lunedì 11 novembre 2013 - Giacomo Belvedere

Mineo e il caso "Cara", tra solidarietà e business

Il mega Cara di Mineo (Catania), il più grande d'Europa, è un errore annunciato sin dall'inizio e un luogo in cui si attua una vergognosa sospensione del diritto. Diverse sono le posizioni con cui le forze politiche della città di Capuana affrontano la questione. Ma sono tutte riconducibili a due tipi di approccio: uno "introverso" e uno "estroverso" spesso trasversali alle forze in campo. L'analisi del dibattito politico sul Cara nel piccolo centro siciliano è interessante perché Mineo riflette, come un microcosmo, tutte le contraddizioni, le inadeguatezze e approssimazioni della politica nazionale sull'emergenza migranti. Il caso Cara è destinato ancora - come rivela l'articolo - a riproporsi inalterato per i prossimi 6 anni, nonostante le promesse di un cambiamento delle politiche sull'emigrazione dopo la tragedia di Lampedusa.

Non è certo un caso se il dibattito politico nella città di Mineo (Catania) è da tempo monopolizzato dal Cara, il mega centro di accoglienza di contrada Cucinella, a pochi km dal paese. Tutte le forze politiche della città di Capuana devono necessariamente passare sotto le forche caudine rappresentate dall’emergenza Cara: un passaggio obbligato che non possono eludere. E l’ultima rivolta del 22 ottobre scorso ha reso più acuto il problema. La presenza nel territorio menenino di una struttura di accoglienza, che ospita un numero sempre maggiore di richiedenti asilo (allo stato oltre 4.000 ospiti) su una popolazione di meno di 5.000 abitanti, è di per se stessa, al di là delle questioni legate agli standard di vivibilità e ai problemi di integrazione, un’enorme irrisolta questione demografica. Che ha alterato profondamente gli equilibri del territorio. Se a questo si aggiunge che nel centro sono costretti ad una convivenza forzata etnie, religioni e culture non facilmente assimilabili e che tutti gli ospiti non sono lì in viaggio di piacere, ma in fuga dalla miseria, dalla guerra e dai regimi totalitari, si capisce bene che la questione demografica va ad aggravare quella umanitaria. E che, probabilmente, sarebbe stato saggio evitare a monte un errore annunciato come l’aver creato un Cara di dimensioni così abnormi.

A rendere esplosiva la situazione, oltre alle criticità, per dir così, strutturali della questione, ci si è messa anche la snervante lentezza burocratica con cui si espleta l’esame delle richieste dei richiedenti asilo. L’unica commissione territoriale di Siracusa è inadeguata a reggere una tempistica che, secondo la legge, dovrebbe essere di 20/35 giorni. Leggiamo nel sito del Ministero dell’Interno la definizione di Cara: «Cara: (DPR 303/2004 - D.Lgs. 28/1/2008 n°25). Sono strutture nelle quali viene inviato e ospitato per un periodo variabile di 20 o 35 giorni lo straniero richiedente asilo privo di documenti di riconoscimento o che si è sottratto al controllo di frontiera, per consentire l’identificazione o la definizione della procedura di riconoscimento dello status di rifugiato». Nulla di tutto questo al Cara di Mineo, dove i migranti devono attendere un anno, anche due, prima di vedere esaminati i loro casi. Il centro di accoglienza di contrada Cucinella (e non solo quello) è dunque ampiamente fuori legge.

I ritardi nella formalizzazione della richiesta di asilo hanno fatto sì che si trattassero i richiedenti asilo come se fossero comuni immigrati irregolari, segregandoli in luoghi in cui di fatto c’è una sospensione del diritto. Ma invece di moltiplicare le commissioni, per mettersi in regola con la legge, le si sono ridotte da due a una. Anche in questo caso occorre dire che il problema non è frutto di un fato imperscrutabile ma di precise scelte (o non scelte) politiche degli organi responsabili. Si è creata in tal modo una “bolla” umanitaria altrimenti evitabile, inflazionando il problema e gonfiando a dismisura l’emergenza. Un disastro antropologico ma anche un grande business. Che, a quanto pare, come si vedrà, è destinato a prolungarsi per altri sei anni.

DUE MODI DI VEDERE IL PROBLEMA - Nel dibattito sul Cara in cui sono coinvolte tutte le forze politiche menenine, si riflettono, come in un microcosmo, tutte le contraddizioni, le inadeguatezze e approssimazioni della politica nazionale in materia di emergenza migranti. E dunque l’analisi del contesto municipale menenino è interessante perché, in piccolo, è uno spaccato di quello nazionale. Negli interventi sul tema, si possono ben individuare due diversi modi di guardare alla questione, che spesso sono trasversali alle forze politiche di Mineo e a volte compresenti anche all’interno dello stesso raggruppamento. Giova ricordare che le liste civiche che si sono affrontate nell’ultima competizione elettorale hanno messo insieme sensibilità, storie e idealità politiche e culturali assai diverse tra loro e difficilmente amalgamabili. E che i due tipi di approccio al problema dell’emergenza migranti sono individuabili anche nell’opinione pubblica menenina.

