lunedì 7 giugno 2021 - Pressenza - International Press Agency

Le figurine della Lego dedicate alla comunità LGBT+. Il pinkwashing diventa “norma”

L’azienda danese Lego ha presentato le 11 figurine della nuova collezione “Everyone is awesome” (tutti sono eccezionali), dedicata al riconoscimento e alla valorizzazione delle persone della comunità LGBT+.

di Lorenzo Poli

 

(Foto di Ypiyush22, Wikimedia Commons)

 I personaggi, come lo sfondo che ricorda una cascata, sono identificati dai sei colori della bandiera arcobaleno. Si tratta della bandiera simbolo della comunità LGBT, nata nel quartiere Castro di San Francisco durante i moti rivoluzionari di Stonewall del 1969, che forse non avrebbe mai pensato/voluto diventare un brand per una multinazionale dei giocattoli. Inoltre, nelle famose costruzioni sono stati aggiunti anche il bianco, l’azzurro e il rosa, i colori dell’orgoglio transgender e il marrone e il nero per indicare le persone di colore e le diversità all’interno delle comunità stesse.

Le mini-figure non hanno un genere specifico per «esprimere la loro individualità, pur restando ambigue», come ha spiegato Matthew Ashton, il disegnatore di Lego che le ha create, tranne la mini-figura viola, che «è un chiaro riferimento a tutte le favolose drag queen del mondo». La collezione è in vendita dal 1° giugno, in concomitanza con l’inizio del mese dei Pride, manifestazioni promosse dai movimenti che difendono i diritti delle persone gay, lesbiche, bisessuali, transessuali, queer e intersessuali.

Il problema non sta nel significato delle mini-figure o nel loro genere, ma nel fatto che n’altra multinazionale si esponga ancora una volta per i diritti LGBTQ+, evidentemente in modo strumentale. Non si capisce perché la Lego dovrebbe sostenerli, visto che al contempo viola i diritti umani e i diritti sindacali. Un pinkwashing clamoroso, che però non sembra essere analizzato per quello che è.

Infatti uno scandalo, reso noto a settembre 2020, non sembra aver suscitato l’interesse dei media mainstream a reti unificate. Si tratta del report “What If” di Anti-Slavery International ed Eccj, che metteva sotto accusa la filiera dei gruppi Lego e Simba Dickie, ovvero le fabbriche di costruzioni più famose al mondo, accusate di violazione dei diritti dei lavoratori. In Cina si fabbrica il 75% di tutti i giochi del mondo, spesso prodotti a scapito dei diritti dei lavoratori, costretti a turni estenuanti, pause ridotte, poca sicurezza e condizioni igieniche pessime, turni di 11 ore senza pause e riposi, 6 giorni di lavoro a settimana e assenza delle minime misure di sicurezza. I salari non riescono a coprire i costi della vita quotidiana, a meno che i lavoratori non vengano spremuti con continui straordinari. Le grandi multinazionali dei giocattoli impedirebbero addirittura ai propri dipendenti di aderire alle organizzazioni sindacali e chi si lamenta rischia di essere costretto alle dimissioni, senza che l’ultimo stipendio gli venga pagato. Sono queste le condizioni, non negoziabili, imposte da alcune industrie dei giocattoli in Cina.

Il report, inoltre, sottolinea come negli ultimi decenni alcune grandi aziende dell’Unione Europea siano state coinvolte in violazioni dei diritti umani, sfruttamento lavorativo e devastazione ambientale in tutto il mondo.

La prima tra le tante è stata Lego Group, la compagnia danese colosso mondiale nella produzione delle costruzioni. Si rifornisce dalla compagnia cinese Dongguan Wing Fai Foam Products Co. Ltd, che conta all’attivo tra i 200 e i 300 lavoratori regolari e si trova nella provincia cinese del Guangdong, la principale provincia industriale e manifatturiera della Cina. Alla Dongguan Wing Fai Foam Products è stata più volte contestata una grave violazione dei diritti umani.

