lunedì 27 novembre 2017 - Antonio Moscato

Lenin-Trotskij | Guerra civile internazionale e controrivoluzione preventiva

Il nesso tra causa ed effetto sfugge ad alcuni dei più accaniti fustigatori delle colpe di Lenin e Trotskij che dilagano su Fac Book. Prima di tutto danno per scontato che Lenin sia stato responsabile della guerra civile, o che l’abbia addirittura desiderata. Fraintendono la parola d’ordine «trasformiamo la guerra in guerra civile» (che era rivolta contro chi voleva la guerra e che fu decisiva per l’abbattimento dell’autocrazia zarista nella rivoluzione di febbraio) e dimenticano che sulla base delle sole forze controrivoluzionarie presenti nell’ex impero russo non sarebbe stata possibile quella ferocissima distruzione di ferrovie, miniere, fabbriche che fu realizzata da modesti gruppi di ufficiali reazionari armati, consigliati e finanziati da diverse potenze imperialiste che volevano fare terra bruciata nell’ex impero russo per cancellare ogni simpatia per la rivoluzione nel mondo. E che erano generali senza eserciti, spesso men che mediocri, ma che venivano “riconosciuti” e protetti da quella che ora si chiama la “comunità internazionale”.

I tenaci avversari di Lenin, imbottiti di antichi preconcetti nei suoi confronti, dimenticano sempre di dire cosa avrebbero dovuto fare i bolscevichi una volta attaccati dalla controrivoluzione: avrebbero dovuto consegnarsi inermi arrendendosi alla banda di assassini e di organizzatori di pogrom che con le sue sole forze non aveva saputo far niente tra il novembre e il marzo 1918? Forse è una colpa non aver previsto la dimensione della ferocia distruttiva della controrivoluzione e la sua dimensione internazionale? In realtà i rivoluzionari sono stati colti di sorpresa perché nei decenni precedenti in tutta l’Europa sembrava che le classi dominanti non facessero più ricorso nei conflitti sociali interni a ciascun paese a quella violenza spietata che aveva soppresso la Comune di Parigi. Smentendo chi attribuisce ai bolscevichi la responsabilità per l’inizio della “guerra civile internazionale”, si sarebbe visto presto che tutti i governi “democratici” erano pronti alla “controrivoluzione preventiva” che ha soffocato nel sangue la rivoluzione tedesca, uccidendo Rosa Luxemburg, Karl Liebkhnecht e i migliori quadri della sinistra spartakista già nel gennaio 1919. Poi, nei mesi successivi, toccherà alle repubbliche dei consigli in Ungheria e Baviera. Altri “democratici” e anche socialisti ferocemente antibolscevichi hanno aperto la strada alla “resistibile ascesa” del fascismo in Italia prima, e poi in Germania, quando hanno visto che i bagni di sangue tra il 1919 e il 1923 non erano bastati a “riportare l’ordine”. Regimi reazionari e autoritari, sotto la bandiera dell’anticomunismo, sono stati organizzati in Finlandia, Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia, Polonia, Ungheria, Jugoslavia, Romania, Bulgaria, Grecia, Portogallo e Spagna...

Alcuni dei più ostinati fustigatori di Lenin lo accusano per la risposta repressiva che nell’estate del 1918 seguì il suo grave ferimento e l’uccisione di altri dirigenti bolscevichi, nonché l’assassinio dell’ambasciatore tedesco. Non conta nulla che l’iniziativa di sparare sui dirigenti bolscevichi sia stata presa dai socialisti rivoluzionari sulla base di un’analisi profondamente sbagliata, che considerava Lenin un agente germanico? E in quale paese si tollerano quelli che sparano o lanciano bombe sui membri del governo?

Frequente anche la denuncia delle squadre di approvvigionamento alimentare, che erano in realtà nate spontaneamente in molte fabbriche, e che furono poi organizzate per decreto anche per porre un argine e regolamentare iniziative che talvolta sconfinavano nel brigantaggio e peggioravano il rapporto con gli stessi contadini poveri, che non erano speculatori o imboscatori di alimenti ma rappresentavano un facile bersaglio.

Quanto a Trotskij, viene bollato sempre a priori come gratuitamente feroce, mentre si trovò a dover organizzare dal nulla un esercito che non era un optional, un lusso, ma una necessità per sopravvivere. Ma borghesi reazionari e varie correnti anarchiche ripetono leggende su di lui (alimentate volentieri dagli amici di Stalin), senza tener conto minimamente di quanto lo stesso Trotskij aveva pubblicato nei primi cinque volumi di documentazione sull’attività dell’Armata Rossa, di cui una parte è stata pubblicata anche in Italia con il titolo “Come la rivoluzione si è armata”.

