mercoledì 11 febbraio 2015 - Traiettorie Sociologiche

La strategia del lettore di Essere Ricardo Montero

 Gianfranco Pecchinenda ha recentemente partecipato a Madrid alla presentazione della traduzione del suo romanzo Essere Ricardo Montero. Si tratta di un lavoro complesso e articolato, suddiviso in tre parti, in cui vengono affrontati da una prospettiva molto originale i temi del doppio e dell’identità.

Nella prima parte – intitolata Io, Ricardo Montero – il protagonista si racconta in prima persona. Il personaggio si presenta al lettore è un anziano scrittore che vive a Parigi e che ci propone alcune riflessioni sul senso della propria esistenza e sul suo rapporto con la scrittura.

L’identità del personaggio si dipana lungo le tradizionali traiettorie spaziali (la casa in cui sta scrivendo le sue riflessioni, la città in cui vive e che percorre quotidianamente e temporali (la famiglia d’origine, i suoi padri e maestri, i suoi autori, le sue relazioni). Giunti alla fine di questa prima parte, un piccolo colpo di scena che costringe il lettore a rileggere in ottica diversa il personaggio appena conosciuto, scoprendo che in realtà Ricardo Montero non esiste in carne ed ossa, ma solo in quanto profilo di un social network; facebook.

Nella seconda parte – Conoscere Ricardo Montero – colui che narra, ancora in prima persona, è un altro personaggio, un suo conoscente, che ci ripresenta il vecchio Montero dal suo punto di vista, narrandone le caratteristiche a lui note, in un crescendo in cui eventi reali e di finzione sembrano confondersi e mescolarsi di continuo.

Nella terza parte, infine, appare un terzo personaggio, che si rivela essere lo scrittore che fino a quel momento aveva creato e tenuto in vita i due personaggi precedenti (gli autori delle prime due parti) e che, al culmine della storia, decide di ucciderli entrambi cancellando i loro profili dal social network.
In realtà ci sarà anche un epilogo, anch’esso alquanto sorprendente, firmato da un celebre personaggio, il protagonista di Niebla, dello scrittore spagnolo Miguel de Unamuno, uno dei romanzi più rappresentativi del Novecento al quale evidentemente Pecchinenda stesso si è ispirato. Si tratta di un romanzo che ha suscitato parecchie riflessioni critiche e un inatteso successo di pubblico. Oltre alla traduzione in Spagna e in alcuni paesi dell’America Latina, anche l’edizione italiana vedrà presto una seconda edizione.

Il testo di Vito Galeota, già professore di Lingue e Letterature 
Ispanoamericane presso L’Istituto Orientale di Napoli è, in ordine di tempo, uno dei contributi più significativi e profondi pubblicati a partire dal romanzo di Pecchinenda.

 

L’attività dello scrivere, quando non è la costruzione di un discorso disposto pazientemente con abile mestiere maturato nel tempo di un lungo esercizio, ma è, invece, letteratura sentita, determinata, incontenibile, spesso senza averne il pieno controllo creativo e senza sapere esattamente dove va ad approdare, produce un risultato che si pone quasi sempre come problematico per il lettore, un risultato che corrisponde alla problematicità che ha investito l’autore. Il problema si amplifica con Essere Ricardo Montero essendo il discorso narrativo non il congegno di una trama rientrante in un genere codificato quanto piuttosto la mescolanza di vari generi (diario, cronaca, memoria, leggenda, biografia, autobiografia), anzi, più che mescolanza, la negazione o il superamento dei generi. Se a ciò si aggiunge che questo racconto alterna forme del saggio con forme della narrazione in senso proprio, alterna finzione fantastica o immaginaria con immagini e ricordi non inventati ma reali e vissuti, e, soprattutto, dà vita a una scrittura narrativa esistenziale d’introspezione, di riflessione e di memoria rapportandola alla comunicabilità degli attuali Social Network, la questione per il lettore rischia di diventare ardua. E, cosa ancora più pesante, il lettore non può sottrarsi dal leggere fino in fondo il testo perché, a conclusione del primo capitolo, il racconto (apparentemente l’illustrazione analitica storico-sociologica di un caso di emigrazione veicolata dalla vicenda strana di un fantasmatico personaggio e intercalata da vaghe riflessioni soggettive di teoria della creazione letteraria) assume un’imprevista connotazione di genere para-poliziesco che irretisce il lettore e, miscelando lo pseudo-poliziesco con alcune componenti di mistero, che si insinuano inavvertitamente e che il lettore percepisce ma non capisce, fanno scattare una forte curiosità, quasi un bisogno, di sapere chi è o che cos’è Ricardo Montero, e così lo bloccano senza scampo e lo costringono ad andare fino alla fine della lettura della storia.

