giovedì 23 maggio - Phastidio

Macron e la sindrome italiana sulla Ue

Nuovo discorso euro-programmatico del presidente francese. Da cui emerge ancora l'identikit di Mario Draghi. Deus ex machina per la rinascita e contro la paralisi o segno dell'euro-declino di rito italiano?

Del secondo “discorso della Sorbona” di Emmanuel Macron, dopo quello che nel 2017 ha introdotto il concetto di “sovranità europea”, possiamo segnalare alcuni punti. Ad esempio, che per il presidente francese l’Unione europea “potrebbe morire”, e per scongiurare il rischio dell’infausto evento occorre compiere delle scelte, oggi. Non è passato neanche un lustro ma sembra trascorsa un’era geologica da quando Macron dichiarava la “morte cerebrale” della NATO, invitando gli europei a reagire e prendere le redini del proprio destino militare e geopolitico.

EUROPA ACCERCHIATA

Oggi, l’Europa è “accerchiata” da potenze regionali vieppiù disinibite nella propria assertività: Russia e Iran su tutte. Mentre Stati Uniti e Cina si dedicano a smantellare a colpi di sussidi il sistema del commercio internazionale, l’Europa è rimasta la sola a rispettarlo. Serve quindi autonomia strategica e industriale, e assertività commerciale. Nulla di inedito, lo abbiamo già sentito e commentato più volte. Macron invoca i campioni europei, soprattutto nella Difesa, per insediare al vertice aziende francesi. Resta “europeista” ma di rito rigorosamente francese e lo conferma quando va in Cina con un approccio mercantilista.

Occorre cambiare rotta, dunque. Con una “preferenza europea” negli acquisti per la Difesa, ed essere “più assertivi” nella politica commerciale. Tra poco analizzeremo le criticità di questo principio piuttosto indeterminato.

Ma, come ripetiamo alla nausea, ogni paese ha interessi nazionali che fatalmente confliggono con quelli di altri paesi durante il processo cooperativo europeo. Che c’è allora di realmente nuovo, nel discorso e nella posizione di Macron? Il fatto che l’Eliseo abbia tranquillamente fatto circolare la propria preferenza per una Commissione europea a guida Mario Draghi.

Forse lo ha fatto semplicemente per estrarre concessioni dal giorno dopo le elezioni europee, in attesa di capire quale maggioranza numerica e politica servirà per la conferma della Spitzenkandidatin del Partito Popolare europeo, Ursula von der Leyen. Oppure lo ha fatto perché è consapevole che la Francia è finanziariamente sempre più debole, e serve attivare alcune leve per mantenere la propria assertività.

SHOCK DI INVESTIMENTO E BCE

Di quali leve si parla? Una è sicuramente il mandato della Banca centrale europea. Della cui missione Macron ha chiesto una rifondazione: non più a mandato unico contro l’inflazione ma con attenzione alla crescita e ad obiettivi strategici come la decarbonizzazione. Ora, non è chiarissimo cosa dovrebbe fare la Bce: forse comprare il debito comune europeo emesso per finalità di investimento? Ma, se guardiamo cosa avviene di là dall’Oceano Atlantico, la Federal Reserve non fa nulla del genere: i Treasury che coprono l’ampio deficit e il crescente debito federale sono (per ora) ancora acquistati da residenti e non. Creare un safe asset europeo, cioè un eurobond? Buona idea e buona fortuna, con tedeschi e soci.

Serve soprattutto uno “shock” di investimento europeo, secondo Macron, per fare della Ue entro il 2030 il leader mondiale in cinque aree: intelligenza artificiale, quantum computing, spazio, biotecnologie e “nuove energie” (idrogeno, reattori modulari e fusione). Per conseguire questi primati, fissati praticamente per domani, che nasceranno dallo “shock di investimento”, occorre apprestare i relativi finanziamenti, e lo si deve fare “raddoppiando il bilancio della Ue”.

Fosse così facile. Il rischio, oltre ai no di non pochi paesi, è quello di aumentare la pressione fiscale complessiva, anziché sostituire imposte nazionali con quelle comunitarie. Macron ne è consapevole, e nel discorso della Sorbona cerca una facile e fallace scappatoia con la proposta di imposizione prevalente ai “non residenti europei”. Quindi carbon border tax per chi esporta in Europa merci inquinanti, e “tassa sulle multinazionali” e sulle “transazioni finanziarie”. Lo sentite, l’eco italiano dell’impotenza?

Di fronte a questo scenario strategico, l’identikit di Mario Draghi si materializza quasi naturalmente. Sostenitore di uno “shock di investimento europeo” per non perdere la competizione con gli altri blocchi geopolitici, a partire dalla Difesa. Da finanziare con debito comune, il “debito buono” che infiniti danni addusse agli italici.

Detto brutalmente, la Francia vuol mettersi alla guida d’Europa ma non ha i soldi, solo l’ambizione. Assediata da un debito che rischia di esondare tra non moltissimo, con una pressione fiscale tra le più alte d’Europa a finanziare una presenza statale altrettanto estesa. Di fronte a una crisi epocale ed esistenziale, tedeschi e francesi hanno poi scoperto che si potrebbe crescere molto di più “abbattendo la burocrazia“. Lasciatemi dire che, per un italiano, queste velleità fanno tenerezza. Noi le abbiamo già vissute, ci siamo già passati. Temo che questi siano gli inconfondibili marcatori del declino e dell’autoinganno.

DRAGHI EX MACHINA

Altro parallelismo tra questa Ue in crisi esistenziale di matrice franco-tedesca e l’Italia? Sempre la figura di Draghi come tecno-politico e deus ex machina, da far entrare in scena nel momento in cui la politica è paralizzata da veti incrociati e l’economia è in picchiata o prossima ad esserlo. Ricordiamo che Draghi è l’uomo che ha salvato l’Eurozona, nel 2012, di fronte a una politica europea bloccata da veti nazionali. Che poi si sia trattato di salvataggio o solo di un poderoso calcio alla lattina, faute de mieux, la storia dirà. Anche se temo che la storia abbia già iniziato a pronunciarsi.

Ma questa Ue è e resta vincolata dagli interessi nazionali, che plasmano ventisette funzioni di utilità. Per una Francia sfiancata nelle proprie finanze pubbliche, che chiede una Bce pro-crescita e debito comune, affiancandosi agli italiani, c’è una Germania (e amici) convinta di potercela fare da sola. Per una Francia che chiede aggressività difensiva commerciale verso gli altri paesi (cioè dazi), e che può permetterselo perché dopo tutto è un paese in elevato e costante deficit commerciale, c’è una Germania che tenta di proteggere il suo avanzo, che potrebbe essere prossimo a estinguersi, data la situazione piuttosto grama in Cina per i prodotti tedeschi, auto e non solo. La vedete, la linea di faglia degli interessi nazionali?

Che seguito avrà la Sorbona 2 di Macron, solenne comme d’habitude? Lo vedremo dopo le elezioni europee ma non tratterrei il respiro. L’inerzia è troppo forte, gli interessi nazionali pure. Dopo tutto, il secondo discorso della Sorbona è rivolto all’Europa ma soprattutto all’elettorato francese. Per evitare che il medesimo, alle Europee, prenda a randellate Macron in cabina elettorale. Quello del presidente francese resta un vaste programme, prima di tutto sul piano domestico.




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