mercoledì 8 ottobre 2014 - Giuseppe Aragno

Lettera aperta ad Angelice Saggese

Di mestiere faccio lo storico e ho fondati motivi per non chiamarla senatrice, signora Saggese. Lei non è stata eletta, ma “nominata” e siede in Senato grazie a una legge elettorale che farebbe arrossire persino il fascista Acerbo. Una legge incostituzionale, che stravolge l’esito del voto e altera gli equilibri democratici.

Non si tratta di una mia opinione. Lo afferma la Consulta in una sentenza inappellabile che dovrebbe conoscere. Se non lo sa, si informi, poi spieghi a se stessa, prima ancora che ad altri, com’è che l’incomprensibile severità adottata nei confronti di Luigi De Magistris, non vale per lei e non la induce a dimettersi.

Nonostante le sua condizione sia in così grave contrasto con la correttezza istituzionale, lei non rinuncia al suo seggio al Senato, ma chiede il divieto di dimora per il sindaco di Napoli. Non so chi, tra malaccorti compagni di partito o collaboratori, le abbia consigliato scelte così oltraggiose per quel tanto di democrazia che ancora sopravvive nell’Italia d’oggi, ma accetti un consiglio: s’informi e corra ai ripari.

Nemmeno il codice fascista di Alfredo Rocco, che lei si tiene caro, mentre tenta di cambiare la Costituzione antifascista, prevede la misura che domanda per De Magistris, condannato in primo grado per un presunto abuso d’ufficio; se la prevedesse, del resto, farebbe i conti con l’evidente violazione di un diritto fondamentale del cittadino, che l’articolo 27 della Costituzione sancisce esplicitamente, senza consentire dubbi o interpretazioni di parte: “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”.

I fascisti pensavano che “il divieto di soggiornare in uno o più comuni o in una o più Provincie” si potesse imporre “al colpevole di un un delitto contro la personalità dello Stato o contro l’ordine pubblico, ovvero di un delitto commesso per motivi politici”. Questa discutibile idea di legalità, che la repubblica eredita dal regime di Mussolini, non può essere applicata al sindaco di Napoli, che non solo è a tutti gli effetti innocente, ma non è accusato di reati di natura politica, né di delitti commessi contro l’ordine pubblico e la personalità dello Stato. E’ vero, oltre questi crimini, Rocco individua un reato senza nome, per sua natura vago e impalpabile, “occasionato da particolari condizioni sociali o morali esistenti in un determinato luogo”; un reato che mira soprattutto a colpire i cosiddetti “sovversivi” e che nulla ha da spartire col caso De Magistris.

Forse non gliel’hanno detto o forse preferisce ignorarlo, non so; sta di fatto, però, che le “leggi fascistissime” del 1926 e il Tribunale Speciale per la difesa dello Stato non esistono più, quindi lei va addirittura oltre la concezione fascista della repressione politica e, presa da un soprassalto di furia reazionaria, non solo vuole estendere a un cittadino innocente i provvedimenti che Rocco riserva a quelli colpevoli, ma gli attribuisce reati dei quali non è stato accusato. 

Un cittadino, badi bene, che rappresenta le Istituzioni e che, con tutta probabilità, ha un solo terribile torto: costituisce un ostacolo serio tra i quattrini che arrivano in città e la tradizionale e appetitosa “spartizione della torta”. La sua richiesta, quindi, non solo aiuta a capire in quali mani siamo finiti, ma rende chiari i termini dello scontro in atto tra la parte sana della città di Napoli e il mondo di cui il governo Renzi, che non a caso si regge grazie al consenso della peggiore destra d’Europa, si è reso garante.

Uno scontro che di politico non ha più nulla e vede in campo, attestati in trincee contrapposte, da un lato i rappresentanti di interessi oscuri che, complice il suo partito, stanno distruggendo la democrazia, dall’altro una città che rifiuta di fare da cavia per il secondo esperimento autoritario della nostra storia.

 

Foto: Ubaldo Leo/Flickr




Lasciare un commento