Ma di quale lettore stiamo parlando? Ovvero, chi è il lettore di questo testo? Di certo non il lettore comune, occasionale e sprovveduto, che “inciampa” per caso nel libro oppure è attratto dalla copertina o dalla quarta di copertina che lo invita a leggerlo. Neppure è uno che semplicemente conosce lo scrittore perché ha letto altri libri suoi o perché lo conosce personalmente: nel primo caso, gli altri libri da lui scritti hanno poco o nulla a che vedere con questo; nel secondo, non si capisce se lo scrittore sia la persona che, fuori dal testo, lo ha scritto oppure se sia una figura letteraria che si confonde con l’autore, il quale a sua volta si confonde con il narratore e con il protagonista all’interno del testo.

Pertanto, lo scrittore, non la persona reale ma lo scrivente, in questa tipologia testuale è conoscibile all’interno del testo, e ciò che di lui si sa all’esterno potrebbe essere del tutto estraneo al libro in questione. Il lettore del testo, occasionale o conoscente dello scrittore poco importa, è in ogni caso colui che dopo il primo capitolo non solo continua la lettura ma lo fa con una partecipazione diversa da quella che ha all’inizio. Ciò accade nel paragrafo finale del capitolo, quello su Facebook, dove vengono fuori di colpo altre figure agenti come conigli da un cappello di prestigiatore, le quali, interrompendo la narrazione di tipo storico-descrittivo mantenuta fino a quel punto, trascinano il lettore in un vortice narrativo totalmente diverso, per cui, del tutto ignaro di quanto gli sta accadendo, il lettore si viene a trovare dentro un racconto in cui le funzioni sono confuse e intercambiabili, in cui non si sa più chi stia parlando, e se questi è uno o più d’uno, né è chiaro di chi stiano parlando. Il lettore si viene a trovare all’interno del testo, e non è questa la sua collocazione normale, come non lo è quella dello scrittore, il quale si trova anch’esso all’interno del testo, confondendosi o scambiando i ruoli con l’autore, col narratore e col personaggio. Nel paragrafo su Facebook l’autore scopre il gioco e invita il lettore a parteciparvi attivamente. A partire da questo punto diventa parte integrante della struttura del testo, diversamente resterebbe fuori gioco e l’eventuale continuazione della lettura risulterebbe inutilmente passiva, fino al punto da restarne vittima.

Ma, quale sarebbe il ruolo di questo lettore? Il suo ruolo è, come dicevamo, quello di scoprire chi è o che cos’è Ricardo Montero. A ciò corrisponde il ruolo dell’autore che è quello di non rivelare chi sia o cosa sia Ricardo Montero, e questo non per coerenza con una tipologia narrativa che poggia su tale procedimento ma semplicemente perché non lo sa, e non lo sa perché non ha certezza dell’identità di Ricardo Montero, e meno ancora è certo che sia lui il protagonista di una storia che sta raccontando non si sa bene chi.

Siamo nel labirinto o nel gioco degli specchi della letteratura borgesiana ma con una differenza, una differenza che, per semplificare, definiamo “temporale”. Nei racconti di Borges l’autore non è equivoco e vi è sempre una certa corrispondenza, non confusione, con lo scrittore, il narratore è ben specificato ed inconfondibile, il lettore è invitato a prendere parte al gioco ma è tenuto garbatamente a distanza, e ogni figura del sistema comunicazionale sta rigorosamente al proprio posto. Quella di Borges è una letteratura novecentesca con un carattere scritturale condizionato dal linguaggio del cinema e con una lingua modellata sulla logica della sintassi latina, lontana dall’Ottocento, dove si trovano i maestri che Borges, mentendo, dice di imitare, ma non siamo ancora nella dinamica della comunicazione letteraria attuale, condizionata da tanti, troppi fattori eterogenei che la scrittura cerca di amalgamare e, invano, di razionalizzare.

