sabato 16 novembre 2013 - paolo

Le premesse istituzionali della corruzione italiana

È opinione comune che la corruzione sia così radicata nel tessuto connettivo di questo paese da essere entrata nel patrimonio genetico degli italiani. Ma chi o cosa l'alimenta?

Il motto popolare: "L'occasione fa l'uomo ladro", tradotto in soldoni, significa che l'onestà è sostanzialmente ritenuta un valore relativo. Secondo una vasta opinione popolare è infatti sufficiente creare la condizione giusta perché qualsiasi individuo, anche il più insospettabile, cada in tentazione. A degno corredo vale anche il motto che "ogni uomo ha il suo prezzo" . Sempre un altro motto santifica questa "saggezza popolare" in forma generosamente assolutoria con "si sa che la carne è debole", una sorta di "refugium peccaturum" come nelle litanie alla Vergine, per giustificare di tutto e di più. Questo spiega anche perché in questo paese si è persa quasi completamente la capacità di indignarsi.

Insomma nel nostro paese questi "concetti culturali" sono stati somatizzati e digeriti a tal punto da essere non solo percepiti come substrato sociale, ma nell'avere permeato anche tutta l'attività legislativa. In sostanza, nella abnorme produzione di leggi e norme che governano la vita civile di questo paese, è proprio il legislatore a fornire l'occasione che fa l'uomo ladro ed è sempre il legislatoreche si preoccupa contestualmente di fornire una via d'uscita indolore, assecondando il principio di umana comprensione per chi sbaglia. Lo strumento è il linguaggio e l'architettura adottati nei testi di leggi e di norme che è una sorta di inno all'orpello, all'arzigogolo, fitto di postille e codicilli messi spesso in forma volutamente astrusa e tortuosa proprio per lasciare i cosiddetti "margini di interpretazione", atti a fornire la classica scappatoia per chi delinque.

Sembra cioè che il legislatore nel preoccuparsi di rendere di difficile o non univoca la comprensione della norma, si preoccupi proprio di lasciare sempre aperta una via d'uscita. Il tutto viene solennemente celebrato nella definizione di "paese ipergarantista" con la quale i nostri politici si imbrodano ad ogni piè sospinto, attribuendone, bontà loro, un valore virtuoso. Il risultato di questo combinato disposto di norme spesso incomprensibili e contraddittorie è che chi dispone di risorse economiche adeguate, e quindi buoni avvocati, ha la quasi matematica certezza di farla franca. Verrebbe subito facile fare riferimenti ai casi eclatanti di questi giorni, ma voglio rimanere sul tema generico. La lungimiranza "ipergarantista" dei nostri legislatori non si ferma però qui, preoccupandosi anche dei casi, chiamiamoli incidenti di percorso, che malauguratamente dovessero spedire in galera qualcuno di lor signori caduto appunto "in tentazione" , diciamo una sorta di extrema ratio.

Come? Presto detto, lasciando il sistema carcerario in tale sfacelo da far gridare periodicamente allo scandalo e quindi dal giustificare il ricorso ad eventuali interventi di condono o amnistia che, guarda la combinazione, comprendono proprio le tipologie di reato tipiche di politici, amministratori e boiardi di Stato, quali appunto sono la corruzione e la concussione. E anche qui ometto di citare i casi di questi giorni.

E così i discendenti del Diritto romano, che al realistico motto "pecunia non olet " pur contrapponeva il "dura lex sed lex", hanno amorevolmente accolto il primo e fermamente abortito il secondo nel nome di quel cattolicissimo "perdonismo" di cui è intrisa la nostra società, sempre più permeata dalla corruzione a tutti i livelli.

Per non rimanere però troppo sul generico, che rischia di sconfinare nel qualunquismo, voglio citare un esempio banale ma a mio avviso significativo, in materia di regolamentazione edilizia.

