responsabilità. Abbiamo registrato un tentativo di soffiare su questa vicenda da parte di chi, amministratori e sindaci, avrebbero dovuto agire con più cautela". "Abbiamo registrato ostilità a tutti costi delle autorità regionali verso il governo. Oggi è giusto rassicurare al più presto l’opinione pubblica e la popolazione calabrese".

Il riferimento è ai sindaci di alcuni comuni del Basso Cilento e della Calabria, che su alcuni quotidiani nazionali avevano denunciato un progressivo aumento delle patologie tumorali tra la popolazione.

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Il Cunski e il Catania

Sul sito del dicastero all'ambiente vengono pubblicati i filmati con le relative delucidazioni, le fotografie del relitto del Catania e, a fianco, una vecchia fotografia del Cunski. Ma gli interrogativi e i dubbi restano tanti, troppi, come accade in tutte le vicende della storia italiana dal dopoguerra in poi. Per esempio, il relitto datato 1917 è riportato da molte carte nautiche e sono stati gli stessi pescatori, giorni prima delle ricerche sul Cunski, ad aver dichiarato sui giornali che in quelle acque sono presenti diverse navi risalenti alle due Guerre Mondiali. Oltre al Catania è presente la nave Cagliari, colata a picco nel lontano '43 e segnalata sulle carte; c'è la Federico II, una nave affondata in quelle acque negli anni '20 sui cui però è impossibile indagare perché insiste il segreto militare. Difficile credere che il Governo non disponga di un quadro completo della situazione sui fondali di Cetraro.

Il sito web del dicastero offre perfino un paragone tra la fisionomia della Cunski e quella del Catania: il cassero di quest'ultima è posto al centro mentre quello del Cunski si trova a poppa. Quindi i due scafi sono differenti e la nave sul fondale è indubbiamente il Catania.

C'è però un piccolo particolare: il ritratto del mercantile riportato dal ministero non può essere la stessa imbarcazione menzionata da Fonti perché i nomi delle tre navi affondate non erano quelli reali, come lo stesso dichiara dinanzi alla Commissione Ecomafie:

"Riprendo ora quanto ho già ripetuto: anche quando ho affondato le navi, non affondavo la Cunski, la Yvonne A o la Voriais Sporadais. Questi erano nomi fittizi, che mi venivano dati da De Giorgi. Anche i Mancuso, i Piromalli, i Pesce, gli Iamonte, che erano coinvolti nel traffico di rifiuti, affondavano le navi, non i nomi. I nomi cambiavano".

"Prendiamo tre navi, x, y e z. Queste tre navi si scambiavano i nomi fra di loro: quella che si chiamava x a un certo punto faceva un viaggio e al ritorno si chiamava y; quella che si chiamava y si chiamava z. Anche le caratteristiche potevano essere diverse".

E infatti il Cunski, in base al registro dei Lloyd's di Londra, risulta smantellato in India nel 1994 e dunque non può essere stato inabissato al largo di Cetraro.

Quindi il ministero si sarebbe mosso nel 2009 a cercare una nave che però non era quella che si sarebbe dovuta cercare, se si vuole credere all'ingenuità dei nostri vertici governativi (e ci sarebbe da preoccuparsi). E se a Cetraro la Mare Oceano della Geolab di Attanasio rilevò il Catania, a Maratea (dove, secondo Fonti, sarebbe stata affondata un'altra nave) vi trovò un vascello d'epoca romana con tanto di anfore nelle vicinanze. Nessuna traccia di radioattività nelle acque circostanti, un abbaglio in entrambi i casi.

Ma anche lo stesso Fonti appare contraddittorio nelle sue dichiarazioni: presso i giornalisti riporta certi dati, di fronte alla Commissione ritratta e ne riporta degli altri (anche se la storia di fondo è sempre uguale). Così, dalla “grande attendibilità” che i magistrati davano alle parole di Fonti, in poco tempo i membri della Commissione lo considerano “inattendibile”, sia per il mancato ritrovamento del relitto di Cetraro, sia perché i parlamentari non hanno trovato alcun riscontro sul campo dei fusti radioattivi smaltiti nel 1987 che Fonti afferma di aver nascosto in Basilicata presso il fiume Vella, località Pisticci (la morfologia del territorio è cambiata nel corso del tempo e dunque risulterebbe pressoché impossibile risalire al luogo esatto dell'interramento delle scorie).

Sebbene emerga un quadro pieno di dubbi e interrogativi, ci sarebbero però delle considerazioni da fare in proposito.

La movimentazione di materiale nucleare è qualcosa che subito catalizza l'attenzione internazionale: non c'è trasporto che avvenga senza che i governi di mezzo mondo non lo vengano a sapere. Un esempio fra tutti, il più semplice: gran parte dei cable pubblicati su Wikileaks riportano l'ossessiva attenzione delle autorità americane in questo senso; alcuni di essi dimostrano come gli Stati Uniti facciano pressione sulla Comunità Europea e soprattutto sul governo italiano affinché adottino misure straordinarie di controllo presso i rispettivi porti (in particolare caldeggiando l'adozione del progetto “Megaports”), sottolineando per il nostro Paese l'inefficienza dei controlli alle dogane in un posto dove la mafia "è in grado di trafficare scorie radioattive" e il mancato utilizzo dei rilevatori tradizionali di radioattività installati diversi decenni fa, caduti in disuso dopo il referendum del 1987.

Vicende di questa portata, come l'affondamento delle navi coi loro carichi infami, non possono che nascere per iniziativa concordata (e non singola) dai governi stessi. Esistono certamente politici implicati direttamente nel traffico dei rifiuti tossici e radioattivi, ma vi è un'intera classe politica che sapeva perfettamente e che, così come tacque all'epoca, tace tuttora sulle pratiche illegali del passato e del presente.

E come sempre, chi ci va in mezzo a queste porcate internazionali è la moltitudine ignara, la gente comune che non immagina minimamente cosa passa sopra le proprie teste

Nei mari della Calabria si è sversato e si sversa ancora: lo dimostrano prima le analisi di campioni d'acqua marina effettuati nel 2006 e nel 2008 dall'Arpacal con esito positivo (tanto da interdire la pesca per diverso tempo), poi lo spiaggiamento improvviso di fusti d'ignota provenienza sulle coste calabre.

Infine un'ultima considerazione, banale forse: se sono i governi ad organizzare i traffici di rifiuti radioattivi, servendosi della stolta manodopera criminale, perché dovremmo aspettarci dal nostro che racconti la verità e tutta la verità? 




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