In Essere Ricardo Montero troviamo un’altra affinità, forse meno lieve, col modello borgesiano, quella di essere capace di comprimere in poche pagine e in un’ermetica storia individuale una rilevante quantità di temi o motivi riguardanti un ampio ventaglio di discipline umane: filosofia, sociologia, teoria della letteratura, scienza della comunicazione, internet, i Social Network, esistenzialismo. Ma anche in questo con la letteratura di Borges, e con la letteratura del secondo novecento in generale, la coincidenza è piuttosto sfumata: in Essere Ricardo Montero il chiamare in causa tante questioni non è programmato, non è studiato, non è voluto; le cose si combinano quasi da sole, non c’è responsabilità dell’autore, e meno ancora dello scrittore, il quale, succube, si limita a trascrivere quanto l’autore gli detta senza rifletterlo molto, preso com’è dall’urgenza di liberarsi della sua ossessione e dalla difficoltà di comprensione e discernimento tra il vero e il falso, il virtuale e il reale, il riporto della memoria e l’effettivamente vissuto.

Una coincidenza meno sfumata tra Essere Ricardo Montero e i racconti di Borges risiede sicuramente nel fatto che tutta la ricchezza tematica si riduce quasi sempre a un motivo prevalente, il quale consiste molto spesso in un problema dell’essere riferito alla storia individuale del singolo, che viene rivelata da un momento fatidico e da un atto illuminante, un momento e un atto che sintetizzano l’intera portata temporale di un’esistenza e di un destino. Insieme a questa caratteristica ve n’è un’altra, e credo sia proprio questa che ci riporta al postulato di un’affinità con la narrativa di Borges: quale che sia il tema centrale e quali quelli satellitari, essi in fondo funzionano come strumenti di gioco, di un gioco letterario che si instaura tra l’autore e il lettore, la sostanza di tale gioco non è la vita o il sapere, è una sostanza fatta di parole e poche immagini, parole e immagini che implicano la conoscenza, questo sì, ma con diletto, come in ogni altro gioco autentico dove la posta in gioco non è mai il vero obbietivo di nessun vero giocatore, dove c’è chi vince ma non c’è chi perde.

Il problema dell’essere, quello dell’identità, questi problemi nell’era del digitale; l’altro, il doppio, il duplice, l’ombra, lo specchio; la mobilità e la falsità della memoria; l’emigrazione; l’io narrante, l’identità del sé attraverso l’autonarrazione, la fermezza del nome e la menzogna dell’immagine. Tutto questo compone il movimento tematico vagante del testo ma non ne giustifica il progetto significativo. Il fatto centrale e massiccio della testualità di questo racconto risulta nell’unico vero enigma letterario che esso comporta, ovvero: in che consiste il rapporto tra l’autore e il lettore?

Ricardo Montero non è un personaggio con un carattere e una biografia ricostruita o almeno ricostruibile: è uno sguardo, una foto, un’ombra sfuggente, forse un’idea, in ogni caso è indefinibile, inafferrabile. Ricardo Montero è l’ossessione della propria storia e del proprio tempo. Ciò che conta è l’io, e ciò che conta di quest’io è che narra, che si narra. L’io biografico che si narra non come autobiografia ma come biografia dell’essere.

Il peccato mortale della letteratura narrativa contemporanea è quando si è messa a parlare dell’io. A partire da quel momento, che è quando l’io s’impone, invade, dilaga, la letteratura entra in peccato e peccherà per oltre un secolo. Oggi, inizio del terzo millennio, sembrerebbe volerne uscire, grazie anche al Web e ai Social Network, annullando l’io nel molteplice o, meglio, negandolo, dopo averlo disperatamente cercato, esaltato, venerato. La letteratura dovrà percorrere ancora un lungo tratto di castigo prima di derimersi da questo orrendo peccato, il peggiore che l’uomo letterario abbia commesso fino ad oggi. Questo libro, apparentemente innocuo e non ostentante alcuna pretesa, è uno dei primi tentativi di redenzione dell’io narrante peccatore.

Essere Ricardo Montero non è un saggio ma neanche un romanzo, non è letteratura esistenziale o esistenzialista, non è un post-modern tardivo e neppure una deriva del contemporaneo: è la fine. La fine del narrare così come si è andato succedendo dalle Mille e una notte a Borges. Naturalmente resta il letterario che non è messo in discussione, anzi, questa immensa categoria, forma se non sostanza di ogni spiritualità, è attualmente più viva che mai, e maggiormente lo sarà in futuro perché dilagherà sempre più in ogni cosa, specialmente il virtuale che è l’essenza multiforme del letterario. Ma l’evoluzione storica della letteratura forse è giunta o sta per giungere alla sua fase finale, oltre la quale il cambiamento è irreversibile rottura. Il segno più marcato di questa supposizione è la dissolvenza di colui che l’ha determinata e definita fin’ora, il lettore, il quale si va definitivamente trasformando in consumatore, in ricevitore passivo o comunque inattivo. La scrittura, quella vera, non è esattamente comunicazione e, se lo è, è prima di tutto autocomunicazione. Quasi sempre si scrive per sé stessi, lo scritto diventa poi comunicazione letteraria nell’atto della lettura, nel quale il lettore è artefice, a volte più dello scrittore stesso; egli dà vita allo scritto oppure lo trascura, lo nasconde, lo confonde, lo trasforma e, talvolta, lo distrugge. Dal momento in cui un libro viene letto, lo scrittore non controlla più nulla, la vicenda e il protagonista passano in altre mani, quelle del lettore, che diventa arbitro del loro destino.