Parecchi “esperti” continuano a scambiare il “comunismo di guerra” per una scelta cosciente e volontaria di Lenin e Trotskij, perché non si sono mai degnati di esaminare qual era il vero programma iniziale della rivoluzione di Ottobre, che prevedeva solo alcune nazionalizzazioni di settori chiave dell’industria e delle banche principali, oltre che della terra, ma che dovette fare i conti sia con l’aperto sabotaggio di tutto il padronato, sia con una pressione dal basso, di operai e anche di una parte degli impiegati bancari per estendere le nazionalizzazioni. Inoltre lo sfacelo dell’economia era prima di tutto una conseguenza della tattica distruttiva delle armate Bianche guidate dai paesi imperialisti. Alla fin della guerra civile solo il 25% delle locomotive e delle linee funzionavano, ma per la mancanza di pezzi di ricambio e la necessità di utilizzare parte dei pochi convogli rimasti per portare il carbone ai depositi, tendevano a ridursi a zero. L’approvvigionamento di combustibile era più lento e difficile, perché le miniere di carbone del bacino del Donec erano state deliberatamente allagate dai Bianchi. Le ferrovie erano prossime a un tracollo totale, anche per la resistenza corporativa di sindacati di ferrovieri legati ai menscevichi: fu questo e non una velleità militarista, quello che spinse Trotskij già alla fine del 1919 e poi nei primi mesi del 1920 a tentare di utilizzare i soldati smobilitati per formare delle “armate del lavoro” per rimettere in funzione almeno le linee ferroviarie principali, mentre contemporaneamente proponeva di sostituire le requisizioni con una modesta imposta in natura, autorizzando la ripresa di un piccolo commercio. Un’anticipazione di quella che un anno dopo sarà la NEP.

Di Lenin si ignora quel che aveva scritto molte volte sui giornali bolscevichi, in documenti congressuali, in lettere e in interventi nelle riunioni, e si immagina sempre che se modifica una sua posizione lo faccia perché “getta la maschera” e non perché fatti nuovi lo hanno spinto a modificare la sua opinione.

Di Lenin si ignorano soprattutto le tante ammissioni sugli insuccessi, che contrastano nettamente con quello che sarà la retorica trionfalista staliniana: ad esempio nel marzo 1922 aveva detto:

[A scuola] ci insegnavano: talvolta un popolo ne conquista un altro, e il popolo che ha conquistato è il dominatore, mentre quello che è stato conquistato è il vinto. Ciò è molto semplice e tutti lo comprendono. Ma cosa accade della cultura di questi popoli? Qui il problema non è così semplice. Se il popolo conquistatore ha un livello culturale superiore a quello del popolo vinto, impone a quest’ultimo la propria cultura; se è il contrario, avviene che il popolo vinto impone la propria cultura al vincitore. Non è accaduto qualcosa di simile nella capitale della Repubblica federale russa, e non è avvenuto che i 4.700 comunisti (quasi un’intera divisione e tutti tra i migliori) siano stati sottomessi da una cultura estranea? [Lenin, Opere, vol XXXIII, p. 261 sg.]

Nella stessa riunione Lenin aveva sviluppato il concetto precisando che “manca la cultura fra i comunisti che hanno funzioni dirigenti”, per cui a Mosca, in cui c’è una massa di 4.700 comunisti responsabili, se ci si domanda “Chi guida e chi è guidato”, la risposta è che “non sono i comunisti a guidare questa macchina burocratica”. In realtà nel caos degli anni della guerra civile era stato inevitabile riempire i vuoti con nomine dall’alto, e ben presto dei soviet sarebbe rimasto solo il nome (e un timbro...), perché soprattutto nelle strutture periferiche si erano infilati in gran numero antichi burocrati zaristi:

Abbiamo nelle sfere più alte del potere non si sa esattamente quanti, ma almeno qualche migliaio, al massimo qualche decina di migliaia, dei nostri. Tuttavia, alla base della gerarchia, centinaia di migliaia di ex funzionari che abbiamo ereditato dallo zar e dalla società borghese, lavorano, in parte coscientemente in parte incoscientemente, contro di noi. [Ivi, vol. XLV, p.290]

Incredibile ignoranza: uno dei tenaci denigratori di Lenin che imperversano in Face Book, sostiene che Stalin sarebbe arrivato al potere in “un partito ordinato in forma «borghese», con gerarchie, congressi, elezioni, rappresentanza”, insomma quanto basta per affermare con sicumera che “Stalin è espressione della classe dirigente leninista!”. Evidentemente non gli servono i dati sull’entità dello sterminio degli uomini più vicini a Lenin, e degli stessi quadri stalinisti di cui ho parlato in Lo stalinismo, una controrivoluzione cruenta ... In realtà Stalin, che per tutti gli anni Venti non aveva ancora consolidato il suo potere, non si è affermato grazie ai congressi, in cui rimaneva nell’ombra perché non aveva nessun ruolo pubblico né molte cose da dire: la riprova è che vivo Lenin i congressi si tenevano ogni anno (non erano considerati un lusso inutile ma una necessità, in un partito in cui si confrontavano proposte diverse), e lo stesso avveniva per i pur più complessi e impegnativi congressi della III Internazionale: i primi quattro, che sono i più interessanti, veri e pluralisti, sono a intervallo di un anno, poi si diradano e soprattutto non decidono più nulla nel dibattito. Approvano e basta. E l’Internazionale sarà poi soppressa come gesto di cortesia verso l’imperialismo anglo-americano. Il potere di Stalin cresce nell’ombra, e raccoglie largamente l’appoggio dell’apparato, che è nominato e non eletto, ed è ovviamente grato a chi lo ha nominato.

Ma questi poveracci che mettono come loro immagine di copertina un ritratto di Stalin di tutto questo non sanno, e non vogliono sapere nulla, e tantomeno vogliono riflettere sui disastri di lunga durata che lo sfaldamento del sistema sorto intorno all’Unione Sovietica staliniana ha lasciato in quelle terre e nelle sinistre di tutto il mondo... (a.m.)




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