giovedì 17 novembre 2016 - Marina Serafini

Le dinamiche dell’horror: sugli zombie

Mi piace il confronto: chi mi conosce lo sa. E siccome Giorgio Tullio De Negri ha trattato diffusamente proprio qui un tema piuttosto interessante, mi metto comoda e inizio a comporre il mio commento.

L'uomo è un essere vivente e il vecchio Maslow, a suo tempo, ci ha ben illustrato come l'esigenza del nutrimento sia alla base di qualsiasi processo di futura possibile evoluzione: se non mi nutro, semplicemente, muoio. Inutile parlare poi di evoluzione. L'autore stesso dell'articolo sottolinea il carattere di paradossalità rappresentato dal fenomeno "zombico" del mangiare per non -vivere: un morto, uno che non è vivo, come scrive giustamente, non necessita di nutrimento. E non è questione solo di "assaporare" e "gustare", agiungo io, ma proprio del primario e basilare fenomeno della "metabolizzazione".

La contraddizione però si espande fino alle sue parole, a parere mio, li dove arriva a sostenere che il fenomeno in questione sia "una tendenza arcaica dell'essere umano", "un retaggio primitivo". Il vivente ha l'istanza di vivere, e quindi di nutrirsi, di metabolizzare. Ciò che ci piace lo mangiamo letteralmente e metaforicamente proprio per via di questo nostra istanza primitiva (questa si che lo è) che ci spinge a vivere ed evolvere, metabolizzando ciò che dell'ambiente ci attrae e ci suona utile (piacere incluso, ovviamente). E' ormai ampiamente diffusa la notizia secondo la quale bambini e animali - gli istinti dei quali sono ancora piuttosto scevri dai condizionamenti culturali e sociali - rifuggono dai sapori amari, essendo essi particolarmente presenti in sostanze velenose e quindi nocive. Loro non lo hanno letto sulle riviste scientifiche: semplicemente rispondono al proprio istinto di sopravvivenza. Tensione a vivere, quindi, non a morire o non-vivere.

De Negri scrive che, nella realtà filmica come anche in quella reale, lo zombie diventa tale a causa dell'altro che lo ha morso, ma lascia del tutto in ombra l'aspetto di grandissima importanza che rimanda a "la scelta": la vittima accetta di subire l'altro dietro la seduttiva promessa di un piacere secondario: amore, piacere, forza infinita, vita eterna etc. Se tengo chiuso l'uscio della mia casa nessuno può entrare, ma se desidero la bella mela rossa che mi porge la strega finirò con l'assumerne anche il veleno! Tu seduci e prometti, io mi apro al contatto e mi infetto. Mi permetta l'autore di spingermi oltre: lo zombie non è tale solo perché tratta l'altro come un oggetto o come strumento per il raggiungimento di un fine - sia pure esecrabile, per carità : l'uso strumentale dell'altro non fa di me un mostro - come ha ampiamente argomentato un certo Machiavelli!

Divento mostro nel momento in cui mi allontano dalla mia naturale condizione di uomo: un fantastico sistema vivente che, nel rispetto di sè stesso, mira a mantenersi tale e ad evolversi secondo un proprio progetto originario: ciò che mi fa essere umano, e umano proprio in quello specifico modo che mi caratterizza. Il reato, dunque, non risiede in una carenza affettiva da parte di chi nutre, ma troppo spesso da chi eccede nel farlo: di chi si sostituisce all'altro viziandolo, e quindi inibendolo fino a castrarne la naturale sana tendenza evolutiva. L'individuo che apprende in fretta a conoscere e sviluppare la propria autonomia sarà presto un individuo adulto, libero di incontrare il mondo e metabolizzare la vita; colui che viene invece soffocato da insistenti attenzioni e preoccupazioni "affettive" e "sostitutive" diventa proprio quel brutto involucro non-vivo che necessita di nutrirsi della vita altrui perché non in grado di metabolizzare in prima persona.

Uno zombie è quindi un ladro di energia, per semplificare, che è diventato vittima della propria incapacità a vivere a causa di una scelta: la accettazione comoda di un vantaggio solamente apparente. E va da sé che nel riempire se stesso svuota l'altro, rendendolo uguale a se stesso. Il fatto che non si dia sutonomia metabolica fa si che il furto debba essere reiterato ogni volta che le riserve si esauriscono: non c'è vita! Non è la "rabbia" quindi che uccide, ma la mancanza del sano amore (quello che consente il sano sviluppo evolutivo biologico ed esistenziale) che assume la maschera di incondizionato amore, quello che letteralmente SOFFOCA di attenzioni la persona verso cui è diretto. E quest'inganno impedendisce la realizzazione del naturale quanto auspicabile e fondamentale processo di autonomizzazione individuale, indirizzando verso quella che non può essere chiamata vita.




Lasciare un commento