mercoledì 14 dicembre 2022 - Giovanni Greto

Le fotografie di Sabine Weiss alla Casa dei Tre Oci

Conclusione della mostra e di un lungo ciclo di appuntamenti

 

(Porte de Saint-Cloud, Parigi, Francia 1950 @Sabine Weiss)

Simone Weiss. La poesia dell’istante è stata l’ultima mostra curata dalla Fondazione di Venezia e, nello stesso tempo, l’ultima occasione per visitare e ammirare la “Casa della Fotografia” così com’è stata finora.

Recentemente acquistata dal gruppo Nicolas Berggruen Charitable Trust di Los Angeles, che prende il nome del Presidente e filantropo, la Casa dei Tre Oci verrà infatti restaurata per divenire il centro di attività europea dell’Istituto : un luogo d’incontro per il dialogo globale e per nuove idee, che ospiti un programma internazionale di convegni, Workshops, Symposia e mostre nelle Arti Visive e nell’Architettura. E già il prossimo giovedì 15 dicembre ci sarà un assaggio del nuovo corso, con il terzo di una serie di incontri, ArtReview Talk, in cui, in questa occasione, l’artista Agnieszka Kurant e il filosofo Nigel Warburton esamineranno i limiti dell’immaginazionee delle possibilità dell’arte.

L’esposizione, da poco conclusasi, è stata promossa dalla Fondazione di Venezia, realizzata da Marsilio Arte in collaborazione con Berggruen Institute e prodotta dall’Atelier parigino Sabine Weiss – Laure Delloye Augustins, con il sostegno di Jeu de Paure e del Festival Internazionale “Les Rencontres de la Photographie d’Arles”, sotto l’alto patronato del Consolato generale di Svizzera a Milano.

La poesia dell’istante è stata, prima in Italia, la più ampia retrospettiva mai realizzata finora, dedicata alla fotografa svizzera Sabine Weber Weiss (Saint-Gingolph, 23 luglio 1924 – Parigi, 28 dicembre 2021), che prese il cognome del marito, il pittore americano Hugh Weiss (Philadelphia, 5 giugno 1925 – Parigi, 1 ottobre 2007). Sposatisi a Parigi il 23 settembre 1950, vennero naturalizzati francesi entrambi nel 1995.

Gli oltre 200 scatti esposti, sviluppati per temi nei tre piani della Casa dei Tre Oci, hanno ripercorso, insieme a diverse pubblicazioni e riviste dell’epoca, il lavoro della fotografa, dagli esordi (nel 1935!) agli anni 2000.

Negli splendidi Bianco e Nero – solo pochi scatti riguardanti la moda sono stampati a colori – c’è la storia mutevole dell’umanità, attraverso l’approfondimento e la documentazione di temi quali “le condizioni di vita estreme nel dopoguerra a Parigi, sia in termini di povertà, che di rinascita culturale, attraverso un obiettivo improntato alla spontaneità e ai legami umani”(Nicola Berggruen).

Non cade mai nel patetico, né scivola nel romanticismo mieloso, bensì cerca di raccontare sempre i piccoli gesti, immortalando emozioni e sentimenti, in linea con la fotografia umanista francese, che fa dell’uomo della strada uno dei suoi soggetti preferiti.

Val la pena di citare alcune sue riflessioni/considerazioni.

Nel fotografare preferisco i piccoli gesti e gli sguardi che creano una complicità tra il soggetto e lo spettatore. Non mi piacciono le cose sensazionali. Vorrei incorporare tutto in un istante, in modo che la condizione umana sia espressa nella sua sostanza minimale. Per essere potente, una fotografia deve parlarci di un aspetto della condizione umana, farci sentire l’emozione che il fotografo ha provato di fronte al suo soggetto.

Fotografo per conservare l’effimero, per rendere eterno quello che vedo. Conservo in un’immagine ciò che scomparirà : gesti, atteggiamenti, oggetti, che sono testimoni del nostro passaggio.

