lunedì 15 gennaio - Fabio Della Pergola

Lo scontro globale in atto

Che il mondo stia attraversando un momento particolarmente difficile non è certo un mistero per nessuno. Ma sull’interpretazione di questa difficoltà i pareri divergono profondamente.

Sembra piuttosto chiaro un aspetto: questo è il terzo momento storicamente significativo di un conflitto iniziato secoli fa. In particolare quando la Rivoluzione francese, che portò al potere quella borghesia imprenditoriale, mercantile e finanziaria che ancora domina l’Occidente, mandò in soffitta gli equilibri sociali, politici e soprattutto culturali precedenti.

Solo che la soffitta è stata comunque un ambiente in cui le idee e i progetti di rivalsa sono maturati e si sono fatti via via più robusti.

Ed ecco che il nazismo si è affacciato alla porta della storia come irruzione di un nucleo mistico che il razionalismo illuministico non aveva affatto eliminato dalla storia stessa, contribuendo invece a conservarlo come “altro da sé”. La "rivoluzione conservatrice e l’antirazionalismo heideggeriano ne rappresentavano l’aspetto più culturalmente attrezzato.

Sconfitto il nazismo, con qualche fatica, dalle due componenti del lascito illuministico, quella liberale e democratica e quella marxista, unite nello sforzo bellico, ecco riapparire da qualche anfratto della storia, la tendenza restauratrice della tradizione religiosa più oscurantista, quel khomeinismo che oggi si caratterizza per uccidere brutalmente delle giovani donne solo perché una ciocca di capelli sfugge al controllo ferreo del velo islamico.

Era il 1979 e certa sinistra marxista, prendendo clamorosamente lucciole per lanterne, non esitò a schierarsi con i preti rivoluzionari di Teheran piuttosto che con l’occidente odiato in quanto capitalistico. Ma i preti di Teheran, incuranti del favore delle sinistre occidentali ammalate di un antiamericanismo assoluto in quanto dogmatico (incapace cioè di distinguere di volta in volta cosa rifiutare ed eventualmente cosa accettare della politica di Washington), si liberarono in poco tempo, ricorrendo a modi sadicamente cruenti, delle tendenze marxiste all’interno del loro paese. Chiarendo una volta per tutte come stavano realmente le cose.

Gli equilibri mondiali cominciarono così a cambiare colore. Sempre più il dominio delle due superpotenze contrapposte (entrambe, seppur avversarie, appartenenti allo stesso “sistema” culturale nato con l’Illuminismo) doveva lasciare qualche spazio alla seconda irruzione di una proposta antisistema.

Emerge poi, e si afferma in tempi più recenti, la logica antisistema e antiliberale dell’eurasiatismo russo. Rielaborato su basi neoheideggeriane da Alexandr Dugin. Il filosofo della "Quarta teoria" che qualcuno ha definito “il Rasputin di Putin” (cioè l’occulto suggeritore che saprebbe dare alle politiche putiniane lo spessore culturale mancante) e che non esitava nel 2014 a invocare lo sterminio di tutti gli ucraini dal Russkij mir, il mondo russo. La caratteristica della filosofia politica di Dugin è che trova nell'estrema destra americana – quella della Alt-right e di Steve Bannon – una sponda interessata e connivente. Nel frattempo la Wagner, l’armata “privata” fondata da Dmitrij Valer'evič Utkin e non a caso al compositore caro alle gerarchie naziste, si attiva in Africa, contribuendo alla spaccatura della Libia e a ripetuti golpe nella fascia subsahariana.

Ed eccoci all’oggi. Allargatasi l’influenza iraniana su tutto il Vicino Oriente, grazie al vuoto iracheno causato dall’improvvida seconda guerra del Golfo scatenata dall'ottusa protervia di Bush junior e conclusasi con l’impiccagione di Saddam Hussein, ecco che le formazioni islamiste contagiano sempre più il mondo arabo devastandolo.

La guerra civile algerina (200mila morti), preceduta da quella libanese (150mila morti) e seguita da quella siriana (500mila morti) tratteggiano il quadro dello scontro in divenire. Hamas (con l’appoggio finora trattenuto di Hezbollah e invece aperto, seppure a distanza, degli Houthi yemeniti) indica la prospettiva futura: attaccare e colpire quanto più si può, incuranti dei costi prevedibilissimi della reazione israeliana.

Tutti i fragili punti di faglia dello scontro tra il mondo “della ragione illuministica” (variamente declinata) e il mondo della “riproposizione teocratica della tradizione” entrano in fibrillazione: Donbass e Crimea, Serbia e Kosovo, Nagorno Karabakh, Gaza e Israele, Yemen, Africa subsahariana, Corea del Nord e del Sud. Lontano, il problema dell’indipendenza di Taiwan sgradita a Pechino, problema che non sembra inquadrarsi esattamente nello schema culturale accennato, ma che tuttavia si erge minaccioso sullo sfondo. I BRICS si confermano la crescente opposizione geopolitica all'Occidente.

E siamo al 2024, anno elettorale inaugurato con il voto che ha sancito la vittoria del candidato indipendentista proprio a Taiwan e che vedrà un turbinio di altre tornate elettorali: europee nella UE e politiche in molti stati europei – Portogallo, Belgio, Austria – e ancora in Gran Bretagna, India, Messico, Indonesia, Russia e Stati Uniti. Complessivamente oltre 2 miliardi di persone di 76 paesi andranno a esprimere un voto potenzialmente in grado di modificare gli assetti politici delle maggiori democrazie. Un po’ meno delle varie autarchie dove saranno chiamate a confermare la continuità dei governanti al potere.

L’interrogativo più significativo è ovviamente quello che riguarda il voto americano: cosa succederà se Donald Trump tornerà alla Casa Bianca? Dopo le dichiarazioni sulla Nato fatte quando era Presidente, confermerà la sua intenzione di ritirarsi dall’Alleanza atlantica? E di sospendere l’aiuto americano all’Ucraina? Se sì, con quali conseguenze? Il mondo si troverà inaspettatamente in pace oppure vedrà l'Ucraina cedere all'aggressione russa e contemporaneamente il Medio Oriente precipitare nella madre di tutte le battaglie fra la coppia Israele-Usa e il fronte islamista capeggiato dall'Iran?

E ancora: la logica antisistema e antiliberale (a cui Trump non ha mai nascosto di guardare con simpatia) avrà la possibilità di rompere gli argini e riportare, mutatis mutandis, l’Occidente a prima del 1789 vedendo trionfare una reazione fortemente conservatrice?




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