sabato 14 settembre 2013 - angelo umana

La variabile umana

Che si fa, che succede se la responsabile di un delitto è la propria figlia diciassettenne?

L’ucciso è un imprenditore noto in città, un certo Ullrich, per il quale il prefetto esprime “stima e affetto”, come si conviene ai morti importanti da parte di cariche importanti (ogni riferimento alla nostra società è puramente casuale), uno “molto attivo la notte”, che reclutava “lolite ambiziose” alla discoteca Odissea di Milano, le portava a casa sua, ben attrezzato di droghe e intenzionato ai piaceri che i suoi soldi compravano. Nel dipanarsi dell’inchiesta sulla vita di costui, e su chi egli ha incontrato quella notte, si apprende dalla moglie (Sandra Ceccarelli) – si tratta di un’“elegante” coppia di separati in casa – che era ancora vivo quando lei è rientrata, ma che l’ha lasciato a terra a dissanguarsi, e che ha avvertito la polizia solo quando era morto. Si apprende pure che la moglie ormai non sentiva più dolore per quei passatempi dello stimato imprenditore, che si erano lasciati trasportare dalla mancanza di sentimenti e che da parte sua, la stima per quell’uomo non esisteva da tempo.
 
Nelle nostre città dunque e in questi delitti è difficile – o forse troppo facile – dire chi è la vittima e chi veramente l’assassino. La 17enne è incidentalmente figlia dell’ispettore di polizia Monaco (Silvio Orlando), ma non vediamo il poliziotto, vediamo un papà rimasto vedovo, con la figlia che si perde un po’ per strada priva di attenzioni adulte, la cui madre lei vedeva soprattutto come una che “parla e giudica”, una ragazza che cercava una “notte brava” o con qualche esperienza particolare, e la pistola del padre era sempre lì, nel solito cassetto. “Questa città mi sembra cambiata” dice il poliziotto Monaco al collega-amico Levi (Battiston), ma è lui in realtà a non riconoscere più i ragazzi ogni tanto in cerca di sballo, sua figlia soprattutto, è come l’avesse perso di vista pure se abitano assieme.
 
In questa specie di thriller psicologico è la figlia Linda (Alice Raffaelli, credibile 17enne, per la prima volta sullo schermo) che “rivede” o ritrova suo papà, almeno ne capta le attenzioni, in tanti momenti se lo gode, ad esempio quando è in auto accanto a lui che guida e appoggiata sul cruscotto lo guarda. Milano scorre nei finestrini durante i numerosi spostamenti in auto, specie il suo cielo e suoi alberi. Il film non è banale, è un padre e una figlia, cosa volere di più, misurato come i gesti timidi di Orlando, non ci sono concessioni a spettacolarità poliziesche e tantomeno a “montalbanate”.
 
Dunque, che fare se la responsabile di un delitto è la propria figlia? Ciò che fa l’ispettore Monaco, la accompagna alla stazione di polizia, ma non la sveglia ora che si è addormentata sul sedile posteriore, la aspetta ed è un momento tenerissimo: pure consegnandola alla giustizia – ma chi è vittima e chi carnefice? – “Tornerai perché perdersi non è possibile”, canta Gianna Nannini nella bella canzone di coda.




Lasciare un commento