«Il capo della linea di produzione ha detto che dovevamo rispettare la quota indipendentemente da quanto tempo avremmo dovuto lavorare o da quanti straordinari avremmo dovuto fare. I lavoratori dovrebbero lavorare ogni secondo. Se la quota è stata raggiunta ma il turno non è ancora terminato, i lavoratori devono comunque continuare a svolgere il loro compito», aveva dichiarato un investigatore sotto copertura nella fabbrica di Wah Tung.

Secondo il report, queste fabbriche assumono inoltre un numero elevato di lavoratori migranti, la maggior parte dei quali non ha altra scelta se non quella di vivere direttamente nei dormitori delle fabbriche, che sono sovraffollati, privi di servizi igienici e non sicuri. Le foto scattate nell’ambito dell’indagine mostrano inoltre lavoratori esausti che si addormentano nei posti di lavoro, nei corridoi e durante la pausa pranzo.

Nella maggior parte dei casi, i costi di queste catene globali di produzione vengono mantenuti bassi proprio come conseguenza, diretta o indiretta, degli abusi sui lavoratori e del mancato rispetto dei loro diritti. Negli ultimi anni le gravi violazioni delle leggi sul lavoro cinesi e delle convenzioni dell’Organizzazione Mondiale del Lavoro, riscontrate appunto nella filiera della produzione di giocattoli, sono state al centro di diversi report di denuncia da parte di organizzazioni cinesi e internazionali.

In seguito alla pubblicazione del report sullo sfruttamento dei lavoratori nella fabbrica di Dongguan Wing Fai, la Lego Group ha dichiarato di aver svolto un’indagine in loco e di aver pianificato un’ispezione annuale presso il sito attraverso un revisore esterno, in conformità ai principi di “Business Responsabile” dell’azienda. La Lego ha anche affermato che il fornitore cinese avrebbe posto rimedio a queste criticità, secondo un’ulteriore e successiva verifica svolta nell’aprile 2020.

Tutto ciò però, non lava la coscienza della Lego, che non può permettersi di rigenerare la propria immagine come sostenitrice delle minoranze sessuali. D’altronde il lavoro sottopagato e lo sfruttamento non sono una novità per la Lego e altre aziende del settore, che già nel 2011 erano state denunciate dalla Students & Scholars Against Corporate Misbehaviour (Sacom). L’ONG cinese aveva riportato nel rapporto “Making toys without joy”, pubblicato il 5 dicembre, le pessime condizioni di lavoro, soprattutto dei lavoratori migranti, monitorando le condizioni di lavoro nel settore dei giocattoli in Cina dal 2005 e registrando nel 2011 uno scarso miglioramento delle condizioni di lavoro degli operai.

Già all’epoca i lavoratori lavoravano 12 ore al giorno 7 giorni su 7 in condizioni di sicurezza pessime: attrezzatura necessaria per maneggiare i prodotti chimici inadeguata, assenza di allarmi antincendio o estintori, stabilimenti con mense e dormitori in cui l’igiene sanitaria è inesistente e pressione dei supervisori e minacce di multe per chi va in bagno senza permesso.

La domanda quindi sorge spontanea: perché “schierarsi” per i diritti LGBTQ+ quando non si rispettano i diritti umani e sindacali? Semplicemente per depoliticizzare i temi, renderli di pubblico dominio, una merce e un brand per poter ampliare il proprio mercato in nome della crescente sensibilità nel mondo per la democrazia sessuale[1].

Fonti:

https://www.theguardian.com/world/2021/may/20/everyone-is-awesome-lego-launch-first-lgbtq-set

https://www.osservatoriodiritti.it/2020/09/23/lego-costruzioni-giochi/

https://www.greenme.it/vivere/speciale-bambini/mattel-disney-lego-giocattoli-cina/

https://it.scribd.com/document/74886533/2011-12-05-Making-Toys-Without-Joy

[1] Piena inclusione, accettazione e valorizzazione delle persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, intersessuali, asessuali e queer.




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