mercoledì 29 luglio 2009 - Emilia Urso Anfuso

Malattia Mentale: la Legge Stanca ha favorito il business delle cliniche private

C’è un mondo oscuro, abitato da persone invisibili. Sorde. Inaccessibili. Un mondo entro il quale l’unico suino percepibile è la disperazione

Un mondo vasto, spaventosamente sviluppato. Eppure, tenuto ben lontano dalla realtà quotidiana e dalle cronache dei Media nazionali. E’ il mondo della malattia mentale.
 
In Italia, i casi accertati di persone con disagio mentale, arrivano a malapena a circa 500.000 unità. Questi dati si evincono dall’accesso alla terapia attraverso al frequentazione dei Centri di Igiene Mentale, servizio pubblico a disposizione dei cittadini che necessitano ora di cure psichiatriche ora di supporto psicologico.
 
Ma questi dati pubblici, non sono assolutamente reali. Il perché è da ricercare nell’abitudine diffusa di non accettare da un lato il disagio mentale proprio o di un congiunto, dall’altro nella difficoltà a ravvisare una patologia psichiatrica o psicologica da parte del medico di base.
 
In effetti, si calcola che il numero reale di soggetti affetti dalle varie patologie psico psichiatriche, raggiungano circa i dieci milioni di persone. Un numero enorme. Che sconfina spesso in tragedie insospettabili all’interno di famiglie ritenute “normali” secondo i parametri di accettazione sociale.
 
Dal 1978, data della approvazione della famosa Legge Stanca L. 180/78 in materia di rivoluzione del settore psichiatrico in Italia, Legge poi pienamente integrata alla Legge 833/78 ad oggi, ciò che doveva divenire un processo di modernizzazione delle varie fasi di supporto ai malati di patologie mentali, è divenuto una grande bluff, di cui ancora oggi si pagano allarmanti conseguenze.
 
Di per sé la Legge in questione, apriva un grande portone su un settore che fino ad allora, faceva ancora pensare più ad una fossa dei serpenti che ad un sistema che adempisse l’obbligo di curare e dare supporto a chi soffrisse di patologie psichiatriche gravi. La Legge si fonda su criteri di dignità, diritto, libertà di cura oltre che sulla creazione, a livello nazionale, di punti di riferimento pubblici per tutti coloro che necessitino di terapie psichiatriche.
 
All’atto pratico, così non è stato. Colpevole forse la troppa vena innovativa, che entrò subito in contrasto con criteri che fino ad allora, si fondavano su un senso deviato del come, quando e perché, curare un malato psichiatrico.
 
Così, se da un lato la nuova normativa pretendeva di innovare il settore e dare nuova dignità al malato mentale, dall’altro non trovò corresponsione per il semplice fatto che nessuno sapeva come mettere in pratica queste strategie riformiste.
 
Negli anni, ciò che è accaduto realmente, è che se da un lato i vecchi istituti manicomiali, sono stati chiusi, dall’altro le persone che vi soggiornavano non hanno trovato una opzione diversa se non quella di esser lasciate a se stesse.
 
Concretamente però, c’è stata una evoluzione, ma che piuttosto che rendere un servizio ai milioni di malati psichiatrici ha prodotto più ampio respiro economico a molte cliniche private che hanno subito sentito l’odore di business nel comminare la propria realtà sanitaria verso una nicchia che necessitava palesemente di strutture che il nuovo sistema riformista non è riuscito a creare sul territorio nazionale.
 
Forti quindi di queste mancanze strutturali, centinaia di cliniche private hanno cambiato la loro indicazione di cura generica, reinvestendo nel settore psichiatrico. Un affare alquanto lucroso se si considerano i grandi finanziamenti elargiti a tutto tondo per far si che l’innovazione passasse attraverso strutture consolidate seppur private.
 
In sostituzione dei manicomi quindi, non è stato mai fatto nulla di pubblico. Se non far accedere ai finanziamenti pubblici, strutture private che se da un lato risolvono la problematica relativa alla tipologia di ambiente di cura, dall’altra non sostiene le necessità dei pazienti, che dovrebbero – per tipologia patologica – esser messi ancor più al centro delle attenzioni dei medici curanti e delle strutture sanitarie.
 
Si è passati così dalle fosse dei serpenti, alle lussuose cliniche private e convenzionate che dietro la copertina patinata di strutture spesso eleganti e confortevoli, nascondono comunque la stessa tipologia di problematiche e metodiche riscontrabili nei vecchi istituti manicomiali.
 
C’è comunque da riflettere su un altro punto fondamentale. Negli ultimi trenta anni, la tipologia delle patologie riscontrate ha virato verso nuove sindromi. Oggi per lo più, si trattano casi di depressione grave, schizofrenia, disturbi del comportamento disturbi alimentari o dipendenze da farmaci, alcool e droghe.
 
Ma se pur cambiano i parametri di patologia, non sembra cambiare l’attenzione alle metodologie ed alle grandi carenze strutturali pubbliche che – appunto – demandano sempre alle strutture private un qualcosa che ancora, a distanza di trent’anni – non è stato assolutamente recepito dalle strutture pubbliche.
 
La salvaguardia del benessere umano, vive di tanti livelli. Passa per le trame del Sistema Sociale e dell’organizzazione pubblica. Ogni anno nel mondo quasi un milione sono le persone che muoiono di suicidio, per non aver trovato giusta cura, considerazione e conforto dal Sistema sanitario, sia pubblico che privato.
 
All’atto pratico, una Legge che voleva cambiare totalmente un settore, ha creato solo un maggior numero di persone lasciate nella solitudine e nella disperazione del proprio disagio mentale. Ed ha creato un’enorme business a favore di tutte quelle centinaia di strutture che hanno compreso subito le falle dello stesso Sistema, facendole divenire punto cardine della speculazione economica.
 
Ogni paziente, quotidianamente, è un carico per la Società. Una disperazione per i familiari. Fonte di studio per la Ricerca. Denaro per chi li accoglie.



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