martedì 16 gennaio 2018 - Aldo Giannuli

Le prospettive dell’interesse nazionale italiano

Nel corso degli ultimi anni, l’Italia ha incontrato una notevole difficoltà nella definizione della sua strategia internazionale e, in particolar modo, è mancata una seria riflessione circa le prospettive e le rotte del cosiddetto “interesse nazionale”, concetto decisamente inflazionato nel dibattito politico-mediatico attuale quanto difficile da elaborare in maniera concreta.

di Andrea Muratore


In particolare, certi settori della Destra hanno portato avanti una retorica semplicistica volta a sovrapporre completamente il concetto di interesse nazionale con quello di sovranità tout court, mentre al contrario nella retorica del (cosiddetto?) Centro-Sinistra l’interesse nazionale è stato trattato come una patata bollente, come una ruvida necessità da gestire nel contesto di una politica ostentatamente rivolta alla dimostrazione della “fedeltà alla linea” dettata da Bruxelles e, per interposta persona, Berlino.
La definizione delle priorità che muovono l’azione del nostro Paese in campo internazionale e, al contempo, influenzare le dinamiche che coinvolgono i diversi apparati dello Stato e gli attori pubblici, privati e intermedi di primaria grandezza è in realta disciplina complessa, anzi: somma e coordinazione di discipline, esercizio che nel nostro Paese, nel corso degli ultimi venticinque anni di continua involuzione della dialettica e dei contentui dell’azione politica, manca completamente, con grave danno per le prospettive del nostro Stato.

La mancanza di cultura strategica è fonte d’irrilevanza

Come segnalato da Lucio Caracciolo nell’editoriale di apertura a un recente numero di Limes, per l’attuale élite politica italiana il miglior interesse nazionale sarebbe, fondamentalmente, la negazione della sua stessa esistenza e l’appiattimento sugli schieramenti di campo (UE e NATO in primis), fatto pericolosissimo in un’epoca che, nell’epoca dell’interdipendenza tra Stati, della complessità del mondo globale e della crisi della struttura europea, ha portato a una ruvida contrapposizione tra gli interessi degli Stati.

Come prima, diretta, conseguenza, l’Italia, nazione che sin dalla sua unità ha sempre avuto difficoltà a definire le priorità nazionali, è risultata spiazzata anche a causa della debolezza della cultura e del pensiero strategico nazionale: non vi è, in Italia, nulla di paragonabile ai casi che coinvolgono i principali partner comunitari, Francia e Germania. In Francia, l’interesse nazionale è elaborato sulla scia dell’amalgamazione tra un potere politico mutevole ma basato su un esecutivo forte, definito “bonapartista” da Sergio Romano, e un’èlite tecnica formata nelle grand écoles con una spiccata vocazione strategica e storica, spina dorsale dell’apparato burocratico-militare di Parigi.

In Germania, invece, la trazione economica delle strategie centrali ha portato a sistemi orizzontali di intreccio tra partiti politici, grandi imprese e altri gruppi di pressione (sindacati, terzo settore etc.) che ha plasmato la condotta degli apparati dello Stato, in particolare in occasione della crescita della postura dominante assunta da Berlino in seno all’Unione Europea.
Manca, in Italia, un’elaborazione attiva di priorità di natura geopolitica, economica o strategica e, al contempo, un dialogo attivo e costante tra gli elaboratori teorici e gli attori pratici, fatto testimoniato eloquentamente dalla mancanza di coordinazione tra dicasteri e dalla scarsa influenza esercitata a livello nazionale non solo da think tank e centri studi ma anche da apparati fondamentali come le Forze Armate.

Le priorità dell’interesse nazionale italiano

Casi come l’omicidio di Giulio Regeni, il contenzioso con la Francia di Emmanuel Macron per i cantieri navali di Saint Nazaire o la bruciante sconfitta nella gara per l’assegnazione a Milano dell’European Medicines Agency (EMA) hanno testimoniato l’assoluta incapacità dell’Italia di sviluppare un discorso strategico in grado di vagliare opportunità, rischi e azioni necessarie in modo tale da mediare problematiche e opportunità contingenti nell’ottica di un quadro generale coerente. In altre parole, di definire i confini dell’interesse nazionale, intesa come somma delle priorità economiche, strategiche e securitarie in grado di garantire al Paese capacità d’azione e influenza in un contesto di ottimizzazione delle risorse a disposizione.

Particolarmente dolorosa è stata la decisione di volgere le spalle al Mediterraneo, per contesto geografico e ragioni storiche epicentro delle nostre priorità, e di elaborare una strategia di influenza politica ed economica in grado di ovviare all’innaturale torsione continentale delle nostre priorità politiche. Appiattendosi su Bruxelles e Berlino, l’Italia ha finito per considerare il Mediterraneo solo in relazione all’emergenza migratoria, facendosi di conseguenza trovare spiazzata dall’onda lunga delle Primavere Arabe, dalla destrutturazione dello Stato libico e dalle nuove opportunità economiche del Mare Nostrum, in un contesto che ha visto il dinamismo di attori come Eni contribuire a migliorare decisamente il nostro bilancio. Dal pivot mediterraneo discendono direttamente le altre principali linee guida della geopolitica italiana, prima tra tutte la presenza in Africa, “profondità strategica” del nostro Paese, come dichiarato dal viceministro degli Esteri Mario Giro, ora più che mai da valorizzare in maniera continua.

In ogni caso, le singole iniziative tattiche non potranno mai avere successo finché non sarà completamente sdoganata l’idea della costruzione di un solido concetto di interesse nazionale in grado di travalicare l’alternanza politica al governo e dettare delle precise linee guida a lungo termine: per agire con efficacia nel mondo della globalizzazione l’Italia necessita di qualificare in maniera ottimale la sua politica estera e le sue scelte di sicurezza. La costruzione di una cultura dell’interesse nazionale e della strategia sarebbe un primo, obbligato passo verso una presa di consapevolezza delle potenzialità del nostro Paese e della complesse delle opportunità e delle sfide che esso si troverà ad affrontare negli anni a venire.

Andrea Muratore




Lasciare un commento