1. L’APPROCCIO INTROVERSO - Un primo approccio al problema Cara è un’ottica che possiamo definire “introversa”. Si tratta di una visione autocentrata su sé stessa, che guarda alla questione in chiave esclusivamente economicistica e utilitaristica. A seconda delle posizioni espresse, si pone il problema dei rischi per la sicurezza dei cittadini o al contrario si presentano i vantaggi economici del Cara sia dal punto di vista occupazionale sia da quello dell’indotto. Entrambe le posizioni, nonostante sembrino antitetiche, sono accomunate dal fatto di non prendere affatto in considerazione il punto di vista “altro” dei migranti, che sono oggetto del dibattito politico, magari guardati con paternalistica condiscendenza, ma mai soggetto da rendere partecipe delle scelte. Il massimo che si concede ai migranti è una sorta di edulcorata visione del Cara come una“Capanna dello zio Tom”. Con i migranti a far la parte di un’umanità minore e bisognosa, riconoscente per l’amorosa cura paterna e materna che si offre loro. Salvo poi sorprendersi amareggiati quando le rivolte e le proteste mettono in crisi la nostra carità pelosa. Di contro, nelle posizioni più estreme e ostili alla struttura, si vede il Cara come un ingovernabile Bronx e i “negri” (appellativo razzista apparso in alcuni interventi sulla rete) come un pericolo costante per l’italianità del territorio. E tuttavia non deve ingannare l’apparente diversità di tali posizioni. Che hanno in comune il fatto di considerare il Cara come un problema, per così dire, “esterno” e valutano i pro e i contro in un’ottica eurocentrica, autoreferenziale e municipale: come una risorsa o un rischio per gli abitanti di Mineo. Un approccio che ha degli indubbi vantaggi in termini di consenso. Perché risponde al sentire diffuso tra la gente: le dimensioni stesse del Cara menenino rendono assai difficile l’integrazione con la popolazione, per cui l’idea prevalente che si ha del Cara, espressa o non espressa, è quella di un “corpo estraneo”, da sfruttare o da espellere. Una visione che separa il problema dal mio “ego” e che rischia, se assolutizzata, di degenerare in una deriva segregazionista.

2. L’APPROCCIO”ESTROVERSO” - Più difficile trovare un’ottica “estroversa”, che si sforzi cioè di guardare alla questione dal punto di vista dei migranti e del diritto internazionale. Che ascolti le loro istanze e si sforzi di tradurle in precise richieste politiche. Che si muova insomma in una visione pienamente integrazionista ed altruista del problema, considerando come prioritaria la questione dei diritti umani rispetto alle altre, pur legittime, della sicurezza o delle ricadute occupazionali. In tale ottica, i diritti dell’altro non solo non sono una questione separata dal mio “ego”, ma lo interrogano e lo mettono in discussione. È questa, occorre riconoscerlo, una posizione minoritaria. Si stenta a ritrovare negli interventi politici, a Mineo o a Roma, questo approccio, perché non paga elettoralmente ed è assai difficile da far comprendere alla gente. Meglio parlare alla “pancia” dei cittadini, agitando lo spauracchio della paura o sventolando le prospettive allettanti di guadagni facili e posti di lavoro per tutti. Eppure la politica non dovrebbe andare a rimorchio degli impulsi e umori più elementari, ma essere capace di parlare alla”testa” e al “cuore”, educando ad una visione più alta. A costo di essere “impopolare”.

Le due ottiche non sono per forza autoescludenti, ma bisognerebbe avere il coraggio di dire che la seconda, “estroversa”, è prioritaria rispetto alla prima, “introversa”. È la cosiddetta regola d’oro della morale o etica della reciprocità: in un sistema di relazioni interattive si ha l’equilibrio se ciascuna parte ha diritti e doveri. Un elemento chiave della regola è che chi cerca di vivere in base ad essa tratta tutte le persone, e non solo i membri della propria comunità di appartenenza, con rispetto. Ne derivano due regole secondarie: quella della complementarità, che afferma che i diritti di ciascuno sono un dovere per l'altro; e quella della solidarietà, secondo cui, se l’altro è in stato di menomazione dei diritti ho il dovere della solidarietà per ristabilire l’equilibrio. Questa regola la si trova in tutte le culture e religioni. Nelle massime di Epitteto o di Budda e nel Vangelo di Cristo.

