martedì 12 settembre 2017 - Pressenza - International Press Agency

Medici Senza Frontiere, intervista a Francesco Di Donna: l’importanza di dare sostegno e assistenza alle persone in difficoltà

Francesco Di Donna, Coordinatore Medico per Medici Senza Frontiere in Italia, sarà uno dei relatori dell’incontro “Illuminare l’oscurità. Impegno per profughi e migranti e giornalismo indipendente”, dove parlerà della sua esperienza in Africa, Medio Oriente e Italia. Gli abbiamo posto alcune domande al riguardo. Ecco le sue risposte.

di Anna Polo

Hai iniziato a lavorare per Medici senza Frontiere una decina di anni fa. Che cosa ti ha spinto a fare questa scelta?

Non è facile rispondere a questa domanda. Come infermiere sono sempre stato spinto dall’idea di raggiungere paesi lontani per poter contribuire dando sostegno e assistenza alle persone in difficoltà. Medici Senza frontiere mi ha dato la possibilità di realizzare tutto ciò.

Di quali situazioni ti sei occupato nelle tue missioni all’estero?

Un po’ di tutto. In dieci anni ho lavorato nell’assistenza a popolazioni colpite da grandi epidemie, come il colera o il morbillo in Repubblica Democratica del Congo, o da catastrofi naturali e terremoti (ad Haiti), o in contesti di guerra come la Siria e l’Afghanistan.

C’è qualche episodio nella tua lunga esperienza di operatore umanitario che ti ha particolarmente colpito? Puoi raccontarcelo?

Sono tante le immagini e i ricordi di questi dieci anni che porto con me. Sicuramente uno dei momenti più belli e emozionanti fu quando le persone anziane di un villaggio di Haiti ci ringraziarono per l’assistenza ricevuta festeggiandoci, icendoci che senza il nostro intervento contro il colera sarebbero tutti morti. Sono dei gesti preziosissimi, che valgono più di mille parole.

Purtroppo però di malattie come il colera si muore ancora, tanto e molto velocemente. Non scorderò mai la morte di una bambina che sembrava stesse migliorando, ma che ebbe una ricaduta velocissima e morì in pochissimo tempo. Quando operi in contesti di urgenza, con tantissimi pazienti che richiedono cure mediche tempestive, è impossibile seguire ognuno 24 ore su 24. Ma se tornassi indietro non la perderei di vista neanche per un attimo.

Hai partecipato direttamente ai salvataggi dei migranti nel Mediterraneo, oggetto di una vergognosa campagna denigratoria a opera di vari media e politici. Come ti sei sentito davanti a questi attacchi?

Sono profondamente preoccupato per l’escalation di avvelenamento del clima alla quale abbiamo assistito in questi ultimi mesi. Negli scorsi anni le operazioni di salvataggio nel Mediterraneo erano accompagnate dalla vicinanza di tantissimi italiani e soprattutto dal riconoscimento istituzionale del dovere di salvare vite in mare. Oggi ci troviamo in una situazione opposta: chi fa ricerca e soccorso in mare – ed ancora di più le persone soccorse – si è trovato di fronte a un’ostilità che per il Paese che ha preso l’iniziativa di lanciare Mare Nostrum rappresenta un enorme passo indietro. Inoltre, questi attacchi sono spesso accompagnati da notizie false e da titoli inaccettabili: abbiamo sistematicamente risposto e chiesto di pubblicare la rettifica, ma la smentita, anche se pubblicata, non ha la stessa forza dell’accusa che infanga. Tutto questo ha creato un danno enorme.

La mattina del 24 agosto eri in Piazza Indipendenza a Roma durante le cariche contro i rifugiati eritrei, un’esperienza che hai raccontato in una toccante testimonianza. La situazione di profughi e migranti in Italia è sempre più precaria. Cosa possono fare a tuo parere attivisti e media indipendenti come Pressenza per contrastare la deriva razzista che ha investito buona parte delle forze politiche, dei media e purtroppo dell’opinione pubblica?

Credo che sia nostro compito – come organizzazione umanitaria presente nei contesti al centro del ciclone mediatico di questi ultimi mesi – non smettere di testimoniare la realtà che ci troviamo davanti ogni giorno. Raccontare in modo preciso e dettagliato quello che succede alle persone che sono costrette a intraprendere la traversata in mare e che abbiamo soccorso con le nostre navi dal 2015, le sofferenze in Libia, dove siamo presenti con attività di assistenza medica in alcuni centri di detenzione a Tripoli e le difficoltà legate all’accoglienza in Italia, dove forniamo servizio psicologico nelle strutture di accoglienza straordinaria in Sicilia. E attraverso questo racconto, decostruire i luoghi comuni, gli stereotipi e le fake news che alimentano un’informazione sbagliata sul tema. I media indipendenti hanno l’importante responsabilità di ascoltare e dare spazio alle organizzazioni e alla società civile che si impegnano ogni giorno per portare assistenza a chi fugge da povertà, guerra e sofferenze e cerca di raggiungere il nostro paese in cerca di protezione.

In questi dieci anni di impegno per Medici senza Frontiere sarai venuto a contatto con persone molto diverse tra loro per età, provenienza, religione e cultura. Che cosa unisce profondamente gli esseri umani, al di là delle differenze?

Credo la lotta per la sopravvivenza. E la resilienza. La lotta per raggiungere un benessere fisico e mentale, per poter stare in equilibrio con noi stessi e poter contribuire in maniera positiva a chi ci sta intorno. Questo vale sia per i nostri pazienti che per noi stessi come operatori umanitari che lavoriamo in contesti d’urgenza.

Foto di Medici senza Frontiere




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