venerdì 26 maggio 2023 - Giovanni Greto

Lula Pena e Amaro Freitas al teatro Villa dei Leoni di Mira

Tre concerti di qualità nella settima edizione di Songwriting

Il circolo Caligola di Mestre, perduta la gestione musicale di “Candiani Groove”, scippatagli da Veneto Jazz, che, ahinoi, si è impadronito di tutta la programmazione di musica Jazz, World , Pop ( e non ci stupiremmo se scalzasse anche realtà classiche di valore) del capoluogo lagunare, è riuscito con merito a continuare a ideare Songwriting, Women’s Voices.

Mentre i primi due appuntamenti sono stati dedicati a voci femminili, la chiusura della rassegna ha visto protagonista un musicista che, nonostante la giovane età, si sta affermando nel panorama jazzistico del pianismo internazionale.

Non ho assistito al primo concerto, “Lost Ships”, con il duo Elina Duni, voce e Rob Luft, chitarra elettrica. Ma ho già avuto modo di apprezzare la vocalità dell’artista albanese, sia accompagnata da un gruppo, alcuni anni fa al Candiani, sia da sola ad una recente edizione della Biennale musica di Venezia.

Non conoscevo Lula Pena (Lisbona, 15 maggio 1974), che fu, sempre grazie a Caligola, già acclamata protagonista nel 2014 (rassegna Mirano oltre), il 3 febbraio 2018 al Candiani, l’8 febbraio 2020 per la prima volta a Mira, con il teatro esaurito in ogni ordine di posti, giusto nell’ultimo scorcio di libertà, prima della chiusura governativa per il Coronavirus.

Ho provato subito una sensazione positiva, appena è salita sul palco.

1. E’ una persona genuina, come se ne incontrano raramente tra gli artisti di tutte le discipline. Non posa, rifugge da atteggiamenti divistici. Rilascia interviste allo scopo di continuare ad approfondire il significato dell’esistenza e cercare nuovi stimoli al suo percorso musicale.

2. E’ priva di trucco cosmetico e di aiuti tecnologici. Sale sul palco con una chitarra acustica di dimensioni più piccole, rispetto al modello standard e incomincia a viaggiare, prendendo per mano il pubblico. Ascoltandola, si ha la sensazione di visitare nuove terre, di uscire dalla ristrettezza del proprio ambiente. E forse anche ciascun astante proverà, mano a mano che il concerto prosegue, un forte desiderio di viaggiare, per conoscere un altro da sé, per cercare di eliminare la minima traccia di razzismo che, volenti o nolenti, è nascosta nell’animo di ognuno.

3. Ha pubblicato, finora, soltanto tre dischi in 20 anni di attività : Phados (1998), Trubador (2010), Archivo Pittoresco (2017). Mi par di capire che in lei ci sia il desiderio di incidere se si ha qualcosa di importante, di necessario da dire, comunicare. Come sarebbe bello che molti musicisti seguissero il suo esempio, in modo da por fine ad una monumentale emissione di dischi I-N-U-T-I-L-I, che nessuno ascolta e di cui non si capisce il motivo per cui vengano stampati, accanto al fatto che le vendite sono in crisi, ad eccezione della nuova moda di comprare i dischi in vinile.

4. Da quando inizia a sfiorare le corde della chitarra, arricchendo la musica con una voce particolare, sempre suadente, nessuno si distrae nella sala. Ad eccezione dei tanti malati di Smartphonosi, i quali non smettono di guardare lo schermo del proprio cellulare in qualsiasi momento o situazione della giornata.

Non mi trovo d’accordo con coloro che la definiscono “una sciamana domestica” (Il Manifesto, 14 agosto 2021).

Ha una voce affascinante, che non assomiglia a nessun’altra. Un timbro a volte roco. Cura con precisione la dinamica. Sa essere delicata, oppure alza il volume al massimo, se il brano che sta eseguendo cambia registro testuale.

Inizia il concerto, dicendo che apporterà delle variazioni all’ultimo album. Suona accompagnandosi ritmicamente, percuotendo la chitarra, cordofono che diventa membranofono, anche se membrane non ce ne sono, ma è solo il legno ad essere colpito.

Via via che il concerto prosegue, ci si sente più rilassati. Si è avvolti dal fascino della voce.

Il suo modo di suonare rifugge dal virtuosismo pirotecnico. Lo strumento è solo un mezzo atto alla narrazione di un viaggio alla ricerca della libertà, come si apprende da un’intervista sul web, in occasione della partecipazione a Womex 2014. Il mio repertorio ha a che fare con il tema della libertà, non solo la libertà fisica, ma anche etica, morale, ciò che sto sviluppando adesso, in questo momento per il futuro : libertà.

Un altro suo pregio è che è in grado di cantare in più lingue ; oltre al portoghese natìo, lo spagnolo, l’inglese, l’italiano, con una versione dolcissima di “La strada nel bosco”, fino ad un’antica canzone in lingua sarda, composta nel 1915 dal poeta e drammaturgo Salvatore Sini e musicata da Giuseppe Rachel, direttore della banda musicale di Nuoro : A Diosa (“la Dea”), meglio conosciuta con il suo primo verso Non potho reposare. Un testo venato di tristezza e dolore, per il distacco dalla donna amata.

Amaro Freitas, nato il 18 settembre 1991 a Nova Descoberta, periferia della zona Nord di Recife, capitale del Pernambuco, uno stato del Nord Est del Brasile (è il punto più vicino all’Europa), ha tenuto un concerto di piano solo, dopo tre dischi pubblicati in trio (con contrabbasso e batteria), quasi a voler dimostrare di essere maturato al punto giusto per poter affrontare il giudizio di platee più o meno ampie.

In poco più di un’ora ha inanellato una serie di brani al pianoforte (un Yamaha Gran Coda CFX), uno dei quali, Sonho ançestral, ha avuto bisogno di un po’di tempo per preparare lo strumento, oltre ad una breve introduzione con la Mbira, conosciuta anche come Kalimba, Thumb piano (piano a pollice) e ad un’appendice con la citazione di Asa Branca, celebre melodia popolare sul Sertao, l’arido entroterra del Nord Est.

Ha alternato composizioni originali, come la precedente e la conclusiva, prima dei bis, Gloriosa, una semplice melodia, nella quale ha coinvolto a partecipare vocalmente il pubblico, dedicata alla madre Romilda ; a noti standard jazz quali Footprints di Wayne Shorter, da poco scomparso (25 agosto 1933 – 2 marzo 2023) e Giant Steps di John Coltrane.

Ha uno stile percussivo che potrebbe far pensare a McCoy Tyner, per la quantità di note e un pianismo senza respiro, con l’utilizzo del pedale a creare un suono roboante, cavernoso, nella parte bassa dello strumento.

Ha inoltre trovato spazio una breve versione di Era di maggio, di Roberto Murolo, suggeritagli dall’amico Stefano Bollani, spesso in Brasile alla ricerca di nuove ispirazioni.

Due i bis, Pajeu, località nello stato Cearà, un altro del Nordest del Brasile e Olha Maria, una malinconica canzone, dallo smisurato repertorio di Antonio Carlos Jobim.

Applausi e vendita dei dischi alla fine dell’esibizione.




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