E PER I PROSSIMI 6 ANNI? CARA FOREVER - Il 29 ottobre scorso il Consiglio comunale di Mineo ha votato all’unanimità un documento di richieste sull’emergenza migranti da inviare a Bruxelles, Roma e Palermo. La mozione di indirizzo sul Cara è frutto di una mediazione tra i tre gruppi consiliari, “Uniti per Mineo”, “Noi Mineo” e “Mineo prima di tutto”, per cui si possono cogliere in essa aspetti riconducibili a entrambi i due tipi di approccio al problema, quello introverso e quello estroverso. La mozione ha il merito di partire dal dato che esiste una “questione Cara” e che non sono affatto «minimizzabili i problemi connessi alla convivenza, all’accoglienza, all’ordine e alla sicurezza del territorio e delle popolazioni coinvolte, siano essi migranti o abitanti del posto». Altro aspetto positivo è l’aver tentato una sintesi, che è piuttosto un sincretismo imperfetto, tra i due modi di intendere la questione. Anche se bisogna riconoscere che ancora si tende a mettere le due ottiche sullo stesso piano, senza considerare prioritaria la questione dei diritti dei migranti. Ma è un primo passo avanti. Il secondo passo sarebbe affrontare sul serio e alla radice la “questione Cara”. Ma non sembra ci si stia muovendo in questa direzione, al di là dei buoni propositi espressi.

Il 31 dicembre 2012 è stata dichiarata conclusa l'emergenza umanitaria Nord Africa. I Cara sono stati chiusi, ad eccezione di quello di Lampedusa e di quello di Mineo. Il successivo 8 marzo è stata siglata la convenzione tra Prefettura di Catania e il Consorzio "Calatino Terra d'Accoglienza”, costituito dai comuni di Mineo, S. Michele di Ganzaria, Vizzini, S. Cono, Ramacca, Raddusa e Licodia Eubea per la gestione ordinaria del Cara di Mineo. Il Consorzio è diventato dunque il soggetto attuatore, sostituendosi alla provincia di Catania. Per il centro di Mineo si era raggiunto inizialmente un accordo per prolungarne la vita fino a giugno (la copertura finanziaria arrivava fino al 30 giugno), ma successivamente si è avuta un’ulteriore proroga fino al 31 dicembre 2013. Ma sembra che nemmeno questa data sia definitiva. Il 2 ottobre scorso, infatti, la Prefettura di Catania, su indicazione del Ministero dell’Interno, ha inviato una nota al Consorzio "Calatino Terra di Accoglienza” chiedendo «un valido e documentato titolo di disponibilità di una struttura idonea all’accoglienza di 3.000 immigrati ai fini della sottoscrizione di una convenzione triennale per la gestione di un Centro Cara».

Tre anni prorogabili per altri tre, come si evince dall’Avviso pubblico con cui il Direttore Generale del Consorzio, Giovanni Ferrera, ha avviato un’indagine di mercato per l’individuazione dell’immobile da destinare a Cara. E dunque, con ogni probabilità, per i prossimi sei anni non solo non si sconfesserà affatto la politica del mega Cara, ma si continuerà ad ignorare ancora una volta il Patto per la Sicurezza, siglato dai sindaci il 28.03.2011, che impone di non superare il tetto massimo di 2000 unità tra i migranti accolti al “villaggio della solidarietà”. Un Patto, tuttavia, di cui gli stessi Sindaci, che ne dovrebbero essere i garanti, non sembrano tener conto in quanto membri del Consorzio. Come se fossero affetti dalla sindrome bipolare del dottor Jekyll e Mr Hyde.

È degno di menzione, inoltre, il fatto che il rispetto del Patto è una delle prime richieste formulate nella mozione votata dal Consiglio comunale menenino. Ma tant’è. Considerando che i requisiti richiesti per la struttura dove allocare il Cara rispondono esattamente all’ex “Residence degli aranci” della Pizzarotti, dismesso nel 2011 dai militari statunitensi in contrada Cucinella e oggi “Villaggio della solidarietà”, e che nei dintorni del territorio calatino non sembra ci siano tante altre strutture in grado di ospitare 3.000 migranti, pare proprio che per i prossimi 6 anni non ci saranno grandi novità. E dunque i proclami e i propositi annunciati in questi giorni in merito a un cambiamento delle politiche in tema di emergenza migranti sono da considerare carta straccia o, al più, uno specchietto per le allodole. Tutto cambia perché niente cambi. Il mega Cara sembra dunque resistere a tutte le intemperie, inossidabile. Cara forever. “Nihil novi sub sole”. Il sole tramonterà ancora centinaia di volte sopra Cara di Mineo, ma illuminerà sempre lo stesso endemico problema irrisolto.

 

 




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