Le asimmetrie fiscali dello stato treccartaro
Mentre la disperata fame di risorse fiscali infiamma il dibattito sui fantomatici extraprofitti, è utile guardare anche ai modi con cui il fisco fa cassa, comportandosi da truffatore di strada
Poiché il ministro dell’Economia e delle Finanze, in questo suo ruolo churchilliano che promette “sangue, sudore e lacrime” ma solo a chi può permetterselo, ha enfatizzato il concetto di capacità contributiva come scolpito nel sacro articolo 53 della Costituzione, oggi sul Sole compare un opportuno commento di Francesca Mariotti, avvocato tributarista e già d.g. di Confindustria durante la presidenza di Carlo Bonomi, che ci aiuta a comprendere la natura asimmetrica del nostro fisco. A svantaggio di chi, inutile precisarlo.
Nulla di inedito, per carità, ma a volte ripetere le cose può aiutare, nel frastuono propagandistico di maggioranza e opposizione e con un esecutivo che si è accorto di non poter reggere su base continuativa i costi strutturali della decontribuzione e il “treppiede Irpef”. Al netto delle solite frasi: “in questo paese abbiamo mille miliardi di spesa pubblica: non dovrebbe essere difficile reperirne dieci”, che sento da quando la prima cifra era circa la metà.
Utili passati, perdite presenti
Che scrive, dunque, l’avvocato Mariotti? La premessa è che “le imprese vivono di cicli economici”, ed è realmente rivoluzionaria, nel momento in cui c’è chi vede extraprofitti ovunque, senza avere la minima idea di cosa davvero sia, in economia, un extraprofitto. Focalizziamoci sul trattamento fiscale delle perdite d’impresa. Scrive Mariotti:
Prendiamo ad esempio due imprese, stesso settore, stessa dimensione. Una, nel primo anno realizza una perdita di 100 e il secondo anno consegue un utile di 100; l’altra, invece, al contrario e specularmente, realizza il primo anno un utile di 100 e nel secondo anno una perdita di 100. Ebbene, seppur entrambe non abbiano guadagnato nulla nei due periodi considerati, la prima pagherà imposte su 20 (o nulla nel caso in cui fosse una neocostituita) la seconda addirittura su 100, poiché, il nostro sistema consente di riportare in avanti le perdite (seppur con dei limiti) ma non all’indietro. Tutto ciò è equo? Proprio no. Allora, mentre si ragiona sul se e sul come tassare i profitti straordinari, non si dimentichi di metter mano al trattamento fiscale ordinario delle perdite.
Equo? No di certo. La soluzione? Rendere simmetrico e indipendente dal tempo il trattamento fiscale delle perdite. Nel caso della prima impresa, abbiamo un cosiddetto “riporto a nuovo” delle perdite del passato, che consente di ridurre il tax rate nell’esercizio successivo. Nel caso dell’impresa che fa perdite nel secondo esercizio ma ha pagato tutte le tasse nel primo, servirebbe un riporto a ritroso delle perdite, sul passato. In inglese, il primo caso si chiama carry forward, il secondo carry back, e in Italia manca.
Interessante notare che in Ue, durante la pandemia, la Commissione ha emesso una raccomandazione, la 2021/801, relativa all’introduzione di misure temporanee per consentire alle imprese il riporto all’indietro delle perdite degli esercizi 2020 e 2021 almeno sino all’esercizio 2019, con la funzione di generare liquidità nel momento di grave crisi prodotta dalla pandemia.
Un articolo di Antonio Borghetti su lavoce.info ricordava però che
Taluni paesi – anche unionali – consentono, in via ordinaria, di compensare le perdite di un esercizio con i redditi conseguiti in uno o più degli esercizi precedenti (cosiddetta loss carry back), dal che consegue il diritto di ottenere il rimborso delle imposte a suo tempo pagate per tali esercizi. È il caso della Germania e dell’Irlanda – ove il carry back è consentito sino all’esercizio precedente – e dei Paesi Bassi e della Francia – ove si estende sino al triennio precedente. Tutti i regimi di carry back già presenti, ante pandemia, negli ordinamenti sono caratterizzati da precisi limiti temporali.
Il fatto che alcuni paesi dispongano del carry back nella legislazione fiscale ed altri no è già di per sé un elemento di vantaggio competitivo. Superfluo ricordare che, all’avanzare della crisi fiscale, c’è un non trascurabile rischio che i governi pro tempore dei paesi dotati del carry back pensino di mettere mano a questa equa simmetria, per fare cassa. Qualcuno ha detto Francia?
Barriere alla compensazione tra redditi
In Italia, questa asimmetria pro erario, con le debite differenze, si ritrova anche in altri ambiti della legislazione fiscale. Ad esempio, nella demenziale barriera che impedisce compensazioni tra redditi di capitale e redditi diversi.
Anche questa asimmetria serve a produrre gettito per l’erario, e continua a non essere risolta, malgrado le grandi promesse della mirabolante “riforma fiscale” che questo governo sta portando avanti con l’opera del vice ministro Maurizio Leo. Il quale aveva effettivamente previsto un bel decreto attuativo per la compensazione tra redditi di capitale e redditi diversi, suscitando l’entusiasmo delle anime candide che davvero pensavano fosse possibile attuare una riforma che causa una perdita netta di gettito, almeno nell’immediato. E infatti, quel decreto attuativo è ricercato da “Chi l’ha visto?”. Poi non dite che non ve l’avevo detto.
Uno stato che punta a “riformare” il fisco determinando (o lasciando intatte) asimmetrie che producono sacche di gettito aggiuntivo, resta uno stato non credibile. Ma che ve lo ricordo a fare?