Leone XIV ai giornalisti: Cercate la verità con amore
Le parole pronunciate da Papa Leone XIV nell’Aula Paolo VI risuonano come un monito limpido, eppure dirompente, in un’epoca in cui il giornalismo sembra aver smarrito la propria missione. Chiamati ad essere “operatori di pace” e “cercatori della verità con amore”, molti giornalisti hanno abdicato a questo ruolo, piegandosi a un sistema mediatico in cui lo spettacolo ha sostituito la sostanza, e l’eco delle schermaglie politiche ha preso il posto delle vere urgenze dei cittadini.
La stampa troppo spesso non fa più da cane da guardia della democrazia, ma da cassa di risonanza per chi detiene il potere. Accade ogni giorno, sotto gli occhi di tutti: apriamo un giornale, accendiamo la televisione, scorriamo le notizie online, e troviamo paginate dedicate a polemiche sterili tra politici, tweet velenosi, “retroscena” costruiti ad arte, mentre i problemi che toccano davvero la vita delle persone – le tasse insostenibili, i salari stagnanti, le pensioni da fame, la sanità al collasso, i trasporti pubblici inefficienti, la sicurezza nelle città – restano confinati nelle retrovie, trattati con distrazione o colpevole superficialità.
La guerra di parole di cui parla il Papa è reale. Non è fatta di armi, ma di slogan urlati, immagini manipolate, indignazioni a comando. È una guerra che non informa, ma confonde. Non illumina, ma offusca. Non costruisce un’opinione pubblica consapevole, ma la divide in tifoserie. In questa guerra, i giornalisti dovrebbero essere gli artigiani della tregua, gli ostinati costruttori di ponti. E invece, troppo spesso, si fanno arruolare come soldati d’opinione al servizio di agende politiche o interessi economici.
Eppure, come ha ricordato Papa Leone XIV, “la pace comincia da ognuno di noi” – e questo vale anche e soprattutto per chi ha il potere di raccontare il mondo. È inaccettabile che l’energia dei media venga sprecata per raccontare giochi di potere che nulla cambiano nella vita concreta delle persone, mentre l’Italia reale – quella che si sveglia alle 6 di mattina per andare a lavorare, che fa la fila al pronto soccorso, che conta i centesimi alla cassa – resta invisibile.
Serve un giornalismo che torni a inchiodare i potenti alle loro responsabilità, che non si lasci trascinare nei teatrini della politica, ma sappia porre le domande giuste, le domande scomode. Serve un’informazione che non rincorra la rissa, ma approfondisca, che non insegua il sensazionale, ma l’essenziale. Perché come ha detto il Papa, “la comunicazione non è solo trasmissione di informazioni, ma è creazione di una cultura”. Ed è questa cultura che oggi rischia di essere impoverita, distorta, schiacciata sotto il peso di un’informazione che rincorre i clic più che la verità.
Infine, il Santo Padre ha giustamente ricordato il valore della libertà di stampa e il coraggio dei giornalisti che, in molte parti del mondo, mettono a rischio la propria vita per raccontare la verità. È a loro che dovremmo ispirarci. È a loro – e non a chi costruisce il palinsesto sulle provocazioni del giorno – che dovremmo dare il nostro ascolto e il nostro rispetto. E ha ricordato che “solo i popoli informati possono fare scelte libere”. In Italia, non serve l’eroismo, ma servirebbe più coraggio. Quello di tornare a parlare dei problemi veri, e non solo di quelli comodi da raccontare.
In tempi difficili, il giornalismo dovrebbe essere faro, non fuoco. Verità, non vetrina. E se, come dice Sant’Agostino, “noi siamo i tempi”, allora è giunto il momento che l’informazione torni a essere degna di questo tempo. E del suo pubblico.
Il giornalismo dovrebbe fare domande scomode, non inseguire le mode del giorno. Dovrebbe denunciare le disuguaglianze, non fare da megafono al potere. Dovrebbe raccontare ciò che conta, non ciò che fa più clic