Fra le foto in visione, di estremo interesse, drammaticità e angoscia, sono quelle che fanno parte di un reportage sulla comunità familiare per alienati di Dun-sur-Auron, una piccola città nel dipartimento francese Cher, che accoglie i malati di mente in una comunità aperta. Questo esperimento fotografico, suggeritole dalla famosa agenzia Magnum, rimarrà negli archivi di Sabine, poiché la direzione dell’Istituto vieterà di distribuire l’immagine delle proprie residenti – centinaia di donne affette da disturbi mentali e demenza senile – e il lavoro resterà in gran parte inedito fin ad oggi.

Sabine pone una particolare attenzione ai volti dei bambini e agli anziani. Scelgo uno scatto su molti, il primo piano di tre bambini fotografati nel 1950 a Parigi, Porte de Saint-Cloud. Mi piace fotografare i bambini e gli anziani. Le loro maschere cadono più facilmente, capisco prima la loro realtà ; alla vita nella strada : La strada è contenitore di vita e set fotografico per eccellenza, in cui non c’è spazio per la posa. Tutto è immediato. La spontaneità dei soggetti ritratti è fondamentale quanto la naturalezza della luce in cui sono immersi ; ai clochard e alla solitudine, alla povertà, al fascino degli ambienti notturni.

Non mancano, oltre a quello ricordato in precedenza, i reportage, tra i suoi lavori preferiti, “per la possibilità che le offrono di evadere per riprendere i soggetti che più la colpiscono personalmente”, come scrive nel catalogo Marsilio la curatrice della mostra Virginie Chardin.

Un ampio spazio è dedicato a ritratti di gente famosa come lo scultore Alberto Giacometti (Parigi, 1954 e 1955), il pittore decoratore Fèlix Labisse (Neuilly, 1952) ; l’artista Niki de Saint Phalle (Parigi, 1958) ; il poeta André Breton (Parigi, 1956) ; la scrittrice Françoise Sagan (Parigi, 1958); il fotografo e pittore Robert Rauschenberg (Biennale di Venezia, 1969) ; le attrici Brigitte Bardot (Parigi, 1959), Romy Schneider (Parigi, 1961), Simone Signoret (Parigi, 1952) ; le cantanti Amalia Rodrigues (agosto 1956) e Ella Fitgerald (in concerto a Parigi, 1955).

Così scrivono, il critico fotografico Hervé Guibert : Sabine Weiss è una fotografa che parte dal quotidiano per trarne piccoli istanti di meraviglia o qualche momento eloquente in tema di miseria e fatica, feste tristi in cui ci si rallegra invano (si veda la foto “San Silvestro. Parigi, 1980”), giochi di bambini che, nella sporcizia, imitano la schiavitù ; il giornalista e fotografo Christian Caujolle la descrive come una di quelle persone curiose che sanno vedere, quasi esclusivamente, ciò che la commuove. Si appassiona alla solitudine, ai bambini, i piccoli shock visivi. Dà la parola agli sguardi dimenticati per “quasi niente”.

La retrospettiva testimonia anche i lavori realizzati da Sabine negli anni ‘80 e ‘90, durante i suoi viaggi nell’isola di Reunion, in Portogallo, India, Birmania, Bulgaria, Giappone, Polonia ed Egitto.

Quello che ce la fa sentire vicina è che, pur nelle evidenti condizioni o situazioni difficili della vita, i suoi scatti riescono a trasmettere una felicità latente che affiora in maniera timida, indizio forse del desiderio di lottare, di non arrendersi, nella speranza di migliorare la qualità della propria vita.

Chi non ha potuto vedere l’esposizione a Venezia, puo recuperarla nella Loggia degli Abati del Palazzo Ducale di Genova fino al 12 marzo 2023.

Inoltre, rimane pur sempre il catalogo Marsilio, dove, accanto alle foto, viene ripercorsa l’intera carriera dell’artista.

La Casa della Fotografia, comunque, non si ferma. Si trasferisce nell’isola di San Giorgio, per occupare gli spazi dell’ex Convitto della Fondazione Cini, disponendo di un’ampiezza di 1800 metri quadrati.

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