martedì 27 ottobre 2020 - Anna Maria Iozzi

Massimo Bigi: il debutto a sessantadue anni con l’album “Bestemmio e prego”

È stato il tour manager di Enrico Ruggeri. Il 16 ottobre, ha esordito con l’album “Bestemmio e prego”, un titolo contradditorio che nasce dalla collaborazione con il noto cantante. Preceduto dal singolo in coppia “Come se fosse facile”, sta cercando di farsi notare nell’ambito musicale, dove niente è dovuto se non con la forza di cambiamento e di volontà.

Stiamo parlando di Massimo Bigi. In questa intervista esclusiva, il cantautore esordiente all’età di sessantadue anni ci presenta il suo album e le ragioni che lo hanno portato a debuttare in un periodo non particolarmente facile per il nostro paese. Con la consapevolezza che, pur debuttando con l’avanzare degli anni, non si perde la capacità di rinnovamento interiore che si può dare alla vita. La musica ci insegna che non esiste l’età per fare arte. In questo, Massimo Bigi si sta calando in una dimensione insolita e inedita, con grande senso di responsabilità, in un contesto, come quello della musica che, ogni giorno, si misura con innovazione, creatività e ideazione.

Il passaggio graduale da tour manager a cantautore, grazie alla profonda amicizia con Enrico Ruggeri, è la base da cui dover partire per iniziare una profonda opera di introspezione, dove come ci dice nell’intervista: “è meglio guardarsi dentro e respirare, senza correre il rischio fare scale tutto il giorno, dove non si ha la certezza dove si vuole arrivare”.

 

Il 16 ottobre, è uscito il suo album da debutto, “Bestemmio e prego”, un titolo contraddittorio e particolare, nato dalla collaborazione con Enrico Ruggeri. Com’è nata l’idea di questo progetto?

“Quando si dice “il caso”… Enrico, fra una data e l’altra del tour estivo, si trova a passare dalle mie parti, quando questo succede quasi sempre parte una telefonata:

- Cosa sta architettando il Bigi?

- Il Bigi stava giusto pensando di invitare qualche amico a cena!

Sempre il caso vuole che, per cena, ci siano delle lasagne al ragù bianco di chianina. L’equipaggio si ristora, accompagnando il piatto con del Vino Nobile di Montepulciano. Aneddoti e nuovi racconti scivolano via sul velluto del grande vino, fino a che il Rouge mi chiede: “stai scrivendo qualcosa?”. In disparte, gli faccio ascoltare un provinaccio alquanto indegno di “Come se Fosse Facile”. Intuisce che nelle sue mani potrebbe prendere forme più degne e si offre di cantarne un paio di strofe per dare un po’ di visibilità a quello che, per me, fino ad allora, era solo un gioco. Credo che il punto esatto di partenza sia stato proprio questo”.

 

L’album è stato anticipato dall’uscita del singolo “Come se fosse facile”, in duetto con Enrico Ruggeri, che racconta la fatica di far finta che vada tutto bene, quando, invece, si sta solo aspettando che qualcosa cambi. E come se si stesse parlando della realtà attuale. Confida in un cambiamento?

“Ogni santo giorno facciamo un tuffo nel giorno che ci aspetta. Giorni sì e giorni no. Finiamo sempre per classificarli in queste due categorie.

A volte, viene bene. Non sempre è così facile. La parola cambiamento, se la scandiamo lentamente, ci rendiamo conto di quanto sia lunghissima. Il cambiamento vero, credo che sia quello che si costruisce lentamente, ma guai smettere di sognarlo”.

 

Pubblicare un album a sessantadue anni, oltre che essere un vantaggio, è un valore aggiunto, perché la musica non ha età. Dai frammenti di vita vissuta, che cosa le ha insegnato esordire con quest’album e che cosa le ha trasmesso emotivamente?

“Dubbi, perplessità e insicurezze iniziali a parte, confesso che vivo serenamente la novità. Sono molto soddisfatto del risultato. Ascoltare la propria musica suonata da musicisti come quelli di Ruggeri è il sogno di una vita”.

 

Come è stato lavorare con Enrico Ruggeri, in veste di “collega”, anziché di tour manager?

“Enrico Rouge Ruggeri è un gran signore. Questo va detto, sia come artista che come uomo. Lavorare al suo fianco è appagante, perché trasmette un’esperienza e una conoscenza non comuni. Nella “convivenza artistica”, riesce a farti dimenticare il grande artista che è con la semplicità e la voglia di divertirsi”.

 

Da tour manager, avrà constatato l’enorme difficoltà dei lavoratori dello spettacolo in questo periodo di particolare difficoltà. A loro, che cosa si sente di dire? 

“Il lavoratore dello spettacolo basa la propria professione sulla passione. Chi sceglie di appartenere a questa categoria è consapevole di questo. Non insegue uno stipendio soltanto e, proprio in virtù di questo, merita un’attenzione e una solidarietà speciale. Non assistenzialismo, bensì diritto al lavoro. Lo spettacolo ripartirà con i primi mesi dell’anno nuovo probabilmente”.

 

Dalla profondità introspettiva che emerge dai suoi testi, a margine di un’eventuale chiusura, cosa spera che questa situazione così estrema di difficoltà possa insegnarci?

“A ricordare, a non dimenticare”.

 

Qual è la lezione più importante che sente di aver appreso dalla musica e che sente in dovere di dare ai giovani e agli esordienti come lei che decidono di svoltare in un momento particolare della loro vita?

“Non sono mai stato un bravo musicista, e questo penso che sia fondamentale nella mia esperienza musicale, poiché mi ha spinto a fare il muscolo sulla creatività, l’ideazione. È inutile fare scale tutto il giorno senza sapere dove si vuole arrivare. Meglio fermarsi in un pianerottolo a respirare. Guardarsi bene dentro”. 




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