La pesantissima crisi economica a partire dal 2008 che ha colpito in particolare proprio il settore edilizio, tradizionale terreno dove la corruzione è diffusa capillarmente sul territorio nazionale, indusse il Parlamento a varare un Decreto Legge n.40 del 25 marzo 2010 che, oltre agli incentivi per la riqualificazione del patrimonio edilizio, mirava a semplificare alcuni adempimenti in materia edilizia (art. 5 e art. 6 Legge Brunetta Calderoli). Certo il nome dei due relatori non è una garanzia e può sollevare dubbi legittimi ma in questo caso si trattava di una serie di disposizioni atte a semplificare i rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione, rapporti che diventano in molti casi dei veri e propri calvari.

Fu ribattezzato "Niente Dia (oggi Scia) per la manutenzione straordinaria", atteso che la manutenzione ordinaria (es. sostituire una vecchia grondaia, gli infissi, gli intonaci, le tegole rotte ecc.) già gode di questa possibilità, nel senso che il cittadino può al massimo, per sua eventuale cautela contro terzi, trasmettere una semplice comunicazione di inizio lavori all'Ufficio competente del Comune in cui è censito l'edificio oggetto dell'intervento.

Siccome siamo il paese che siamo, i legislatori hanno quindi minuziosamente elencato tutte le tipologie di interventi di manutenzione straordinaria che rientravano nella possibilità di esecuzione senza alcun titolo abilitativo, stante la loro non operatività in tema di modifiche strutturali, mutata volumetria, cambi di destinazione d'uso ecc.., nel contempo escludendo le zone asseverate a vincoli particolari (centri storici, belle arti ecc. ).

Dopo la partenogenesi è iniziato il calvario legislativo.

Il 30 aprile 2010, dopo le "vive e vibranti" proteste di architetti, ingegneri e geometri che si vedevano togliere il pane quotidiano, è stato approvato un lobbistico emendamento che imponeva una relazione asseverata da un tecnico, con tuttavia la sanzione per chi la omettesse di soli 258 euro. I successivi aggiornamenti del 26 maggio 2010 e del 30 luglio 2010 approdarono infine alla pomposa manovra definita "Attività di Edilizia Libera".

La legge, come già detto corredata di minuzioso dettaglio dei lavori consentiti in libertà, e qui casca l'asino, si chiude con l'immancabile frase: "Fatte salve le più restrittive disposizioni previste dalla disciplina locale". In sostanza a decidere la materia sono demandate le amministrazioni locali, in primis i Comuni che, ovviamente, salvo rarissimi casi, si sono ben guardati dall'accogliere la norma tal quale.

Sia ben chiaro che nessuno mette in discussione il legittimo controllo del territorio che una Amministrazione Pubblica ha non solo il diritto ma il dovere di garantire, ma quando il tutto viene normato in maniera pesantemente restrittiva, andando ad incidere anche sui margini di minima autonomia che un cittadino deve avere nella sfera della sua proprietà, è facile che poi si instaurino meccanismi perversi.

Insomma semplificare e rendere chiara la norma non solo semplifica la vita al cittadino e rende meno oneroso l'impegno delle amministrazioni pubbliche, con conseguente risparmio economico, ma riduce i rischi che si creino micropoteri localistici o addirittura personali che poi ingenerano i noti fenomeni di malcostume.

Come dire che sono proprio le Istituzioni, non so fino a che punto inconsapevolmente, ad indurre il cittadino "in tentazione" e questo non vuole assolutamente essere una chiosa assolutoria, nel senso che, fatti salvi i principi di semplicità e chiarezzaì, io sarei per tornare "sic et simpliciter", tanto per rimanere nel latinorum al " Dura Lex sed Lex" , soprattutto nei confronti dei nostri beneamati politici .

(Inciso: quasi due milioni di cittadini in questo paese vivono di sola politica, facile capire perché ecc...)

Foto: WatchSmart/Flickr

 

 




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