mercoledì 21 settembre 2022 - Rocco Di Rella

Monarchia = Irrazionalità

Detesto le monarchie. Non sono solo un convintissimo repubblicano, ma, come il giovanissimo Pietro Nenni (il Fondatore della Repubblica italiana), anch’io avrei inneggiato a Gaetano Bresci, l’assassino del re Umberto I. Bresci, col suo gesto, volle ribellarsi all’involuzione colonialista e autoritaria del giovane Regno d’Italia, da lui temporaneamente interrotta con l’assassinio del re, ma purtroppo pienamente attuata durante la successiva dittatura fascista.

La monarchia britannica non ha mai avuto le colpe indelebili della dinastia dei Savoia. Da circa due secoli, infatti, il monarca britannico rispetta la sovranità del Parlamento ed è una figura esclusivamente rappresentativa.

Il vero Signore della politica britannica è il Primo Ministro, ossia il capo della maggioranza parlamentare. Il monarca britannico è praticamente un ratificatore della volontà della maggioranza parlamentare, cui è proibito entrare in conflitto con il Primo Ministro che la capeggia.

Il monarca britannico, inoltre, ha meno poteri dei presidenti delle repubbliche parlamentari che svolgono funzioni di garanzia costituzionale, anche perché nel Regno Unito non esiste una Costituzione scritta.

Bizzarra è poi la sua condizione di capo della chiesa anglicana, nata nella prima metà del XVI secolo, dopo il mancato annullamento del matrimonio del re Enrico VIII da parte della chiesa di Roma. Per noi europei continentali, è inconcepibile che il capo dello Stato possa essere anche il capo della chiesa nazionale. E’ una prassi ignota persino nelle chiese ortodosse, nazionali e autocefale, dell’Europa orientale. Ovviamente, anche come capo della chiesa anglicana, il monarca britannico è una figura prevalentemente rappresentativa, che delega la gestione degli affari religiosi all’arcivescovo di Canterbury, soprattutto in ragione della non appartenenza alla chiesa anglicana di più della metà dei suoi sudditi.

Insomma, il sovrano del Regno Unito vorrebbe essere un monarca vero e proprio, ma non può esserlo, perché il vero monarca è il Primo Ministro; sarebbe un monarca costituzionale, ma nel Regno Unito non esiste una Costituzione; potrebbe essere il capo della chiesa nazionale, ma non gli conviene farlo.

Ma, allora, cos’è il sovrano del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord?

E’ probabilmente un’istituzione folcloristica con un grande impatto emotivo sulla psiche dei sudditi britannici. Come le sagre di paese, la monarchia britannica serve a far percepire l’appartenenza ad una comunità. Il sovrano britannico è innanzitutto un simbolo, come può essere un palio, in cui si riconoscono i suoi sudditi. Per il suddito britannico, non è importante sapere quali sono le funzioni del suo sovrano e le ragioni che lo legittimano. Al suddito britannico serve una persona che faccia da simbolo.

Forse è la dimensione emotiva quella più idonea a spiegare l’esistenza della monarchia britannica.

Del resto, senza la dimensione emotiva, non potremmo spiegarci lo smodato cordoglio per la morte di una signora molto anziana, alla quale risulta arduo ascrivere qualche merito particolare.

Sarebbe, infatti, il caso di far notare che forse i presunti meriti della defunta sovrana sono di gran lunga inferiori ai suoi demeriti.

Se il monarca britannico è essenzialmente un simbolo emotivo ad uso e consumo del suo popolo, il suo compito principale dovrebbe consistere nel garantire la continuità dell’istituzione simbolica che incarna. La regina da poco defunta ha rischiato seriamente di compromettere tale continuità. La scelta coniugale imposta al suo erede al trono nel luglio del 1981 ha fatto barcollare l’istituzione monarchica, perché la defunta regina si è imbattuta in una giovane donna refrattaria a recitare la parte della vergine disposta a farsi ingravidare e cornificare pur di diventare regina.

L’approccio medievale avuto dalla defunta sovrana nella gestione della continuità dinastica ha innescato una spirale di errori e di situazioni culminata nella tragica morte della principessa Diana, nell’agosto del 1997.

La fredda reazione della casa reale britannica alla morte della principessa fece notevolmente calare la popolarità della regina, della sua famiglia e dell’istituzione monarchica. Il calo di popolarità non si tradusse nel crollo della monarchia grazie all’intelligenza politica di una sola persona: il Primo Ministro allora in carica, il laburista Anthony Charles Lynton Blair. Fu Tony Blair a convincere Elisabetta II a parlare in favore della principessa tragicamente scomparsa e a riconoscerle tutto ciò che non le aveva riconosciuto in vita. Quel riconoscimento postumo salvò provvidenzialmente i Windsor dai loro impacci e dai loro imbarazzi. Senza quel riconoscimento, richiesto da Blair con grande determinazione e costato non poco alla defunta sovrana, l’impopolarità dei Windsor avrebbe rapidamente portato alla fine della monarchia nel Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord.

Tutto lo smodato cordoglio per la morte di una signora molto anziana diventa assurdo e incomprensibile quando ci si sofferma sulla sua quasi fallimentare gestione della continuità dinastica, ossia sulla gestione dell’unica pratica di cui il sovrano britannico è veramente responsabile.

L’assenza di obiettività nella valutazione dell’operato di una sovrana poco brillante e abbastanza noiosa, unita allo smarrimento causato da riti di successione arcaici, ridondanti e retorici, non fa che rafforzare le convinzioni dei veri repubblicani, da sempre persuasi della manichea opposizione tra monarchia e razionalità.




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