Rispetto al lettore, in Essere Ricardo Montero accade qualcosa di diverso: l’autore porta i trucchi borghesiani a conseguenze estreme. Non si capisce quanto sia programmato o voluto, e se è una strategia preventiva o difensiva, fatto sta che in questo racconto il lettore è attirato e posto all’interno del testo e, con ciò, è reso innocuo rispetto a qualsiasi possibile azione da parte sua contro il testo perché la farebbe contro se stesso. Nel sistema comunicazionale del testo il lettore è figura reale, persona in carne ed ossa, come lo scrittore. Ma, se lo scrittore è intercambiabile con l’autore, il narratore e il personaggio, perde la sua consistenza di essere reale. Di conseguenza, il lettore, coinvolto nel gioco delle parti, perde la sua anch’egli. Facebook è l’ambiente idoneo a rendere inevitabili tali effetti.

Allorquando il racconto giunge al punto in cui si avverte la caduta di ogni speranza di potere sbrogliare il groviglio di relazioni che si è venuto a creare, e meno che mai di riuscire a risolvere l’enigma del personaggio, l’autore passa alla soluzione finale: disattiva l’account di Ricardo Montero, nella consapevolezza sua e di tutti i componenti agenti del testo che quell’atto non avrebbe portato alla sparizione di Ricardo Montero, il quale più di tutti sa che “essendo stato non avrebbe più potuto evitare di essere ancora”; quell’atto conclude però il racconto, lasciando tutti in sospeso, soprattutto il lettore e, ovviamente, Ricardo Montero. A cospetto di tanto, il lettore, nell’adempiere al ruolo che si è trovato ad assumere suo malgrado, intuisce la terribile mossa dell’autore contro di lui ed esclama non senza turbamento “Siamo tutti Ricardo Montero!” Poi, riflettendo con freddezza, pensa che sia molto peggio: che l’autore, con la complicità del narratore e di Ricardo Montero stesso, sostenuto, altresì, da un noto scrittore spagnolo e da uno sconosciuto scrittore francese che gli ha anche fornito una sua mistificante foto, con quell’atto finale ha liberato lo scrittore dalla sua ossessione e l’ha passata a lui lettore. “Ora Ricardo Montero sono io, maledizione!”.

A questo punto il lettore, in preda a una inquietudine irrimediabile, pensa a una cosa soltanto: deve liberarsi di Ricardo Montero anch’egli. Approfittando di un’occasione propizia, ossia, la probabile pubblicazione di questo libro in traduzione spagnola, il lettore si adopera, con argomenti che lui spera possano essere convincenti, nell’esporre l’attualità, l’importanza e la peculiarità del racconto al fine di favorirne la publicazione nella penisola iberica e, da qui transitando, tale pubblicazione possa facilmente giungere nel Rio de La Plata, che è, in fondo, il luogo geografico e letterario dal quale Ricardo Montero proviene. In tal modo, restituito al suo mondo, laddove Facebook non è ancora giunto fino al punto da fagocitare tutti, distante dall’Europa, non potendo Ricardo Montero riattraversare facilmente l’Oceano per mancanza ormai di piroscafi di linea né potendo prendere un volo di linea appartenendo egli a un’epoca in cui questi non erano ancora in uso, il lettore spera di svincolarsi dalla trappola tesagli dall’autore. Quanto alle copie che circoleranno in Europa, tanto quelle in italiano che quelle eventuali in spagnolo, quantanche tutti i lettori si mettessero d’accordo nel distruggerle tutte, sarebbe un atto inutile perché il diabolico autore ha provveduto a dotare Ricardo Montero di una imperitura esistenza immettendolo nel circuito della rete telematica da dove è quasi impossibile uscire. Pertanto, il lettore sa bene che con la pubblicazione del libro in Spagna la sua salvezza è provvisoria, ma lo consola l’idea di poter rinviare, per il tempo che gli sarà dato, la condizione di essere Ricardo Montero.

Napoli, 5 Gennaio 2014

Vito Galeota, ispanoamericanista




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