giovedì 11 ottobre 2012 - UAAR - A ragion veduta

Manifesto dei neocon italiani, sempre più teocon

Niente da fare, la destra italiana, a differenza di quelle europee, non riesce proprio a fare a meno della supina accettazione dell’ideologia cattolica. Vorrebbero fare i neocon, ma alla prova dei fatti si rivelano soltanto dei teocon. Anzi, dei vaticon.

Ultima fatica degli ambienti Pdl, elaborato dalle fondazioni Magna Charta e Italia Protagonista, è il Manifesto per il bene comune della nazione. Che vorrebbe riadattare e trapiantare da noi — di certo non brillando per tempismo — l’attitudine neoconservatrice statunitense. Sottoscritto da politici come Maurizio Gasparri, Gaetano Quagliarello, Maurizio Sacconi, Roberto Formigoni, Maria Stella Gelmini, Giorgia Meloni e Gianni Alemanno. Tutti politici che si sono distinti per una rigida linea clericale.

Il tentativo (disperato?) di trovare un futuro politico al – o dopo – Il Pdl punta, tanto per cambiare, alla “rielaborazione delle idee liberali e comunitarie” per una “autentica spinta al cambiamento e alla modernizzazione”. Ma, si precisa, senza perdere di vista i “valori della nostra tradizione nazionale”. Anche se ci si guarda bene dal fare riferimento a termini come ‘cristianesimo, ‘cattolicesimo’ o ‘laicità’, grattando la patina del non detto emerge la sostanza del fondo clericale di questo pensiero “nuovo”.

Di fronte alle grandi sfide e trasformazioni della società “post-moderna” la ricetta dei neocon nostrani è la “tradizione dei nostri padri”. Con una stoccata al “pensiero debole in nome del quale la sinistra, nel tentativo di tenere insieme ciò che insieme non può stare, relativizza la dimensione dell’uomo e coltiva la pretesa giacobina di poter risolvere tutto nello Stato”. Perché solo nel “riferimento alla tradizione” i credenti e i “non credenti” possono “rintracciare una verità condivisa sulla quale fondare il laico esercizio delle funzioni pubbliche”.

La crisi attuale sarebbe generata “da una perdita di senso” e di fondamento etico, che ha portato tra l’altro al declino demografico. Per invertire la “tendenza nichilistica al declino”, si propugna un programma di natura confessionalista e comunitarista, che in parte sembra uscito dai sermoni di Benedetto XVI.

In primis si punta alla “promozione della centralità della persona e del valore della vita dal concepimento alla morte naturale”. Citazione testuale di Giovanni Paolo II, e che sottintende la compressione del diritto della donna di poter scegliere se portare a termine o meno una gravidanza e della facoltà dell’individuo di gestire la propria esistenza (su temi come eutanasia e fine-vita).

La promozione della vita — ovvero l’agenda no-choice in tutte le sue sfumature — è il “presupposto per lo sviluppo della società, per la sua vitalità economica e demografica”. Quindi si passa alla “difesa della famiglia naturale”, che sembra negare qualsiasi apertura per le coppie non sposate e omosessuali. Non manca il “principio di sussidiarietà” che, viste le premesse, rischia di ridursi alla tutela di quella ‘malata’ e cattolicamente orientata nella prospettiva annunciata di uno svuotamento del welfare pubblico e paritario. E la “libertà delle scelte educative”, che tradotto significa la concessione di tutele privilegiate — e fondi pubblici — alle scuole private, di fatto quelle a orientamento religioso cattolico.

Queste sarebbero le “buone pratiche sussidiarie in materia di integrazione socio-sanitaria”, di “lotta alla povertà, di pluralismo educativo”. Un modello che riecheggia da tempo a destra. Già nel 2008 l’allora ministro del Lavoro Sacconi aveva elaborato un Libro Verde, rispetto al quale anche l’Uaar aveva formulato numerose osservazioni critiche.

Il manifesto neocon critica “l’abbaglio del multiculturalismo”, che ha concesso diritti alle comunità di immigrati favorendone la chiusura. Come accaduto ad esempio in Gran Bretagna. Ma è sospetto che la critica al multiculturalismo venga da chi sostiene a spada tratta i valori non negoziabili e l’unicità del pensiero cattolico. E che applica solo su scala più larga e con il coltello dalla parte del manico quello che favoriscono i ‘ghetti’ identitari tanto criticati.

Altri sono i temi trattati dal Manifesto, ma ci siamo soffermati su questi, visti i risvolti etici. L’Italia ha un drammatico bisogno di fare un salto di qualità. Non c’è nulla, nell’ideologia cattolica, che non sia stato già sperimentato in passato. C’è chi ha nostalgia dell’Inquisizione o del governo Pontificio? Delle decime obbligatorie, che hanno costretto alla povertà milioni e milioni di esseri umani? Dell’ostracismo verso gli ebrei e della demonizzazione verso tutti gli altri non cattolici? Della religione di Stato? Delle scuole e delle corsie degli ospedali gestite dalle suore? Del reato di aborto e conseguenti aborti clandestini? O dell’indissolubilità del matrimonio?

La responsabilità del declino italiano ricade tuttavia in prima battuta sui diversi schieramenti, tutti assai più solerti dei corrispettivi partner dell’Ue nell’accondiscendere i desideri delle gerarchie ecclesiastiche, piuttosto che a impegnarsi per la tutela dei diritti e aprire alla laicità. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: più è alto il tasso di clericalismo, più è alto il rischio di fallimento del paese. Le “pecore nere” dell’Unione Europee, i cosiddetti Piigs (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna), possono forse essere considerati paesi ampiamente secolarizzati?

Cominciamo a discuterne e a prenderne tutti atto, invece di rifugiarci nell’idealizzazione di una nefasta tradizione di governo. Il “bene comune di una nazione” non passa certo attraverso chi le ha già causato tanti problemi.




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