Legge sull’omofobia: la differenza tra discriminazione e libertà di espressione
Della proposta di legge contro l’omofobia entrata nella fase di discussione alla Camera si è detto ormai un po’ di tutto. I sostenitori del disegno originale, come Arcigay e il circolo Mario Mieli, in occasione del passaggio in Commissione hanno parlato di proposta svuotata e inaccettabile, mentre il fronte dei detrattori ha definito l’ultima versione una legge bavaglio e liberticida. Se le leggi sono approvate col contagocce le leggende invece fioccano, come quando si è parlato di “blitz notturno” nel tentativo di approvare la legge in fretta e furia mentre il regolamento della Camera impedisce esplicitamente che la votazione di una proposta possa avvenire nello stesso mese in cui è iniziata la sua discussione. Vediamo di fare il punto della situazione.
La proposta originale di Ivan Scalfarotto si basava su un principio abbastanza semplice: estendere la legge 205/1993 (nota come legge Mancino-Reale), che attualmente punisce i reati di discriminazione e odio per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, ai reati di discriminazione e odio motivati dall’identità sessuale della vittima. Vale la pena sottolineare che la Mancino-Reale non è altro che la versione della legge 654/1975 (legge Reale) modificata dal decreto legge 122/1993 (decreto Mancino), e che la legge Reale fu introdotta per recepire la convenzione di New York sull’eliminazione delle forme di discriminazione razziale. In sostanza quella legge era stata concepita unicamente per punire i reati di odio, violenza e discriminazione motivati dall’odio nazionale, etnico o razziale. Solo in un secondo momento è stata introdotta, giustamente, la previsione della discriminazione su base religiosa, senza peraltro che nessuno si sognasse di gridare alla legge bavaglio. A cominciare dai diretti tutelati: i credenti.
Il passaggio nelle varie commissioni della Camera non è certo stato indolore. La Scalfarotto non è stata l’unica proposta di legge sul tema ad essere approdata in Commissione, ve ne erano altre due fra cui una a firma Brunetta-Carfagna-Prestigiacomo che si limitava ad introdurre una semplice aggravante.
Soltanto in commissione Giustizia, l’ultima ad esaminare le proposte, sono arrivati ben 350 emendamenti, una quantità tale da far impallidire perfino una finanziaria. Alla fine in Commissione sono approdate anche le larghe intese; Scalfarotto (Pd) presenta insieme a Leone (Pdl) un emendamento che in sostanza combina le varie proposte producendone una versione composta semplicemente da un unico articolo. Sparisce la definizione di identità sessuale e di tutte le sue componenti, spariscono anche l’obbligatorietà della pena accessoria in lavoro non retribuito a favore della collettività e il principio che l’aggravante prevale sempre sull’attenuante. Ai motivi di discriminazione previsti dalle leggi Mancino-Reale viene aggiunto quello “fondato sull’omofobia o sulla transfobia”, senza peraltro dare una definizione di questi termini.
Per il fronte del no siamo ancora lontani da una legge accettabile. I cattolici in generale rimangono contrari a qualunque forma di tutela delle persone LGBT, l’unica proposta che sarebbero disposti ad accettare è la Brunetta-Carfagna-Prestigiacomo che si limita ad introdurre tra le aggravanti comuni del codice penale quelle previste dall’art. 10 del trattato di Lisbona (sesso, razza, etnia, religione, condizioni personali, disabilità, età, orientamento sessuale). Ciò su cui fanno principalmente leva i cattolici è il principio per cui, a loro dire, si potrebbe essere incriminati anche solo per aver detto che l’omosessualità è peccato, o per essersi espressi contro i matrimoni omosessuali. In realtà il concetto di discriminazione va ben oltre la semplice espressione delle proprie idee, ma oltre questo viene da chiedersi come si possa, di fatto, chiedere di tutelare chi manifesta pubblicamente odio verso persone LGBT. Parimenti, come si può essere contrari al principio che è vietato fondare o far parte di associazioni o organizzazioni finalizzate alla discriminazione sulla base dell’identità di genere o dell’orientamento sessuale?
La deputata Eugenia Roccella (Pdl) si conferma ancora una volta tra i leader del fronte del no. Nell’intervista rilasciata alla rivista ciellina Tempi dichiara che non c’è alcuna possibilità di giungere ad una sintesi condivisibile perché «l’errore sta proprio nel testo da cui si parte, la legge Mancino, che già da sé sconfina nel reato d’opinione». Ma allora, visto che punisce reati d’opinione, perché non chiedere l’abrogazione del decreto Mancino laddove estende la legge Reale alla discriminazione religiosa? Se tanto ci dà tanto, vietare le espressioni di odio su base religiosa è altrettanto “liberticida” che vietare le stesse espressioni su base sessuale. Eppure la Roccella non ha mai avuto nulla da ridire sulla tutela della religione, né su reati anacronistici tuttora contemplati dai codici italiani come quelli di vilipendio e di bestemmia.
Altro fronte stessi atteggiamenti. Da parte Pd il principale oppositore è probabilmente Beppe Fioroni, che infatti intervistato dal Corriere della Sera (così come riportato da Gaynet) spiega di avere già pronto un emendamento che stabilirà che «non costituiscono atto di discriminazione o istigazione alla discriminazione la libera espressione e la manifestazione di convincimenti od opinioni riconducibili al pluralismo delle idee, né le condotte comunque conformi al diritto vigente». Quindi, ancora una volta, se parroci e vescovi denigrano pubblicamente gay, lesbiche e trans, si tratta di “pluralismo di idee”, mentre se un’associazione (la prima a caso) chiede di esporre su un autobus uno slogan che afferma l’inesistenza di Dio si parla di “offesa al senso religioso”.
Ci sentiamo comunque di poter rassicurare su questo punto Fioroni e la Roccella: nessuno vuole togliere a nessuno il diritto di dire stupidaggini fintanto che la cosa non leda i diritti di altri, e del resto a ciò che certa gente dice nei confronti di atei, agnostici, omosessuali e transessuali ci abbiamo ormai fatto il callo.