giovedì 3 ottobre 2019 - Gerardo Lisco

Le condizioni del lavoro tra sfruttamento e vessazioni

L’episodio dell'altro ieri a Roma, che durante la manifestazione ha visto lavoratori e sindacalisti di ROMA METROPOLITANE caricati dalla polizia con la conseguenza che il parlamentare di Liberi e Uguali Stefano Fassina e alcuni dirigenti sindacali sono finiti in ospedale per le violenze subite, è solo la punta dell’iceberg di una condizione che vede i lavoratori sempre di più vessati e trattati come merce e non come esseri umani. 

Dell’episodio di ieri si parla perché è stato coinvolto l’Onorevole Stefano Fassina, persona che conosco e stimo e al quale va tutta la mia solidarietà, da sempre al fianco dei lavoratori in difesa di lavoro e diritti. Ieri davanti agli uffici della Regione Basilicata ho visto i lavoratori della CMD di Atella protestare, ed è intervenuto l’assessore Cupparo a rasserenare gli animi e scongiurare che litigi e tensioni sfociassero in altro.

Le condizioni dei lavoratori non sono solo il prodotto della crisi economica, della “grande stagnazione” ben descritta da Piketty; le cause sono anche nelle modifiche apportate in materia di diritto del lavoro. Gli ultimi dati ISTAT parlano di una disoccupazione scesa sotto il 10%, di un dato positivo che non interessa solo gli ultracinquantenni ma anche le giovani generazioni. Grazie al c.d. Decreto Dignità il numero dei contratti a tempo indeterminato è cresciuto per cui verrebbe da dire che stiamo osservando una qualche inversione di tendenza.

Dalla stessa nota di aggiornamento al DEF, a leggere i giornali economici, si evincono segnali positivi; la riduzione del cuneo fiscale che dovrebbe tradursi in crescita dei salari è sicuramente un dato positivo; ma tutto questo non basta se non si parte da una inversione della cultura del lavoro e del diritto del lavoro, i paradigmi culturali che hanno ispirato le politiche economiche e del lavoro degli ultimi venti anni, infatti, sono stati: precarietà, riduzione dei diritti e moderazione salariale.

Questi criteri hanno prodotto guasti sia a livello economico che sociale e psicologico a milioni di persone costrette a subire condizioni di sfruttamento. E’ sufficiente fare qualche ricerca in rete per scoprire come gli strumenti adottati dalle imprese nei confronti dei lavoratori siano sempre più violenti e vessatori. Il numero di lavoratori e lavoratrici oggetto di mobbing è, secondo i dati INPS, 1,5 milioni rispetto ai 21 milioni di occupati; sempre secondo l’INPS la percentuale italiana è al di sotto di quella UE mentre il Paese con la percentuale più alta è il Regno Unito, che più di altri ha liberalizzato il mercato del lavoro riducendo diritti e rappresentanza. Il secondo è la Svezia in questo caso le ragioni potrebbero essere altre e cioè il livello alto di tutele e i sindacati forti che spingono lavoratori e lavoratrici a denunciare con maggior frequenza. In Italia il minor numero di denunce è da attribuire proprio al Jobs Act che ha reso più facile per le aziende licenziare o demansionare i propri dipendenti indebolendo il potere contrattuale del lavoratore. In aggiunta alle azioni di mobbing, sempre più frequenti sono i licenziamenti di dirigenti sindacali che si permettono di criticare l’operato aziendale. Insomma, le aziende si arrogano il diritto di porre dei limiti alla critica sindacale ponendosi al di sopra addirittura del dettato Costituzionale. Questi sono gli effetti di un sistema economico e sociale che ha trasformato il lavoro in merce e il lavoratore in un bene da acquistare sul mercato da parte del datore di lavoro e per questo da usare a propria discrezione. Gli strumenti introdotti in questi anni a difesa degli interessi proprietari delle imprese sono ispirati dalla logica mercantilista denunciata in più occasioni da Stefano Fassina, logica mercantilista tutta basata sulla esportazione e quindi su una concorrenza realizzata con l’abbattimento dei costi di produzione, cioè riduzione dei salari e abbattimento dei diritti dei lavoratori. La situazione creatasi in questi anni è per molti versi raccapricciante. Nei confronti dei lavoratori anziani, che spesso continuano ad avere una serie di tutele legate ai c.d. diritti acquisiti, le imprese riescono a trovare metodi più raffinati e subdoli; rispetto ai lavoratori più giovani, assunti con il Jobs Act, semplicemente non si applicano gli accordi definiti di secondo livello e le maglie spesso larghe degli strumenti legislativi a garanzie del profitto e degli interessi delle imprese permettono che le nuove generazioni di lavoratori siano usate e gettate come un qualsiasi scarto di produzione. Il giurista Alessandro Somma, docente di Diritto comparato all’Università di Ferrara, giustamente definisce l’attuale sistema <<Lavoro alla spina e welfare alla carta>> evidenziando come le condizione del lavoro stiano tornando sempre di più a quelle dei primi dell’800 quando il semplice associarsi da parte dei lavoratori era considerato dalle legislazioni un illecito penale in quanto violazione del diritto di libertà individuale che poi altro non era che difesa del diritto di proprietà borghese. In conclusione quanto successo ieri a Roma dovrebbe far molto riflettere il Governo Conte 2 dal quale, credo non solo chi scrive, si aspetta un’inversione delle politiche economiche e sociali sin qui condotte. Senza un’inversione di queste politiche le periferie sociali e territoriali del nostro Paese continueranno ad essere escluse dai processi di crescita economica e di redistribuzione della ricchezza e ciò potrebbe essere deleterio per la stessa tenuta della Democrazia italiana

. Foto: Pixabay




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