mercoledì 17 aprile 2019 - Aldo Giannuli

Libia: stiamo prendendo troppo sottogamba la crisi. E’ molto più seria di quanto non si dica.

Gli italiani non hanno mai amato molto la politica estera. Per i cittadini comuni si tratta di un rompicapo incomprensibile e comunque è inutile occuparsene perché, tanto, non contiamo nulla. Per i governanti tutto si riduce a cercare l’alleato potente di cui diventare i vassalli.

 

E’ un grave errore di prospettiva che rende sempre debole il nostro paese che, certamente non è una grande potenza come la Russia, la Cina e gli Usa, ma non è neppure il Lussemburgo o il Botswana.

E’ una media potenza di area regionale in una posizione delicata, a cavallo fra mediterraneo ed Europa, è pur sempre uno dei maggiori paesi industriali con un peso di primo piano in campoenergetico, ha un forte potenziale (non usato) di soft power.

Dunque, pur senza avere la forza militare di una grande potenza (ma comunque ha un potenziale militare non trascurabile) ha la possibilità di incidere soprattutto se sa muoversi insinuandosi negli spazi aperti dalle rivalità fra i grandi.

In ogni caso, puoi anche decidere di non occuparti di politica internazionale, maè la politica internazionale che si occupa di te e se fai la politica dello struzzo, mettendo la testa sotto sabbia, starai messo peggio.

Veniamo alla crisi libica che dovrebbe interessarci molto, non fosse altro perché è il cortile di casa da cui partono i famigerati barconi che terrorizzano tanto i valligiani che votano Lega, ed è uno dei principali campi di approvvigionamento petrolifero e può diventare il nuovo califfato dell’Isis. E’ sufficiente per occuparcene?

Dunque, chi è Haftar? E’ un generale settantacinquenne con seri problemi di salute, per cui, pur essendo l’uomo forte di Bengasi, potremmo trovarci in tempi non tanto lunghi, con una successione che magari peggiora le cose.

Sin qui è stato l’uomo di fiducia sostenuto dall’Egitto e, almeno per ora, non ci sono elementi per dire che le cose muteranno in un futuro politicamente prevedibile, anzi potrebbe rafforzarsi l’asse che possiamo definire neo-senusso (la Senussia era la confraternita islamica tradizionalmente forte in Cirenaica e legato nettamente alla Turchia ottomana ed all’Egitto che sostenne a lungo la guerriglia anti italiana di Omar el Mukhtar), e questo è già un aspetto che dovrebbe preoccuparci, per diversi motivi.

Pochi anni fa l’Eni scoprì, al largo delle coste egiziane, il giacimento di Zhor, il maggiore deposito di gas del Mediterraneo esteso per un’area stimata di 100 Kmq, che già al momento produce quotidianamente l’equivalente di circa 365.000 barili/oil.

In breve, questo dovrebbe rendere l’Egitto autosufficiente dal punto di vista energetico e trasformarlo in esportatore. Subito dopo sono iniziate trivellazioni al largo delle coste di Israele, Libano, Cipro e Turchia con buone probabilità di altre scoperte. In ogni caso, già la scoperta di Zhor cambia lo scenario geopolitico mediorientale, facendo dell’Egitto un attore ben più potente del passato.

Peraltro la guerra del 2011 ha prodotto la nascita di un satellite egiziano in Cirenaica, appunto il regime di Haftar. Come è noto, la parte più rilevante dei giacimenti petroliferi libici si trova in Cirenaica, tuttavia questo non significa che Haftar ne abbia il controllo pieno e possa disporne come gli pare: per un complesso gioco di ragioni (non ultima l’accesso al gasdotto algerino che collega l’Africa settentrionale all’Europa) il generale filo egiziano non è in grado di commercializzare il suo greggio sin quando c’è Serraj a Tripoli e questo spiega il suo costante tentativo di abbattere il rivale ed unificare tutta la Libia sotto il suo dominio.

Dunque, una Libia unificata sotto l’egida del Cairo diventerebbe un formidabile polo di attrazione per i paesi confinanti: dal Nord Sudan che soffre ancora delle ferite della secessione delle province meridionali, all’Algeria in piena crisi del sistema politico, alla Tunisia sempre insidiata dal radicalismo islamico, sino alla Turchia dove il regime di Edogan è il declino e con il quale si litiga per il ruolo dei Fratelli Musulmani.

Insomma, un effetto domino che potrebbe trasformare del tutto il Medio Oriente. E, data la posta in gioco, si capisce l’interesse di molti e metterci il dito, dalla Russia, alla Francia all’Arabia Saudita che si schierano con Haftar all’Europa (meno la Francia), gli Usa e Quatar che stanno dalla parte di Serraj.

Sin qui la guerra di Libia non è stata molto sanguinosa sia perché la popolazione è piuttosto scarsa, sia perché, in particolare dalla comparsa di Haftar in poi, è stata un curioso misto di colpi di mano, di acquisto di tribù e zone desertiche a suon di dollari e di propaganda.

Il generale amico del Cairo, dopo la conquista di Bengasi, non ha affrontato grandi combattimenti campali, ma ha effettuato veloci incursioni impadronendosi di varie zone versando più dollari che sangue e forse anche per questo l’Europa non si è preoccupata più di tanto dell’offensiva su Tripoli, nella convinzione che si tratta solo di un espediente propagandistico di Haftar per tornare a sedersi al tavolo delle trattative con più forza contrattuale, ma questo conto potrebbe dimostrarsi sbagliato: le cose si sono spinte troppo oltre, questa volta si combatte sul serio (e comincia ad esserci il primo centinaio di morti) ed ai cirenaici potrebbe costare caro fermarsi o tornare indietro.

Il fatto sarebbe vissuto come una sconfitta e, non solo tornerebbero al tavolo delle trattative indeboliti, ma correrebbero il rischio di perdere quelle zone di Fezzan conquistate per l’effetto psicologico della sconfitta. Haftar, da parte sua ha fatto un calcolo errato: una vera e propria guerra prolungata non è quello che cerca e non è nei suoi interessi, per cui ha pensato che il regime di Serraj si sarebbe facilmente sfaldato sollo la pressione della sua colonna di blindati.

In effetti le forze di Tripoli sono inferiori e c’è sempre da contare sulle defezioni prezzolate. Per cui la prospettiva di una guerra –lampo che metta la comunità internazionale davanti al fatto compiuto. Ma, in questo calcolo non ha tenuto in debita considerazione il nucleo delle forze di Medina, leali a Tripoli, determinate a combattere e molto ben addestrate dal Quatar.

La marcia trionfale inizia a fermarsi e inizia a muoversi la diplomazia: gli americani che avevano ritirato il loro contingente (forse dando per scontata la vittoria dei cirenaici) hanno deciso di tornare, la Francia inizia ad essere in serio imbarazzo e non ha dato il via libera all’assalto finale. Restano solo i Sauditi che continuano a finanziare, gli Egiziani che continuano a fornire armi e, soprattutto i Russi che potrebbero essere seriamente tentati di inviare tecnici e contractors vari. Solo che, a quel punto anche gli indecisi americani ed i pavidissimi europei potrebbero decidere di intervenire.

La guerra potrebbe diventare molto più lunga e sanguinosa delle previsioni di tutti e rischieremmo una nuova Siria, per di più ad un braccio di mare dalle coste italiane.

Non è davvero una questione da sottovalutare e l’invio di contingenti europei (in primo luogo italiani) è da prendere seriamente in considerazione, prima che le cose degenerino sino al punto di non ritorno.

Aldo Giannuli




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