Le assaggiatrici
Un altro film sul nazismo, o principalmente su ciò che il suo capo volle per proteggersi da attentati, la paura di morire, in fondo, di una piccola persona. Eppure costui, sappiamo già tutti il nome, con le sue manie e col desiderio di essere osannato, riconosciuto nei suoi “dubbi” valori si improvvisò il condottiero di un popolo, prendersi i Sudeti, la Polonia e poi anche la Russia e tutta Europa, lui tapino.
Questa smania di venire “riconosciuti”, di essere ripagati di fallimenti privati (Hitler ne ebbe, ed anche il suo imitatore italiano), o di sentirsi “grandi”, appartiene ancora a tanti pseudo “dittatori” attuali, è cosa di esseri umani modesti che però riescono a trascinare un popolo, con mezzi e convincimenti di conquista, o chissà, di ricchezza e benessere. Costoro si circondano di yes-men ubbidienti che stanno un gradino sotto il loro “dio”, per il potere, per soldi o per importanza sociale.
Ed è un film che appare nelle sale proprio ora che sul pianeta si paventano venti di guerra, coi vari dittatori o condottieri più o meno finti, quello colorato americano, l'altro che regna da 25 anni in Russia, gli ayatollah ed emiri vari, l'altro della Corea del Nord, l'ebreo di una terra martoriata da sempre. Non è il benessere del loro popolo che cercano costoro “pieni di sé”, ma sono programmati per dominare, perché le loro brame si compiano.
Il regista Silvio Soldini trae la storia (ma ne tralascia la parte finale) dal libro che ha lo stesso titolo, della scrittrice calabrese Rosella Pastorino, la quale nel 2012 seppe della testimonianza dell'unica sopravvissuta delle Assaggiatrici, Margot Wölk 95enne. Soldini e gli sceneggiatori ne traggono le parti che promettono più pathos e paura, già la musica incombente e tonante che dissemina il film fa temere per le giovani e sane donne tedesche prelevate tra il popolo per assaggiare le prelibatezze di cui dovrà cibarsi il führer nella sua tana da lupo, dove si è rifugiato col suo entourage più stretto, onde evitargli eventuali avvelenamenti, lui così sacro, così supremo mentre detta i comandi e le strategie ai vari ufficiali sparsi per l'Europa: indimenticabile Bruno Ganz nel film La caduta-Gli ultimi giorni di Hitler. Lui che non volle che animali venissero martirizzati per nutrirsene (uomini sì! per la presunta gloria), lui che accarezzava i caprioli nel Berghof, la sua residenza di montagna in Baviera; che “accarezzava” in qualche modo il suo popolo nei proclami alla radio, e molti credettero nella vittoria finale, che peraltro aveva molto minori probabilità di una disastrosa sconfitta.
E le 7 giovani e sane donne tedesche, che rischiavano la morte per avvelenamento da quei pasti, aspettavano i loro uomini, non sarai ucciso fin quando la tua donna ti ama scrivevano loro i mariti ed esse sentivano di smettere di esistere anche da vive all'arrivo di cattive notizie dalla Russia. Alcune di queste, la protagonista nel caso specifico, furono “vittime” della sindrome di Stoccolma, quella di rendersi schiave ubbidienti e amanti dei loro ufficiali carcerieri (e il pensiero và a un altro film ancora, Il portiere di notte).