lunedì 18 dicembre 2017 - Antonio Del Lungo

Messico, a venti anni dal massacro di Acteal in Chiapas

Tra il 22 ed il 23 dicembre di 20 anni si consumò la strage di Acteal ed il mondo rimase pressoché all’oscuro o semplicemente indifferente, a questa ennesima tragedia delle vicende messicane.

Acteal è un villaggio del Chiapas, abitato da nativi ed indigeni messicani discendenti del popolo Trotzil. L’intero stato del Chiapas messicano, uno dei trentadue che costituiscono la Repubblica Messicana, è il più arretrato culturalmente ed il meno integrato dell’intera regione. La popolazione è sostanzialmente suddivisa tra discendenti degli spagnoli che esercitano il potere con prepotenza e prevaricazione, ed i nativi che non riescono a vedersi riconosciuti diritti e giustizia sociale. Ancora oggi i nativi sono tenuti in povertà e gran parte di essi non ha accesso all'acqua potabile. Le loro terre hanno subìto numerose confische pianificate dal governo centrale ed eseguite con l'uso delle forze armate.

Questa situazione, incancrenitasi per tutto il secondo Novecento, generò una guerra civile protrattasi per molti anni e portata avanti dall’Ejército Zapatista de Liberación Nacional  (EZLN) fin dalla sua nascita nel 1983, e di fatto conclusasi nel 2006 a seguito della svolta democratica e di rinuncia della guerriglia insurrezionale da parte del movimento, movimento divenuto noto nel mondo soprattutto per la leadership determinata del suo subcomandante Marcos.

Venti anni fa, nella notte del 22 dicembre, un gruppo paramilitare penetrò nel villaggio di Acteal e nel giro di poche ore compì un orrendo massacro di civili inermi; il villaggio non aveva aderito alla rivolta zapatista, ma nemmeno si allineava alle politiche del governo centrale. L’azione più sanguinosa si svolse nella chiesa del villaggio gremita da molti membri della comunità. Furono trucidate almeno 45 persone, fu infierito sui loro corpi, furono sventrate le donne incinte e massacrati molti bambini, il più piccolo dei quali aveva appena otto mesi.

L’episodio si colloca nella complicata evoluzione della guerriglia sopra citata ed ha avuto squallidi strascichi giudiziari. La giustizia messicana infatti pose in arresto una sessantina di miliziani - scarcerandone poi una ventina per mancanza di prove - ritenuti i responsabili materiali dell’eccidio, ma mai si è impegnata per trovare e colpire i mandanti della strage. E’ stata pertanto assicurata l’impunità totale a non poche figure istituzionali e responsabili delle forze dell’ordine, che permisero, sia pianificando, sia non intervenendo in tempo, la realizzazione dello sterminio. Anche la riapertura di un secondo iter processuale nel 2009 non ha portato a risultati significativi, lasciando impuniti, a dispetto delle tante prove raccolte, pressoché tutti i responsabili morali dell’eccidio.

A venti anni di distanza rimangono ancora irrisolti tutti i problemi che generarono la strage e se ne aggiungono pure di nuovi. Rimane lo stato di sfruttamento, ghettizzazione ed oppressione dei nativi, rimangono le violenze e le prevaricazioni dei discendenti dei colonizzatori che godono dell’appoggio del governo centrale, si intrecciano interessi economici non indifferenti di soggetti nazionali e stranieri per le risorse della regione, si proseguono le lotte e la resistenza all’applicazione di alcuni trattati commerciali internazionali che arrecano ulteriore danno alla popolazione locale. A tutto questo si aggiunge ora il tentativo di introdurre modifiche alla costituzione messicana, come all’articolo 29, chiamato da molti Ley Golpista. In definitiva nemmeno venti anni dopo la tragedia di Acteal il dibattito politico ruota sulla possibilità di introdurre norme costituzionali in grado di sospendere i diritti civili in particolari situazioni ed offrire ulteriori libertà di azione ed impunità alle forze armate. Tutto questo mentre nei sei anni di presidenza di Felipe Calderon (2006-2012) la cosiddetta guerra al narcotraffico ha prodotto un uso intensivo ed incontrollato dell’esercito nei territori abitati soprattutto dai nativi con 125.000 vittime e molte migliaia di desaparecidos. L’ultimo presidente Pena Nieto, col richiamo nelle basi degli squadroni dell’esercito, parrebbe voler porre fine ai massacri, ma il suo disegno di modifica costituzionale, nella direzione di maggior forza per le forze armate e riduzione dei diritti civili, non può non destare preoccupazione per il futuro democratico dell’intero paese.

 Peccato che le diplomazie occidentali, tanto solerte ad occuparsi di diritti e democrazia in alcuni paesi considerati ostili, chiudano entrambi gli occhi a quanto accade nell’amico Messico.  

Antonio Del Lungo

 




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