lunedì 21 giugno 2010 - Bernardo Aiello

Le modifiche alla Costituzione ed il caso Dino Boffo

Le modifiche alla Costituzione ed il caso Dino Boffo

Pare che si sia trovata la panacea per i mali del nostro Paese: l’audacia di una modifica alla Costituzione ed eccoci avviati, come per incantamento, verso magnifiche sorti e progressive.
 
Proviamo a vedere se la cosa funziona anche con la vicenda dell’ex direttore de L’Avvenire Dino Boffo, costretto alle dimissioni dagli attacchi mediatici di un collega. Le ragioni delle dimissioni sono da ricercare in una pregressa vicenda, per la quale molti pensano che egli abbia subito un processo penale e che sia stato condannato “in nome del popolo italiano”; il che è assolutamente vero; ed è anche assolutamente falso.
 
Infatti Dino Boffo è stato condannato per decreto penale.
Cosa vuol dire condannato per decreto penale? Che un pubblico ministero ha svolto un’indagine su di lui e poi ne ha chiesto ed ottenuto dal Giudice per le indagini preliminari una modesta condanna senza la celebrazione di alcuna udienza e senza che egli sia mai stato davanti ad un giudice come imputato; insomma, senza processo alcuno.
 
Secondo il nostro ordinamento, perché ciò sia possibile:
a) la condanna deve essere modesta (inferiore a sei mesi);
b) la condanna deve essere commutata in una pena pecuniaria.
Resta pur sempre una condanna penale, con tutto quello che consegue in ordine a determinati valori morali e spirituali: non è affatto una sanzione amministrativa. All’imputato è consentito opporsi al decreto penale e, in tal caso, si avvia un regolare processo penale con tanto di udienze.
 
Perché Dino Boffo non si è opposto al decreto? Dovremmo chiederlo a lui; ma sarebbe suo pieno diritto non risponderci. Infatti egli ha fatto un patteggiamento con la parte lesa e questo è nel diritto di chiunque senza che ciò comporti alcuna ammissione di colpa. Ma alcuni reati sono, come si dice nel gergo dei codici, “perseguibili d’ufficio”, ossia anche in presenza di un accordo con la parte lesa il giudizio prosegue. Per questo motivo il procedimento che lo riguardava è andato avanti ed il P.M. ha chiesto ed ottenuto dal G.I.P. la condanna di Boffo per decreto penale.
 
Ma Dino Boffo, direte voi, sapeva di sottoscrivere un accordo con la parte lesa che non sarebbe stato del tutto efficace nel tutelarlo? La risposta è che non lo poteva sapere a causa del segreto istruttorio; ossia egli, per questo motivo, non poteva conoscere il reato a lui imputato e, perciò, se fosse o meno perseguibile d’ufficio.
A questo punto, chi si sente di condannare Dino Boffo per non avere opposto il decreto penale e per avere cercato di chiudere la cosa definitivamente con il semplice pagamento di una ammenda? E ciò considerando anche che, da direttore di un importante quotidiano, era perfettamente a conoscenza delle gravi discrasie del nostro sistema giudiziario?
 
Ne è conseguita la sua condanna definitiva “in nome del popolo italiano” per decreto penale senza processo alcuno, senza che egli sia mai stato ascoltato come imputato da un giudice, senza che abbia mai potuto fornire la sua versione dei fatti in dibattimento, senza che abbia potuto difendere i propri diritti e con una sorta di giustizia sommaria che viola in maniera eclatante la dignità della sua persona. Se le cose stanno così, direte voi, con il vento che tira il rimedio è immediato: cambiamo la Costituzione e facciamo in modo che un fatto simile non abbia più a ripetersi. Ebbene, la nostra Costituzione, all’articolo 24, recita già: “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”. Questo non accade nel caso del decreto penale.
 
Ovviamente è già successo che qualcuno abbia eccepito la costituzionalità del decreto penale. Ebbene, la più incostituzionale delle Corti Costituzionali ha deciso per la costituzionalità di quello che tutto è tranne che riportato sulla Costituzione. Dunque non abbiamo nulla da cambiare nella Costituzione per evitare l’atroce violenza subita da Dino Boffo: quello che dobbiamo fare è provare ad applicarla sino in fondo, questa Costituzione che abbiamo. A cambiarla, almeno in questo caso, le magnifiche sorti e progressive le vedremmo ben da lontano.
 
Conclusioni
 
In vista del duecentocinquantesimo articolo pubblicato su Agoravox Italia, il vostro reporter chiede scusa ed approfitta di un supplemento di attenzione del lettore su due temi ricorrenti nella sua modesta produzione, e precisamente le carceri ed il processo penale.
 
Per le prime è giunto alla conclusione che uno Stato che non è in grado di garantire nelle proprie strutture detentive condizioni di vita rispettose della dignità della persona detenuta, orbene non ha il diritto di applicare pene detentive.
 
Per il secondo, in piena analogia, la conclusione è che uno Stato che non è in grado di garantire procedimenti giudiziari rispettosi della dignità della persona imputata, mediante il rispetto di tempi contenuti in limiti ristretti e dei requisiti di oralità, di pubblicità e di difesa tecnica (ed anche di giuria dove previsto dalla legge), orbene non ha il diritto di amministrare giustizia.
 
Quanto sopra non per un arbitrio del vostro reporter, bensì perché così indicato dalla Costituzione.



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